Come cambiano in fretta le cose. La viro-stars (corrispettivo sanitario delle archi-stars, i Fuksas del Covid per capirci) cominciano a ripensare al loro atteggiamento da Torquemada dell’apartheid vaccinale, salvo alcuni patetici irriducibili che infatti ora si spera debbano rispondere delle loro originalità alla magistratura e al dormiente Ordine professionale. La stessa politica sente che l’aria sta cambiando e assume la postura tipica di quando l’aereo comincia una brusca discesa e l’altoparlante interno lancia il terrorizzante appello brace, brace! Anche in questo caso, alcuni pasdaran da salotto televisivo sono ben contenti di sfidare la sorte politica, alzando giocoforza all’infinito l’asticella del ridicolo, essendo quella la loro condizione naturale di miracolati. 



Si cambia idea, in fretta. Pensate all’inflazione. Fossi di indole vendicativa, l’articolo di oggi sarebbe un riassunto di sarcastici passaggi contenuti negli articoli pubblicati sul Sussidiario a partire dalla tarda primavera scorsa, quando era di moda negare del tutto l’impennata del trend dei prezzi. O, al più, mettere tutto a tacere con la giustificazione dell’attacco speculativo. Occorreva difendere il Qe sistemico che ci taroccava lo spread, quindi l’inflazione non esisteva. 



Poi venne il grande inganno della transitorietà, come ricorderete. Ricordo ancora quando lanciai l’allarme la prima volta: era fine aprile e il canarino nella miniera, a mio avviso, era la valutazione da record del lumber, il legname da costruzione Usa. Assolutamente ingiustificata rispetto ai trend del mercato immobiliare, nonostante i tassi a zero. Risatine, simbolici colpetti di gomito, saccenti ridicolizzazioni. Nemmeno a dirlo, tramutatisi oggi in accorati appelli alle autorità del caso affinché affrontino la piaga strutturale dell’inflazione in overshooting, specie quella energetica (e qui si aprirebbe il capitolo canonizzazione laica e in vita di Greta ma meglio soprassedere). Quando mi permisi di scomodare Weimar, il cicaleccio assunse i toni del boato di San Siro per un gol al 96mo minuto. Se lo facessi oggi, tutto resterebbe muto. 



Magre soddisfazioni, per carità. E, sinceramente, di cui faccio a meno. La presa d’atto altrui è importante quando si reputa tale anche chi ha il coraggio di compierla: in caso contrario, vale zero. E come tale va trattata. Mi permetto quindi di portarmi avanti con il lavoro, in vista di eventuali fuochi d’artificio nei dintorni dell’Ucraina. Quanto vi stanno dicendo e, soprattutto, quanto probabilmente vi diranno, è falso. A prescindere. E non perché io sia dichiaratamente filo-russo, bensì perché la narrativa è marcia dal midollo. L’altro giorno nel suo bel discorsetto alla nazione, Joe Biden ha detto una frase che i resoconti della stampa hanno finto di ignorare. Non è accaduto lo stesso a Kiev, però. Perché quando l’uomo che sta garantendo legittimità alla corsa all’armamento dell’Ucraina sponsorizzata dal Pentagono sottolinea come si attenda che Vladimir Putin magari non invada dal tutto il Paese ma sia comunque praticamente obbligato a compiere qualche mossa, appare evidente la conoscenza preventiva di un qualcosa che è in divenire. E, magari, non per diretta volontà russa. Anzi. 

Ricorderete come, al pari dell’inflazione, per mesi e mesi sia stato ridicolizzato il concetto di false flag, ritenuto una teoria cospirativa da paranoici. Lo stesso accadde per il Deep State, ora invece completamente sdoganato anche dalla stampa formalmente autorevole. Bene, eccovi una notizia: il false flag esiste. Lo ha certificato la Casa Bianca. Ecco come il 14 gennaio scorso, la portavoce della presidenza Usa, Jen Psaki, ha parlato ai giornalisti nel corso del consueto briefing: «Come parte del suo piano, la Russia sta creando i presupposti per un’opzione di intervento basata sulla fabbricazione di un pretesto per l’invasione. Abbiamo informazioni che indicano come la Russia abbia già pre-posizionato un gruppo di suoi operativi per condurre una operazione false flag nell’Ucraina dell’Est». Capito, da oggi la false flag non è più da considerasi una teoria cospirativa ma parte dell’arsenale di disinformazione e destabilizzazione della Russia. Come cambiano in fretta le cose. 

