La realtà è una brutta bestia. La resistenza ucraina era dipinta da tutti come indomita e pronta al supremo sacrificio: il battaglione Azov ha visto il suo leader scrivere a tutti, tranne forse Babbo Natale, pur di ottenere una mediazione che sblocchi la situazione dell’acciaieria di Mariupol. E aver salva la vita. Braveheart sul tavolo delle torture me lo ricordo un po’ più eroico e stoico. Almeno stando all’agiografia dei giornalisti con l’elmetto, quelli che ci hanno spiegato come un neonazista che legge Kant sia meno neonazista del solito.



Il presidente Zelensky, poi, è fantastico. Continua a chiedere armi e soldi, vaneggia vittorie finali, ma si dice pronto a incontrare Putin, nonostante le stragi e le atrocità russe. Ovviamente, il leader del Cremlino invece – oggi come oggi – non vuole vederlo nemmeno dipinto. Strano poi come a Kiev abbiano già fatto calcoli per la ricostruzione, stimando la cifra iniziale attorno ai 60 miliardi di dollari. Vuoi vedere che, non avendo voglia di indebitarsi ulteriormente con il Fmi e intravedendo un brutto epilogo argentino, il governo ucraino abbia trovato il modo per evitare che la gente lo vada a prendere per chiedere conto di come ha ridotto il Paese, fra corruzione e indebitamento alle stelle che hanno preso rapidamente il posto dei begli ideali di Piazza Maidan? 



E lo so, è sgradevole dire certe cose. Faceva più comodo a tutti la narrativa di Davide che batteva Golia o, quantomeno, non si arrendeva, tenendo stretta in mano la sua fionda contro l’invasore. E invece, piano piano, i dubbi serpeggiano. Fatti salvi alcuni casi clinici o di malafede interessata e conclamata, ci si comincia a porre delle domande persino fra giornalisti e analisti. E, forse, è il caso. Perché le parole di Serghei Lavrov sull’Italia sono state chiare. E i russi hanno una particolarità come popolo: non dimenticano. E sono terribilmente vendicativi. 

In compenso, date un’occhiata a questo strappo: ci mostra le parole pronunciate dal vice-presidente della Bce, Luis de Guindos, nel corso di un’intervista rilasciata nel weekend. 



Quella appena cominciata è la settimana del Fomc della Fed, mentre l’Eurotower si riunirà solo a inizio giugno. Per questo è interessante valutare e soppesare bene quella frase, partendo dal presupposto che la guerra sta offrendo uno straordinario diversivo alla Banca centrale Usa, non fosse altro perché mercato azionario e obbligazionario insieme hanno bruciato dai massimi solo dello scorso novembre qualcosa come 25 trilioni di dollari, il tutto senza che la gente (e i media, soprattutto) nemmeno se ne accorgesse. Esattamente ciò che serviva a Jerome Powell, una cortina fumogena e un’arma di distrazione di massa che garantisse uno sgonfiamento della bolla senza panico. 

La scorsa settimana il Nasdaq ha vissuto la sua peggiore settimana dal 2008, mentre il portfolio stock/bond addirittura dal febbraio horribilis 2009: nessuno pare essersene nemmeno accorto. Ovvero, siamo in pieno trend da post-Lehman sui mercati, ma l’unica preoccupazione sono le atrocità russe. Ora, poi, è terminata la finestra di divieto per i buybacks, quindi prepariamoci a un bel rimbalzo tecnico da partita di giro sulla liquidità. Ma torniamo alla Bce. Cosa dice il vice-presidente? Di fatto, palesa la sua predisposizione verso un aumento dei tassi già a luglio, ma getta un diplomatico seme del dubbio, rimandando tutto a una valutazione macro da tenersi nel mese di giugno. Insomma, decideranno i dati. 

