Qualcosa non torna. E c’è voluto davvero poco a farlo emergere. Sgombriamo però il campo da equivoci: nessun complotto della Spectre del Big Pharma, nessun esperimento di controllo sociale degno di panopticon di Jeremy Bentham. Anzi, il contrario. Per capire quanto sta accadendo, probabilmente stiamo tutti facendo riferimento al George Orwell sbagliato. Rileggere 1984 – attualizzandolo e tramutandolo in distopica applicazione alla realtà – porta soltanto acqua al mulino di chi come professione ricopre quella di criminalizzare qualsiasi dubbio rispetto allo status quo e alla narrativa ufficiale. Meglio leggere o rileggere Fiorirà l’aspidistra, lavoro misconosciuto dall’autore inglese.
Ma terribilmente importante. Paradossalmente, forse più inquietante di 1984. Perché la metafora del regime che controlla, reprime e riduce a numeri i suoi cittadini ha facile presa. Ma quella della lotta interiore fra chi si è e chi si vuol negare di essere, diviene rivelatrice in giorni come questi.
Partiamo da un dato di fatto: apparentemente, i governi stanno cercando l’incidente controllato. Sembrano infatti alacremente impegnati nella nascita a livello quasi globale dei Gilet verdi, corrispettivo anti-green pass del movimento di protesta che paradossalmente ha garantito a un Macron in caduta libera nei consensi di restare in sella. Perché se le politiche del governo fanno arrabbiare, le macchine bruciate, le molotov e i Black Bloc destabilizzano e spaventano: sembra la contrapposizione binaria che opera da fil rouge proprio nella trama di Fiorirà l’aspidistra. E tra i due sentimenti, la paura batte sempre l’indignazione.
Tutti i quotidiani di domenica riportavano delle manifestazioni no-vax tenute in diverse città italiane e quasi tutti ne trattavano la descrizione come un irresponsabile sodalizio di negazionisti, potenzialmente pronti a far detonare ulteriormente l’ondata di variante già in atto. Di fatto, la medesima logica dei Gilet gialli: a rafforzare Macron in quel caso ci pensarono le violenze di piazza, in questo caso lo spauracchio dell’untore no-vax. O suo collaborazionista. Il problema è che in contemporanea manifestazioni simili sono andate in scena a Londra, Dublino, Sidney, Parigi e Atene. Persino in Israele, Paese-laboratorio che per settimane è stato portato a esempio di come il virus si potesse combattere e debellare a tempo record grazie al vaccino di massa. In quei casi, le parole d’ordine erano differenti: non c’era il green pass in cima alle rivendicazioni di chi protestava in Australia, ma i nuovi lockdown in atto nel Paese, mentre in Irlanda e Regno Unito il feticcio da bruciare era la mascherina. Eppure Londra ha appena festeggiato il Freedom Day, ridicolmente benedetto da un Premier in quarantena: perché manifestare? Contro cosa?
Di fatto, il Covid rappresenta nell’immaginario collettivo l’emanazione del sistema. Esattamente lo scopo che il sistema voleva e vuole raggiungere. Perché nel momento in cui perdi lucidità e travesti un’emergenza sanitaria reale da attacco ai diritti civili, immediatamente divieni responsabile dei futuri contagiati, ricoverati e morti. I media, d’altronde, esistono anche per questo. Alcuni, in particolare, esistono solo per questo. E a rendere queste considerazioni un qualcosa di tutt’altro che fantapolitico, ci pensa un dato di realtà. Confermato dalle istituzioni stesse e dalle prime pagine dei quotidiani locali, quelli che per vivere e vendere raccontano il territorio. Che senso ha lanciare un appello come quello di Mario Draghi, forzando i toni fino all’evocazione della morte come conseguenza diretta della scelta di non vaccinarsi, se poi non ci sono sufficienti dosi e moltissimi prenotati si sono visti fissare l’appuntamento per la prima inoculazione a settembre?
L’obbligo di green pass è stato fissato il 6 agosto, praticamente domani. Quindi, alla base del provvedimento c’era un principio di urgenza. Come si concilia quest’ultimo con l’incapacità pratica e operativa di tradurre in realtà l’invito del presidente del Consiglio a vaccinarsi tutti e farlo subito? Dopo i tracolli di credibilità sull’efficacia e gli effetti collaterali dei vaccini, responsabili proprio del calo delle adesioni che avrebbero portato alla diffusione così rapida della variante Delta, forse non era il caso di muoversi solo quando si aveva la certezza di poter far seguire i fatti alle parole, tra l’altro così dure e irrituali nei toni?
