Dunque, proviamo con un gioco di ruolo. E un minimo sindacale di logica freddezza. Immaginate di essere Vladimir Putin. Al netto della guerra, siete impegnati da anni in un’opera di sotterranea destabilizzazione dei Governi di Paesi esteri. Addirittura, nel 2016 per un periodo siete stati ritenuti l’artefice della clamorosa vittoria di Donald Trump. Russiagate, ricordate? Di fatto, siete onnipotenti, capaci addirittura di far eleggere il candidato preferito alla Casa Bianca. Stessa questione in Europa. Formalmente, fino all’altro giorno avete potuto gestire la Germania tramite i buoni uffici di Angela Merkel e l’influenza di un ex Cancelliere come Gerard Schroeder, oggi dirigente di una vostra azienda. In Francia, Marine Le Pen è vostro cavallo di Troia in seno all’Assemblea Nazionale e con minaccia di sbarco all’Eliseo. Poi, c’è l’Italia. Dove, formalmente e in punta di ricostruzioni e scoop, avreste dalla vostra parte nientemeno che M5S, Lega e parte di Forza Italia, quantomeno in continuità con l’amicizia personale con Silvio Berlusconi. Insomma, almeno gli ultimi tre Governi erano in qualche modo sensibili ai vostri interessi. Chiaro il quadro?
Bene, se questo fosse davvero il contesto in cui si muove il Cremlino nella sua opera di sobillazione e destabilizzazione, quale sarebbe il suo interesse nel permettere una scivolata di stile come quella di Dimitrj Medvedev? Nessuno. Anzi, paradossalmente quella frasetta con poco senso e molta carica provocatoria rischierebbe di portare a galla anni e anni di lavorìo sotterraneo, gestito nelle segrete stanze di ambasciate, tramite aziende operanti all’estero, media compiacenti, falsi profili social per diffondere fake news, missioni di spionaggio travestite da carovane mediche in soccorso della Lombardia piegata dal Covid. E, non ultimo, metodi di warfare tecnologico come l’uso massivo di hackeraggio. Insomma, qualcosa non torna. E sapete perché? Semplicemente perché quella di Dimitrj Medvedev è appunto una provocazione, uno stuzzicare il cane che finge di dormire, ma che le preoccupazioni – quelle reali e non del fatato mondo di Repubblica – tengono invece sveglio. Molto sveglio. Un po’ come si fa con qualcuno talmente tifoso da perdere la trebisonda non appena gli si nomini la squadra di calcio del cuore. Lo si fa apposta, tanto per godersi lo spettacolo del suo impazzimento stile maionese.
Sapete qual è l’unica destabilizzazione russa in atto? Questa: l’ennesimo record spazzato via giovedì dai contratti a un anno per l’elettricità in Germania e Francia. Ormai, siamo all’aggiornamento quotidiano e sistemico del primato. E, soprattutto, siamo a livelli ingestibili. Totalmente ingestibili.
E questo non ha a che fare con nessuna strategia occulta, nessuna campagna di destabilizzazione: siamo di fronte a una guerra palesemente e apertamente dichiarata. Ovvero, la reazione della Russia all’impegno dell’Europa al fianco di Kiev e alla logica delle sanzioni. Il problema è che qualcuno dovrebbe avere la freddezza di prendere il pallone e fermarsi. Come quando si eccede nell’agonismo e cominciano a volare calcioni a ogni azione. L’arbitro, se intelligente, blocca tutto e convoca a sé i capitani. Ramanzina, minaccia di espulsioni a raffica e poi si torna a giocare. Ecco, all’Europa manca questo. Per capirci, manca una testa pensante. Perché il fatto che le sanzioni si siano palesemente rivoltate contro chi le ha imposte, ormai pare chiaro anche ai bambini. Proseguire, quindi, sarebbe folle. Non tanto perché Putin abbia più o meno torto, partiamo pure dal presupposto che Mosca sia in errore a prescindere. Resta il fatto che quando una ricetta sta dimostrandosi in grado solo di lastricare la strada verso il disastro, la si cambia. Altrimenti o si è idioti o si ha un doppio fine. E quel grafico parla chiaro.