E c’è da crederci. Perché il giorno precedente a questa conferenza stampa – ignorata nei resoconti vagamente improntati al maccartismo dei media italiani -, Yahoo News rilanciava un articolo del suo analista di sicurezza nazionale, Zach Dorfman, nel quale si rendeva noto come a partire dal 2015, la CIA stesse conducendo programmi di addestramenti di gruppi paramilitari ucraini, «il cui unico scopo era quello di uccidere russi». Non male, decisamente. Soprattutto perché posto in essere sette anni fa e confermato nei modi e nei tempi da sei fonti di intelligence differenti: un po’ dura non leggere tra le righe dell’ambigua frase di Joe Biden, alla luce di tutto questo. Non vi pare? 

D’altronde, quanto sta accadendo è la naturale conseguenza di un ciclo di distorsione consolidato. In un mondo economicamente e finanziariamente basato sul debito, occorrono continue emergenze che giustifichino il ricorso a questo strumento di futura distruzione di massa. Partendo dall’11 settembre in poi. Anzi, forse addirittura dalla prima Guerra del Golfo. O forse, da sempre. Questo grafico ci mostra come nei periodi di stagnazione/recessione, gli Stati Uniti abbiano sempre fatto ricorso al warfare, alla spesa militare, come moltiplicatore del Pil. E vale per tutte le grandi potenze, chiaramente. Russia compresa. E ora la Cina. 

Le quali, però, quantomeno hanno spesso il buongusto di non ammantare la loro necessità di oliare i meccanismi del complesso bellico-industriale con taumaturgiche e quasi messianiche esportazioni di pace, libertà e democrazia. Bombardano e basta, evitando almeno l’aggravio dell’ipocrisia. Nulla di nuovo. Prima fu Al Qaeda, poi l’Isis, poi le mille derivazioni di quest’ultimo, spazzate via in un attimo dal Covid. Ora, a quanto pare, la narrativa pandemica sta perdendo di smalto. E in attesa della prossima piaga virologica già preannunciata da Bill Gates come biblica, occorre tornare all’antico. Ai vecchi strumenti contenuti nel tool box degli attrezzi da destabilizzazione. Perché la Fed, per quanto minacci, non può alzare i tassi veramente. E la Cina, dal canto suo, sa di avere il coltello dalla parte del manico, visto che dopo aver tagliato i tassi sui prestiti, ha appena rivisto anche i criteri di deposito cauzionale per il settore immobiliare, liberando implicitamente una metà del cash flow di quest’ultimo legato alle pre-vendite di immobili. 

Fino a oggi, infatti. quelle cifre andavano depositate in un conto di garanzia e contabilizzate solo a lavori ultimati e consegnati, ora l’accountability cambia. Segno dei tempi e dell’emergenza contingente da rallentamento dell’economia e contemporanea fiammata di lungo termine dei prezzi. Tradotto, stagflazione. E la Cina nell’anno delle Olimpiadi invernali e della formale rielezione di Xi Jinping non si può permettere una crescita annuale inferiore al 5,5%. Non a caso, negli Usa è riscoppiata la russofobia, mentre Pechino è entrata in modalità stand-by nella lista degli Imperi del male da colpire. 

È solo business, è solo profitto, è soprattutto soltanto debito. Attenti quindi a dove vi informerete. E, soprattutto, alla squadra per cui tifare, in caso di conflitto. Se i miei argomenti non vi hanno convinto, buttatela sul triviale: prendere in mano la prossima bolletta di gas e luce. E riflettete. 

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