Non a caso, la grancassa mediatica si è concentrata unicamente sul dato delle prenotazioni record. E poi, al netto del no alla riaperture delle discoteche a fronte di un dilagare di feste e rave party clandestini e senza controlli, né precauzioni, perché il green pass non è stato imposto come conditio sine qua non anche per la frequentazione dei grandi centri commerciali? Che siano vettore potenziale di contagio è noto a tutti, stante il numero di persone che li visitano, soprattutto nei weekend. Non a caso, sono quelli che hanno patito le restrizioni più dure e temporalmente prolungate nel corso delle ondate precedenti di chiusure. Ora, invece, si può andare tranquilli. A bar no, al cinema no, al ristorante no, allo stadio no. Ma per comprarsi i jeans in una location da 18mila metri quadri su quattro piani e potenzialmente intasata di gente, sì.
Perché? Semplice: il mancato introito di discoteche e ristoranti, persino dei bar e dei cinema, è facilmente tamponabile con i 40 miliardi di fondi Sure già elargiti dall’Europa o con parte dei 25 miliardi di anticipo del Recovery Fund in arrivo ad agosto (riforma Cartabia permettendo), un tracollo della grande distribuzione non alimentare al dettaglio invece no. È bastato il bagno di sangue del 2020. Quindi, si deroga. Silenziosi.
Qualcosa non torna, cari lettori. E non c’entra il complottismo, la dietrologia, i no-vax con le loro teorie folli o il timore per un esperimento globale di controllo sociale finanziato da Soros, Gates o Gatto Silvestro: qui il problema è la totale mancanza di sincrono e di coerenza fra un’accelerazione senza precedenti da parte del nostro Governo e la capacità di porre in essere le conseguenze che essa comporta. A livello di somministrazioni di vaccini, in primis. Ma anche di possibilità di controlli concreti, come denunciano già oggi praticamente tutte le categorie interessate e gli enti locali, questi ultimi da settembre probabilmente alle prese con il nodo del trasporto pubblico, urbano ed extraurbano, su gomma e su rotaia. Per non parlare della scuola, di fatto già in modalità Dad un’altra volta, come sinceramente ammesso dal sottosegretario Pierpaolo Sileri.
Forse, al netto di tutto, qualche dubbio sulle vere finalità che sottendono quanto sta accadendo tra Palazzo Chigi e via XX Settembre in vista di un autunno incandescente, ora appare davvero legittimo. E ce lo mostrano questi due grafici finali: se il primo dimostra come a fronte di una Germania in grande spolvero di ripresa economica, l’indice PMI composito francese avesse già cominciato a declinare (guarda caso, in contemporanea con il blitz di Macron sul pass sanitaire), il secondo disvela una realtà in generale peggioramento.
L’indice IFO tedesco che traccia la fiducia del business pubblicato solo ieri ha segnato un 100.8 a luglio contro le attese di 102.5, un netto trend in calo giustificato dalle sempre crescenti difficoltà produttive dovute alle forniture di materie prime e semiconduttori: scarsità di offerta e prezzi troppo alti, un combinato devastante. E frutto legittimo del Qe perenne, piaccia o meno. Non c’entra la variante Delta, c’entrano i colli di bottiglia venutisi a creare nella supply chain globale. Guarda caso, sempre ieri il Governo tedesco ha ammesso di non poter escludere il ritorno a restrizioni. A due mesi esatti dal voto legislativo. E con la Merkel che ha compiuto l’ennesimo miracolo politico, limitando a un punto percentuale il calo della Cdu nei sondaggi dopo la vergognosa risata di Armin Laschet sui luoghi dell’alluvione. I Verdi? Fermi al 18%, nove punti di distacco dai cristiano sociali. Nemmeno la sciagura climatica ha convinto i tedeschi a rivedere le loro intenzioni di voto.
Si mette male. Molto male. Non a caso, sempre ieri il solitamente mite e compassato Enrico Letta si è lasciato andare a una previsione decisamente sibillina: «Le prossime settimane saranno complesse, il mare sarà in tempesta, la nave ballerà». Eh già. Ci vorrebbe un Whatever it takes…
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