In principio, erano 2 miliardi. Trovati alla velocità della luce. Era il 23 maggio, infatti, quando il Governo annunciava lo stanziamento per far fronte ai danni dell’alluvione in Emilia-Romagna. Il 5 giugno, il testo ufficiale del Decreto-legge già portava quello stanziamento a 1,5 miliardi. Sempre tanti, sempre trovati in fretta. Anche se le stime dei danni per famiglie e imprese parlavano di 9 miliardi. Fast forward all’oggi. Giovedì, al termine dell’incontro tra Giorgia Meloni e Stefano Bonaccini, scopriamo che quei fondi, di fatto, rischiano di ripetere il copione della terza rata del Pnrr, quella pronta per essere erogata a giorni. Da quattro mesi, circa.



Ora, la questione è semplice. E proprio per questo, dirimente: l’Emilia-Romagna è oppure no uno dei motori principali dell’economia italiana, come disse la Premier annunciando lo stanziamento? E i danni sono davvero catastrofici oppure sono stati esagerati nel loro ammontare? Perché già aver atteso 40 giorni per la nomina di un Commissario straordinario, salvo poi ripescare l’usato sicuro del Covid, apriva qualche interrogativo. Ora, poi, il fatto che il Presidente di quella Regione – per alcuni giorni annunciato a sua volta come commissario in pectore – accetti che all’erogazione di quelle risorse tanto attese venga incollata l’etichetta del presto – senza specifiche o garanzie e senza colpo ferire -, puzza. Proprio come quell’acqua stagnante che ammorbava strade e piazze.



Non sarà che lo stesso Bonaccini sia stato felice della nomina del Generale Figliuolo? E che anzi sia stato lui a garantire “luce verde” in tal senso al Governo? Perché se così fosse, quel presto troverebbe una spiegazione: in cassa non c’è un euro per finanziare la ricostruzione. Se non 1,5 miliardi trovati per ora sulla carta, tagliando altre voci ma ancora da attivare. E nessuno intende assumersi responsabilità dirette, soprattutto con la realtà. Quantomeno, prima che le europee o i redde rationem in seno a maggioranza di governo post-berlusconiana e Pd in stile Bounty, abbiano chiarito e sedimentato gli equilibri. Perché se così fosse, o l’Emilia-Romagna dovrà fare da sola aiutata dalle banche (e già qui, si potrebbe chiudere la discussione con una grassa risata) o il Governo opererà uno scostamento di bilancio oppure ancora tutto è legato alla terza e quarta tranche del Pnrr. Le quali viaggiano ormai palesemente su un binario morto, poiché la prima non arriverà se non in autunno e solo a obiettivi raggiunti, mentre sempre giovedì Paolo Gentiloni ha chiaramente detto che la revisione appena compiuta dal Governo imporrà tempi lunghi alla decisione della Commissione. Tradotto, se va bene si parla della primavera inoltrata del 2024. O magari si ricorrerà al playbook ormai consolidato di un’emissione ad hoc di Btp, unendo fango e detriti a inflazione per tentare il signor Rossi?



Comunque vada, quale sarà il drenaggio di contributo al Pil dell’Emilia-Romagna, se al 13 luglio ancora si utilizza la dizione presto per descrivere lo status delle risorse per la ricostruzione? Tutto superbonus e turismo, al fine di consolidare quell’1,3% di crescita previsto? Ora guardate questo grafico: la siccità estrema sempre giovedì ha fatto volare al record assoluto il prezzo dell’olio extravergine di oliva dell’Andalusia. Quello che spesso vede i suoi tagli meno pregiati miscelati con altre varietà di origine Ue, poiché di buona qualità ma a prezzo inferiore, ad esempio, a quello toscano o pugliese.

Cosa ci dice questa dinamica agricola, a livello di filiera? E l’estate siccitosa è appena iniziata. E l’Emilia-Romagna, oltre a essere il frutteto d’Italia, ha un peso specifico enorme su tutto il comparto agricolo. Con le risorse del post-alluvione che “arriveranno presto”, cosa ci attende? Stante poi un potere d’acquisto degli italiani che è il più colpito di tutta Europa, come certificato fa Ocse e Istat. Quale autunno stanno cercando di nasconderci a Roma, a destra come a sinistra?