Quali? L’inflazione che gli analisti dell’Eurotower già vedono ulteriormente al rialzo o la crescita, ormai in palese stagnazione con picchi già in negativo sul trimestre per alcuni Paese, fra cui il nostro? La differenza non è da poco. Anzi. Se prevalesse il timore per il trend dei prezzi, saremmo in pieno campo da policy error alla Trichet: ovvero, alzare i tassi alla vigilia di una recessione. Tradotto, spread italiano alle stelle, calcolando che in contemporanea sarebbe confermato lo stop totale anche agli acquisti minimi tramite l’App a fine estate. Se invece fossero i dati di crescita a richiedere la maggiore attenzione, allora si potrebbe pensare a una nuova manovra di stimolo o quantomeno di sostegno. Il famoso Recovery bellico che l’Italia dei 209 miliardi chiede disperatamente da settimane. A quel punto, però, dove andrebbe a finire l’inflazione, se sull’incendio dei prezzi si gettasse la benzina della liquidità con l’idrante? E il potere d’acquisto dei salari? Quale erosione comporterebbe per le famiglie, il voler schermare gli spread sovrani, quindi i deficit? E poi, basterebbe una simile mossa per garantire all’Italia nuovo scostamento di bilancio, stante l’attuale no di Bruxelles? 

E qui si apre un’altra partita, parallela. Perché ovviamente la Bce si muoverebbe proprio per coordinare gli sforzi ed evitare il proliferare di manovre a deficit a macchia di leopardo da parte dei Paesi membri più in difficoltà e indebitati, prodromo di eventuali spill-overs degli spread in stile 2011. Ma con l’inflazione al 7,5% e con prospettive quantomeno di stagnazione al rialzo, basti pensare al disastro sulla supply chain che sta prospettando la situazione Covid in Cina e l’ipotesi di embargo energetico alla Russia, la Germania non potrà che mettere dei paletti. 

Il motivo? Lo mostra questa tabella: la popolarità del Cancelliere, Olaf Scholz, è letteralmente in caduta libera, a tutto beneficio della componente dei Verdi. 

Ecco spiegata quindi la capriola sulle armi all’Ucraina consumata al vertice di Ramstein e l’apertura a un bando graduale almeno sul petrolio russo, lasciando per ora fuori il gas. Insomma, chi pensava che il post-Merkel si sarebbe tradotto in una passeggiata nel parco, è servito. L’Europa è totalmente nel caos e senza guida. Se non quella silenziosa e in attesa della zampata finale di Emmanuel Macron, felicissimo di stare in disparte a osservare i guai di Berlino e Roma. 

Non sarà che la scelta europea di dar vita al sesto pacchetto di sanzioni includendo il petrolio sia unicamente propedeutica alla creazione artificiale di condizioni macro che garantiscano un’ennesima inversione a U della Bce da qui a luglio? Viene da chiederselo, quantomeno stando alle indiscrezioni relative alle tempistiche reali dello stop al greggio degli Urali: di fatto, acquistabile senza rischio di sanzioni fino a dicembre. Ovvero, una farsa. E una manna per Mosca e le sue casse. Non sarà che la Bce sia veramente con le spalle al muro, questa volta? E attenzione, perché l’Italia appare già nella classica situazione lose-lose. Ovvero, perde sempre. Se la Bce alza i tassi già a luglio, lo spread esplode e state certi che con esso anche il Governo, optando per una corsa alle scialuppe elettorali per non dover essere responsabili di manovre lacrime e sangue ben peggiori di quelle del Governo Monti. Se invece sarà nuovo sostegno, facendo prevalere la crisi macro della crescita e incolpando ovviamente Putin, ecco che la Germania metterà chiaramente dei paletti ai nuovi prestiti, vincolandoli alle emissioni del Mes riformato. E quindi a condizionalità a dir poco stringenti per chi ne facesse richiesta. 

Sarebbe davvero paradossale e ricorderebbe la frase della canzone di Antonello Venditti, quella che ci ricorda come certi amori facciano dei giri immensi e poi ritornino. L’Italia avrebbe fatto di tutto per evitare di attivare il Mes innocuo pre-riforma e ora sarebbe giocoforza costretta a far ricorso a quello strapieno di condizionalità in stile Troika. Signori, parafrasando Piero Chiambretti, comunque vada siamo fregati. Meglio prepararsi. Esattamente come la narrativa sugli errori colossali della strategia militare russa e sull’eroica resistenza ucraina, ridottasi già ora a pietire i buoni uffici di Recep Erdogan per salvare la ghirba, anche la favoletta del Recovery Fund e del Pnrr pare giunta alla resa dei conti. Parole di Luis de Guindos, una colomba in casa Bce. E questo la dice lunga. 

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