Quando un banchiere centrale sente il bisogno di andare ospite in un salotto tv per lanciare una sorta di operazione simpatia significa che il redde rationem ormai non è più solo inevitabile ma anche drammaticamente all’orizzonte. Se esiste infatti un ruolo che richiede discrezione, propensione alla vita dietro le quinte e assoluto ripudio dell’annuncite in favore di telecamera quello è la leadership di un Istituto centrale. Bene, Christine Lagarde non si è limitata a violare questo comandamento non scritto. Lo ha fatto scegliendo per la sua infrazione catodica il sacerdote del politicamente corretto a bassa intensità: pessimo segnale, ulteriore. D’altronde, la ex numero uno del Fmi, a cui ovviamente Fabio Fazio si è ben guardato dal chiedere conto dello straordinario successo ottenuto in Argentina che le ha lastricato la strada per lo sbarco a Francoforte, sa di avere le spalle al muro. Persino dopo il coup de theatre globale dell’arrivo sulla scena di Omicron, variante del Covid dal nome più adatto a un anti-dolorifico, il cui effetto-spavento – con il breve passare delle ore di un solo weekend – ha lasciato spazio al suo carico di parossistiche contraddizioni.



Scoperto in Sud Africa, Paese dove fino all’altro giorno regnava l’indifferenza stante i 1.200 casi di contagi contro i 60.000 della Germania, ecco che a tempo di record tutto il mondo si blinda e scava trincee. In primis Israele, Paese nel quale da ieri sono chiuse le frontiere agli stranieri. Ma come, il laboratorio a cielo aperto dell’immunizzazione di massa, la patria della quarta dose cui guardano con malcelata libido i televirologi di tutta Italia, è già sull’orlo dell’emergenza? E vogliamo parlare del fatto che le autorità sanitarie sudafricane sarebbero così all’avanguardia da aver isolato la nuova variante e le sue 32 mutazioni ma hanno a che fare con colleghi del comparto aeroportuale così poco scaltri da far imbarcare almeno 60 positivi su due voli verso l’Europa?



Signori, abbiamo tutti l’anello al naso o forse è ora di darsi una svegliata collettiva? Serviva l’ennesima, teatrale scena da peste manzoniana all’orizzonte con coté di Borsa che crolla. L’hanno orchestrata. Sempre peggio, però. Ormai, la lucidità scarseggia. E sapete qual è stato il vero risultato ottenuto dalla sell-off di venerdì scorso? Ce lo mostrano questi due grafici, plasticamente: un crollo della prezzatura dei tre aumenti dei tassi da parte della Fed nel corso del 2022 e, soprattutto, una dinamica che negli ultimi trenta anni – da quando cioè sono stati introdotti i futures sul petrolio – si è avverata solo 14 volte. Un tonfo intraday del prezzo del barile di almeno il 10%, come avvenuto appunto nell’ultima, sanguinosa seduta della scorsa settimana, ha storicamente portato con sé un notevole e pressoché immediato calo del prezzo della benzina alla pompa negli Stati Uniti. Guarda caso, proprio oggi che il carburante nei distributori Usa viaggia sui 5 dollari al gallone e alla porte di sono gli spostamenti per le festività di fine anno. Che coincidenza fortuita.



E, combinazione nella combinazione, dopo la fallimentare quanto strategica decisione della Casa Bianca di immettere sul mercato petrolio dalle riserve strategiche, capace di far impennare il prezzo invece che farlo scendere. Di colpo, tutte le banche d’affari si dissero certe che dopo quell’errore clamoroso, i 100 al barile fossero dietro l’angolo. Quindi, tutti a operare su opzioni call. Il terreno ideale per trasformare un tonfo in una caduta rovinosa auto-alimentante con pochi precedenti come quella di venerdì, prodromo a sua volta di un provvidenziale raffreddamento del costo del pieno di benzina. Per il resto, parossisimo da raschiatura del barile a ogni latitudine.

