Una premessa, doverosa: se questo articolo vi sembrerà – e, in effetti, sarà – più breve del solito non è per mia mancanza di volontà nella scrittura. O, tantomeno, per scarsezza di notizie. È una sorta di esperimento: capire quanto sia rischioso liberare i lettori nelle acque agitate del mare magnum di informazioni, per quanto dotati di bussola. Temo, infatti, che troppe informazioni rischino di ottenere l’effetto contrario rispetto a quello voluto: ovvero, c’è la possibilità che divengano fuorvianti e decisamente eccessive. Come un arsenale talmente fornito e imponente da risultare, per mero principio di deterrenza, inutilizzabile: sparare anche soltanto un colpo, infatti, equivarrebbe a dichiarare un guerra totale, a doverlo usare tutto. Nessuno lo farà mai, a meno che non si tratti del Dottor Stranamore. Meglio, allora, provare a vincere una battaglia per volta, conquistare una casamatta dopo l’altra.
E quale ritengo sia la più importante in assoluto è presto detto, partendo da questo grafico: mostra come nel corso dell’estate, JP Morgan, la prima banca Usa per numero di assets, abbia compiuto un qualcosa di senza precedenti, quantomeno a livello di controvalore. Ha infatti “ritirato” 130 miliardi di dollari dai propri conti presso la Fed, stornandoli altrove. Insomma, 130 miliardi di dollari di cash in eccesso della banca sono “spariti” dalle riserve delle Banca centrale, apparentemente senza motivo.
Legittimo, per carità, sono soldi suoi. Nulla di illegale. Di irrituale sì, però, visto che la seconda banca nazionale – Bank of America – nel medesimo arco temporale ha mobilizzato 29 miliardi di dollari dalle riserve Fed. Le quali, infatti, dopo gli spostamenti sono scese al livello più basso dal 2012. Mettiamo ancora più in prospettiva: con i suoi 29 miliardi, Bank of America ha operato su un 30% del totale dei suoi depositi, mentre JP Morgan del 57%. La magnitudo della scelta di quest’ultima è plasticamente mostrata appunto dal grafico.
Ma in cosa si è sostanziata quest’ultima, a livello di quadro generale? Appunto, il calo delle riserve delle Fed ai minimi dal 2012. E cos’è accaduto, quasi inaspettatamente, la notte fra il 16 e il 17 settembre scorsi? Il terremoto sul mercato del finanziamento repo interbancario Usa, tale da costringere la stessa Banca centrale a intervenire emergenzialmente sul mercato in maniera diretta per la prima volta da dieci anni: aste repo e term, da subito. Prima per pochi giorni, poi per settimane, ora fino alla fine di gennaio 2020. E con controvalori aumentati enormemente, passando da 70 a 90 miliardi di disponibilità quotidiana di finanziamento a 1 giorno. Quelle term a 5, 10 e 14 giorni, invece, salite da 35 a 45 miliardi per singolo collocamento. Il principio prodromico del Qe, poi fatto ripartire dalla Fed a metà ottobre.
Insomma, banche e istituzioni finanziarie autorizzate postano Treasuries e Mbs come collaterale per ottenere liquidità con il badile e a tassi stra-agevolati dalla Banca centrale, in maniera strutturale e non più solo emergenziale. La festa è ricominciata. E sono stati prima la Reuters e poi il Financial Times – non oscuri blog complottisti – ad avanzare quello che appare più di un dubbio: la mossa di JP Morgan non ha avuto alcuna ragione, se non proprio quella di “costringere” la Fed a intervenire sul mercato, mandando volontariamente in stress le riserve del sistema con la sua decisione di spostare il cash in eccesso depositato.
Ed ecco che, a quella che appariva un’accusa già ben circostanziata, oggi si è aggiunto dell’altro, come mostra questo grafico: JP Morgan ha fatto buon uso di quei soldi ritirati, in attesa della reazione giocoforza imposta alla Federal Reserve. Anzi, un uso strategico. Perché li ha utilizzati per abbattere lo stock di prestiti in essere che deteneva e, soprattutto, per acquistare bond a lunga scadenza e Mbs. Ovvero, le stesse securities che la Fed sta comprando nelle aste repo e term e, adesso, più in generale nella nuova tornata di Qe.
Nel medesimo arco temporale del ricollocamento di capitale, il portfolio obbligazionario di JP Morgan è cresciuto del 50%: ora, quella carta è divenuta prezioso collaterale da postare presso la Fed, per finanziarsi. E per finanziare, oltre al resto, anche i 32 miliardi in buybacks e dividendi annunciati dalla banca per il 2020. Capito il giochino? Forte dei suoi 2,7 triliardi di dollari di stato patrimoniale, JP Morgan è ormai talmente onnipotente da poter decidere di operare in modo da controllare e piegare alle proprie volontà – che poi sono anche quelle del cosiddetto “mercato”, ovvero anche dei suoi concorrenti – le scelte politiche della Banca centrale. La costringe a tornare direttamente operativa sul mercato, drenandogli riserve e scatenando un mezzo terremoto stile pre-Lehman sul mercato interbancario, mentre nel frattempo utilizza il denaro movimentato per acquistare le stesse securities che saranno al centro dei nuovi acquisti centralizzati, in modo da mettere fieno in cascina, proiettili in armeria. Praticamente, la politica monetaria Usa è stata decisa da una banca privata.
Qual è il problema, essendo tutti noi uomini di mondo che sanno come la morale di certo capitalismo sia sempre stata questa, ovvero pura e semplice manipolazione? Che nessuno dice nulla. Nessun giornale. Nessuna tv. Nessun talk-show. Silenzio totale su un atteggiamento di onnipotenza che dovrebbe far venire i brividi e far strabuzzare gli occhi nelle orbite. Invece, il nulla. Come per il lento declino di Deutsche Bank, silenziato dalla sua “assicurazione sulla vita”, ovvero le carte riguardanti tasse e conti di Donald Trump che finora si è rifiutata di fornire alle autorità Usa. Silenzio.
Ieri, in compenso, il Financial Times in prima pagina e come titolo di apertura dell’edizione europea rilanciava la notizia della volontà tedesca di un’accelerazione per giungere all’unione bancaria Ue. Che strano, chissà come mai proprio ora. Siamo già ben oltre la distopia. Molto oltre.