In senso più generale, nel medesimo giorno la valutazione del gas naturale europeo ad Amsterdam ha sfondato il record storico, arrivando a 241 MWh. Più di quanto mai raggiunto nei picchi di marzo, subito dopo l’avvio del conflitto in Ucraina, quando si minacciavano sanzioni totali e l’isolamento mondiale del Cremlino. Sono passati ormai sei mesi e la situazione, dopo sette round di sanzioni più o meno ridicole, è quella che vedete plasticamente rappresentata dal grafico. Inoltre, giova sottolineare come a livello bancario e finanziario, a colpi di deroghe tutte le principali limitazioni imposte alle banche russe siano cadute, in primis sfruttando l’alibi della crisi alimentare da scongiurare e quindi della necessità di riattivare i contratti riguardanti cibo e fertilizzanti.
Del presunto embargo energetico, poi, nemmeno parlarne. Il surplus russo parla da solo, le casse di Mosca sono piene e, infatti, il default è sparito anche dalle colonne dei giornali più pateticamente faziosi. Nel frattempo, gli Usa si sono sfilati. Non dopo aver inviato un altro carico di armamenti a Kiev e una sostanziosa tranche di aiuti, l’ennesima. Dall’inizio della guerra, l’Amministrazione Biden ha garantito a Kiev circa 8,8 miliardi di dollari. Oltre allo stop per tutto il 2023 del pagamento degli oneri sul debito estero e sul prestito con il Fmi.
Davvero pensate che questo possa essere risolutivo per il conflitto? Davvero pensate che Kiev possa vincere? Se sì, allora l’Europa la smetta con l’ambivalenza e si schieri con l’Ucraina in maniera netta. Assoluta. Bloccando ogni tipo di commercio e fornitura con la Russia. Ponendo l’embargo su tutto, gas incluso. Inviando armi con il badile. E, se necessario, preparandosi alla guerra. Altrimenti, se quei finanziamenti Usa vengono letti finalmente per quello che sono, ovvero la necessità di far proseguire il più a lungo possibile una guerra con sbocco bellico univoco ma con finalità economica anti-Ue tutta da sfruttare, finiamola con la pagliacciata delle interferenze russe sul voto italiano. Il problema è che a interferire nelle urne non sarà il Cremlino, ma il prezzo del gas, a cui nessuno finora ha garantito una risposta, se non attraverso provvedimenti-tampone in sede di Consiglio dei ministri, racimolando soldi qui e là.
Ma quel grafico ci dice che l’autunno sarà tutta un’altra cosa. E non focalizzatevi sul grado in meno per i caloriferi o i semafori spenti di notte o i monumenti senza illuminazione o l’acqua calda a orari fissi: a quelle valutazioni, il problema sarà l’epidemia di aziende fallite. Come mosche. Dalla sera alla mattina. Perché nessuna PMI può reggere una simile pressione sul costo energetico, nemmeno se il sistema bancario dovesse prendere i cordoni della borsa e tagliarli, garantendo prestiti e fidi a tutti. E non sarà così, perché con l’ulteriore stretta sui tassi di settembre, il credit crunch appare alle porte. E con i prezzi alla produzione tedeschi saliti a luglio del 37,2% su base annua contro le attese del 31,8% e del 5,3% su base mensile contro aspettative del 0,7%, scordatevi una Bundesbank che si arrenda sulla normalizzazione del costo del denaro. Il classico cortocircuito, il cane che si morde la coda. E con la disoccupazione, il problema non sarà (solo) il Pil, ma l’aumento esponenziale delle sofferenze bancarie di chi, rimasto senza lavoro o in cassa integrazione, smetterà di pagare le rate del mutuo.
L’Europa ha gestito la questione Ucraina in maniera a dir poco dilettantesca e pilatesca, portandoci a questa situazione. Pensare che le parole di Dimitrj Medvedev possano garantire l’ennesima cortina fumogena appare folle, prima che terribilmente stupido. E chi ritiene che l’invasione di campo del Copasir possa garantirgli favori nelle urne, il 26 settembre potrà anche contare qualche seggio in più. Ma potrebbe maledirlo già a inizio ottobre. Perché quel grafico imporrà risposte. E stavolta occorrerà darle.
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