Ma non fatevi prendere dal panico. Mal comune mezzo gaudio, no? Al netto della ridicola e ritardante una tantum rappresentato della nuova social card, il cui unico scopo è stato quello di mandare in cavalleria non tanto l’eccessiva enfasi del dibattito sul salario minimo quanto la resa dei conti sul cuneo fiscale (stante l’assenza di soldi in cassa per finanziarlo), guardiamo agli Usa. Dove, apparentemente, pare tornato in auge il mantra del good news is bad news.

Il dato dell’occupazione di giugno pubblicato la scorsa settimana e ben più positivo del previsto sulle prime aveva depresso Wall Street e rimandato il rendimento del Treasury decennale sopra il 4%. Insomma, la Fed torna ad alzare i tassi e il mercato a disperarsi. Cane di Pavlov. Ennesima pantomima da flip-flop, niente più che uno yo-yo algoritmico. Non a caso, in contemporanea si scopriva che per la prima volta da quattro settimane, i flussi verso i money market funds erano tornati a salire di 43,7 miliardi, portando gli assets totali al record di 5,47 trilioni. Tradotto, al netto dell’uso ormai sistemico delle facilities “emergenziali”, i depositi dalle banche regionali proseguono. Anzi, divengono cronici. Che è cosa ben peggiore. Ma questa è l’ufficialità dei dati. Sotto il tappeto, invece, c’è la polvere rappresentata dal grafico.

In America, dallo scorso gennaio le ricerche su Google relative al più vicino banco dei pegni sono cresciute in maniera costante. E oggi, stando a GoogleTrends, hanno raggiunto il massimo storico. Esiste un altro mondo, sottotraccia. Esiste un qualcosa che va oltre l’abuso di carte di carte revolving e di credito al consumo, che va oltre le delinquencies sulle rate della casa o dell’auto o delle bollette energetiche. Esiste quello che Karl Marx definiva Lumpenproletariat, di fatto il sottoproletariato urbano. Cencioso, letteralmente. Ebbene, qui ne abbiamo la versione edulcorata, social, quasi pittorescamente vintage nel suo essere bohémien da Qe. Si vendono le cose. Per dirla con Giovanni Verga, si venda la roba. Vestiti, scarpe, libri, elettrodomestici. Il superfluo. Ma visto da una prospettiva non razionalmente positiva, quanto di necessità: ovvero, quella giacca ancora mi piace e mi va bene. Ma pagare la bolletta o fare la spesa sono necessità inderogabili.

E questo ci dice tre cose dell’America che si gingilla con le salivazioni a comando dei trading desk da HFT. Primo, i risparmi in eccesso dei benefit pandemici sono finiti. O quasi. Si è attinto per mesi e mesi. Ora, occorre cominciare a scavare, raschiare. Secondo, chi va al banco dei pegni ha formalmente un reddito che non gli consente, ad esempio, di ottenere food stamps federali per comprare generi alimentari. Ceto medio in caduta libera. Proletarizzazione, appunto. Nella patria del sogno e del diritto alla felicità. Terzo, le vie ordinarie al credito non bastano o non vengono più ritenute praticabili. Tradotto, gli standard legati a prestiti e mutui sono già oggi identificati come proibitivi da un esercito crescente di ex ceto medio. Una storia americana?

Guardate questo terzo e ultimo grafico: un 13% di calo nella spesa privata per beni alimentari negli ultimi due anni in Germania e Francia, come è spiegabile? Tutti con l’ossessione della forma fisica, di colpo? Stranamente, il tutto a inizio dal 2021. Quando in molti Paesi cominciano a venire ritirati i sostegni pandemici ad aziende e famiglie. E prima dell’Ucraina.

Tradotto, potere d’acquisto reale devastato dall’inflazione da Qe. Sì, quella transitoria.

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