Pfizer e Moderna non hanno avuto nemmeno la decenza di attendere il primo caso di contagio in Occidente e si sono dette pronte a modificare a tempo di record i vaccini attuali, forse perché travolte dal clima euforico e da piazzista del Black Friday. L’Europa ha immediatamente messo sul piatto terze dosi e obbligo vaccinale, evocando lockdown e deportazioni di no-vax, mentre era la stessa Ema a invitare tutti a darsi una calmata, visto che gli scienziati preposti non avevano ancora nemmeno avuto il tempo di valutare i pochi dati reali di cui siamo in possesso. Stesso invito dall’Oms, mentre le autorità del Sud Africa attaccavano i Governi europei, rei di una nuova forma di apartheid nei loro confronti, quasi un contrappasso dantesco, sostanziatosi con il blocco dei collegamenti aerei. Se avvisi il mondo che ha scoperto una nuova variante con 32 mutazioni, difficile poi poterti lamentare per reazioni isteriche e in overshooting, visto che sono la norma da almeno un anno a questa parte.

Bene, in questo contesto delirante, Christine Lagarde è andata a Che tempo che fa a rassicurare tutti: nel 2022, l’inflazione si sgonfierà da sola come un soufflé mal riuscito e sparirà nel nulla. In compenso, questo grafico per ora ci dice altro: mai da quando esiste l’eurozona e viene tracciata la serie storica, il tasso di inflazione era viaggiato così rapido nella sua evoluzione.

Tradotto, la componente transitoria esiste ma è residuale. Il problema è strutturale e tutto legato al Qe, quindi Christine Lagarde con la sua affermazione apre la strada a tre ipotesi. Primo, parla a caso e non sapendo ciò che dice. Secondo, mente sapendo di mentire. Terzo, ha lanciato il sasso nello stagno per vedere che effetto fa. Evitando di addentrarmi nella prima ipotesi (che non escludo affatto a priori, quantomeno confermerebbe il carattere non doloso dei disastri presenti nel curriculum di Nostra signora del tailleur), le altre due sono complementari nel grado di serietà delle conseguenze potenziali. Se mente è perché sa benissimo che il problema è legato al carattere ormai fuori controllo della monetizzazione del debito, i cui eccessi fino a un anno fa erano fattorizzati dai rialzi insensati e unidirezionali della Borsa, ma che ora sono esondati nelle dinamiche dei prezzi come principio base dei vasi comunicanti. Altrimenti, la bolla degli indici sarebbe esplosa. E tanti saluti.

Quindi, se il Pepp proseguirà come sembra anche dopo il 31 marzo prossimo, una sparizione dell’inflazione appare impossibile. Anzi, ormai viaggia in un range di normalità tollerata fra il 2% e il 3% e non più fra lo 0% e il 2%. Altrimenti, addio obiettivo del 2% simmetrico che permetterà di finanziare i deficit dei Paesi più indebitati.

Se non mente, invece, significa che ha utilizzato il palcoscenico tv del Paese più sensibile al tema dello spread per testare l’ipotesi di un Pepp che proseguirà ma con meno deroghe sui limiti per emittente di quelle attuali, stante proprio la necessità di gettare acqua sul fuoco dell’inflazione. Tradotto, prepariamoci appunto a spread in fibrillazione. Come, d’altronde, stiamo osservando ormai da qualche settimana, nonostante proprio le rassicurazioni a ciclo continuo che giungono dalla Bce.

Ora dovrebbe pensarci Omicron ad assestare un bel calcione in avanti al barattolo. Ma il virus, inteso come casus belli per indebitarsi allegramente, mostra ogni giorno di più il suo fiato corto. E il nervosismo e la fretta del Governo italiano nell’incasellare alla rinfusa riforme e provvedimenti da presentare a Bruxelles come teste d’alce da appendere al muro, lo testimoniano. Tic toc, il tempo scorre. Nonostante lo stillicidio di varianti a giustificare l’emergenza perenne.

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