Dovish chaos, il caos della colomba. Quando un dato macro fa scomodare questo tipo di ossimoro finanziario per giustificare l’azzeramento di tutti i guadagni di giornata significa che siamo al ridicolo. E sinceramente almeno la rincorsa della farsa vorrei evitarmela. Anche perché il dato sull’inflazione Usa ormai sembra la paziente di una clinica di chirurgia estetica: difficile capire dove finisca la realtà e inizi il botox. In compenso, proxies più credibili esistono. Ad esempio, quello che ci mostra il grafico.



Nella giornata del dovish chaos, il titolo McDonald’s opera in trading su una price-to-sale ratio di 9x, il suo massimo assoluto. Per capirci, mercoledì il gigante del fast food era secondo solo a Microsoft con il suo 10.4x. Terza in classifica, Tesla con solo 7.9x.

Quale spiegazione? Forse nel weekend di Pasqua il crack era particolarmente buono e offerto a prezzo speciale negli Usa, quindi il mercato sta patendo l’hangover collettiva? O forse, al netto delle percentuali manipolate di Fed e soci, chi mette sul piatto denaro proprio e dei propri clienti sa benissimo che di fronte a noi si staglia un periodo di ricorso collettivo al junk food che riempie lo stomaco a poco prezzo? D’altronde, JP Morgan lo ha detto chiaro non più tardi della scorsa settimana: entro fine giugno, l’extra-risparmio accumulato dai cittadini grazie ai sostegni pandemici sarà terminato. Quindi, si camperà paycheck-to-paycheck, tirando la corda fino all’arrivo dello stipendio. Per chi un lavoro ce l’ha ancora. Altrimenti, food stamps. Ovvero, i sussidi alimentari, i buoni pasto. Accettati di buon grado da McDonald’s. E anche da Walmart, la quale sempre mercoledì ha annunciato la chiusura di quattro punti vendita unprofitables a Chicago, dopo aver speso centinaia di milioni nella metropoli dell’Illinois e aver visto le perdite annuali raddoppiate negli ultimi 5 anni.



E sempre due giorni fa, un’altra catena di fast food, Subway, ha visto la propria sale auction raccogliere una valutazione di soli 7 miliardi contro i 10 attesi. Tradotto, si attende che l’acqua salga al livello del mento per fare l’affare del secolo. Non a caso, in contemporanea la ratio di valutazione di McDonald’s volava. Inoltre, come mostra questo altro grafico, scopriamo come la disponibilità bancaria a nuovi prestiti verso Pmi negli Stati Uniti abbia toccato il livello più basso dal 2012, stando ai dati raccolti dalla Nfib nel suo Small Business Optimism Report appena pubblicato.



Insomma, Janet Yellen può dire ciò che vuole sulla crisi bancaria e sullo stato di salute dell’economia Usa: la realtà sta tutta nell’attrattività finanziaria di un BigMac, seconda solo a Microsoft. E il fatto che nel weekend, dopo una serie di crimini senza precedenti, il sindaco di Baltimora (già nota come Fentanyl City) abbia invocato la necessità di coprifuoco generale mostra la vera faccia dell’America che non va sui giornali e che non gode del riflesso pavloviano dei rialzi a colpi di buybacks di Wall Street. L’alternativa? Apparentemente basica: guerra civile o nuovi sostegni al reddito. E Qe per le banche coi cordoni già stretti.

Ma archiviato il dato sull’inflazione Usa, diamo un’occhiata a quello cinese. Tanto per restare in tema di manipolazione. Il Cpi relativo al mese di marzo è sceso a +0,7% su base annua contro attese di +1%, mentre il Ppi ha segnato un -2,5% dal -1,4% di febbraio. Insomma, apparentemente in Cina si vuole evitare di scaricare le dinamiche dei prezzi sui consumi e si punta sulla competitività. D’altro canto, un simile scenario cozza con quello di un’economia pronta a registrare un liftoff di medio periodo.

Ma attenzione, perché in contemporanea con i dati del Bureau of Labor Statistics cinese sono stati pubblicati anche quelli della Pboc relativi a nuovi prestiti e Total Social Financing. E se tutte le voci hanno segnato un chiaro trend di espansione a sostegno dell’economia, ecco che a far riflettere sono i controvalori relativi a prestiti verso privati a medio e lungo termine. Di fatto, un proxy dei mutui immobiliari. Il grafico parla chiaro: siamo ai massimi dal gennaio 2022.

E non basta, perché se le autorità locali hanno confermato un aumento del 17% delle emissioni di debito previste per quest’anno, al fine di tamponare gli ammanchi di cassa, ecco che la voce generale del Tsf – di fatto la mano invisibile dello Stato nell’economia – a marzo ha segnato il suo record assoluto per il terzo mese dell’anno, da quando viene tracciata la serie storica. Tradotto, la Cina ha talmente tanta intenzione di mettere il turbo alla crescita economica da infischiarsene del rischio sottostante: operare in reflazione della più grande bolla attualmente in pericolosa espansione mondiale. Quella immobiliare. Alla faccia di Evergrande e del suo default, Pechino sa che il settore vale qualcosa come 62 trilioni di dollari contro i soli 34 degli Stati Uniti. E, cosa ancor più preoccupante, 11 dei quali fanno oggi riferimento alla voce “inventory”. Occorre sbloccare il meccanismo. A qualsiasi costo. Questo nonostante il materiale che si sta maneggiando sia instabile come C4 stipato nel bagagliaio di un’autobomba, basti vedere le cifre dell’esposizione bancaria Usa al settore e le previsioni nere di Fmi e Bce per i fondi immobiliari e le loro exposures in balia dei tassi in rialzo.

Ma ecco che qualcosa sembra svelare il trucco, quasi il segreto di Pulcinella avesse fretta di emergere alla luce del sole. Nonostante la crisi generale del settore commercial real estate (Cre) e il blocco dei riscatti dal suo fondo Reit per il quarto mese di fila, Blackstone ha appena annunciato di aver raccolto 30,4 miliardi di dollari per il suo nuovo fondo di real estate globale, denominato Partners X. Un record assoluto. Tradotto, entusiasmo alle stelle per un drawdown fund il cui unico scopo è quello di capitalizzare proprio sulla crisi del Cre in atto. E che le mosse del Governo cinese potrebbero accelerare e far detonare, seppur in maniera apparentemente controllata e al fine di non toccare – se non minimamente – i grandi player come Blackstone. Il déjà vu è servito. Offre Pechino.

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