Chissà che ora la gente apra gli occhi. Di colpo, i contagi risalgono ovunque. L’Europa dell’Est è in ginocchio, mentre oltre al Regno Unito anche Germania e Belgio si candidano a nuovo focolaio europeo. L’Italia, dopo settimane di entusiasmo, casualmente in concomitanza del Documento programmatico di bilancio, della riforma delle pensioni e della querelle sul green pass rivede un aumento di infezioni (+32% in una settimana) e ricoveri in terapia intensiva. Immediato il richiamo alla terza dose di vaccino.



Ma non solo. A detta del professor Ricciardi, chiunque abbia scelto o si sia suo malgrado visto somministrare il monodose di Johnson&Johnson deve immediatamente offrire di nuovo il braccio alla Patria: l’efficacia di quel siero, così risolutivo nel suo non dover essere ripetuto a distanza di settimane, si è scoperto svanire miseramente solo dopo due mesi. Ma, soprattutto, ecco che la Cina mette in campo la propria Commissione nazionale di sanità: 11 province stanno registrando aumenti dei contagi da variante Delta di importazione. Blocco del turismo, due province congelano l’attività di autobus e taxi, quarantena e tamponi obbligatori e addirittura cancellazione della maratona di Pechino prevista per domenica prossima. Casualmente, il tutto a una settimana di distanza dalla scoperta di un Pil del Dragone in rallentamento al 4,9%. E non basta: Goldman Sachs ha appena tagliato il proprio outlook relativo all’economia cinese per l’intero anno 2022, portandolo al 5,2% dal 5,8%. Insomma, il freno alla crescita di Pechino non è transitorio ma avrà effetti congiunturali di medio termine.



E siamo solo all’inizio, perché il rallentamento da combinato di inflazione e criticità sulla supply chain globale appare ben lungi da aver raggiunto il suo picco. Al riguardo può essere interessante riportare il parere del CeO di Flexport, Ryan Petersen: «L’eventuale chiusura o blocco dei porti rappresenta un’eventualità macro ben peggiore del crollo di Lehman Brothers. Entrambe gli eventi possono infatti portare a catastrofiche conseguenze di fallimenti sulla catena di controparte dei soggetti che dipendono dai loro destini ma nel caso di Lehman, il governo e la Fed hanno semplicemente potuto premere un tasto e stampare nel nulla tonnellate di miliardi per inondare il sistema con la liquidità. Se salta la catena della fornitura, no. È game over per l’economia reale». Per chi si chiedesse cosa sia Flexport, una ricerca su Google può essere sufficiente: si tratta di una delle aziende leader della logistica Usa, attivissima nell’hub nevralgico statunitense di Los Angeles-Long Beach. Lo stesso che oggi sta vivendo questa dinamica: a far paura non deve essere il trend storico, bensì il baffo sostanziatosi nelle ultime settimane.



Quando tutti pensavano che si fosse toccato il picco dei tempi di attesa per entrare in porto e scaricare, ecco che questi sono tornati a crescere. Nel pieno della stagione pre-natalizia e con la Cina che invia segnali inquietanti. La situazione sta precipitando, da qualsiasi latitudine la si guardi, come ci mostra quest’altro grafico, relativo ai tempi di attesa nell’hub di Hong Kong-Shenzhen, ulteriormente dilatati dai danni inferti dalla tempesta tropicale Kompasu.

E il bello è che tutto questo ce lo siamo in gran parte voluto e creato con le nostre mani: abbiamo affidato i destini del mondo intero ai sacerdoti del debito buono e del supporto anti-pandemico, guardandoci bene dal creare cuscinetti di emergenza per gli effetti collaterali creati da quella distorsione sistemica? Ecco il risultato, la Waterloo totale di qualsiasi rimasuglio di dinamica fra domanda e offerta. Peggio ancora, siamo al lento e strutturale deteriorarsi di quel bilanciamento automatico di mercato che ha finora garantito il sostegno su cui fare perno nel corso delle recessioni, al fine di uscirne. Nella totale indifferenza di un mondo la cui unica preoccupazione è ormai da anni quella di rimandare qualsiasi tipo di taper dei programmi espansivi, la situazione sta sfuggendo di mano. Anzi, addirittura in sede Bce si sta festeggiando l’addio di Jens Weidmann alla guida della Bundesbank come viatico per la trasformazione tout court del programma Pepp in strumento permanente di finanziamento diretto dei deficit e monetizzazione del debito sovrano.

Ora capite perché la stessa Bundesbank nel 2013 ha cominciato a rimpatriare gran parte dell’oro detenuto all’estero e si è affrettata a farlo, chiudendo l’operazione nel 2017 con tre anni di anticipo? Perché sta per saltare tutto, il caos e il caso saranno le uniche leggi. Prima citavo la figura retorica di Waterloo, ma sarebbe meglio scomodare Guernica di Pablo Picasso: un ammasso di resti di quella che un tempo era l’economia globale, ora ridotta a cumuli di criticità che si sovrappongono e cercando di interfacciarsi. Unico comun denominatore? Il Covid. Senza quel catalizzatore, il mondo avrebbe già superato da tempo la soglia di gestibilità di determinate distorsioni.

Sapete qual è uno degli ambiti maggiormente colpiti dalla crisi di aumento dei costi delle materie prime e criticità su trasporti e logistica delle merci? Quello dell’abbigliamento. Nella fattispecie, un suo totem: i blue jeans. I cui costi stanno per esplodere, visto che quelli della tela blu – nota anche come tela Genova – sono ormai al limite dell’incorporabile per i produttori, i prezzi alla produzione esondano e toccherà operare sulla filiera. Guarda caso, golpe in Sudan. Sapete qual è la seconda materia prima per importanza di quella nazione, dopo il petrolio? Il cotone. Ovviamente, un caso.

E capiamoci, visto che il numero di finti tonti è in continuo aumento, stante l’incessante e impietoso crollo della loro narrativa ufficiale: non è che i golpisti sudanesi abbiano agito su mandato diretto di Wrangler o Levi’s, ma è chiaro che gli interessi coincidenti rendono certe rivolte più accettabili di altre. Quasi da sostenere. È tutto un caso, tutta una coincidenza. Soprattutto, tutto un complotto o una paranoia. Certo, meglio passare il tempo a operare il cosiddetto debunking delle bufale cospirazioniste, agitando il rasoio di Occam come in un film di Tim Burton, piuttosto che raccontare la realtà alla gente: realtà che fa capo, per quanto mi riguarda, a cifre e percentuali e non a tesi o suggestioni. Certo, è più facile montare tribunali speciali nei talk-show contro chiunque ponga una domanda sulla campagna vaccinale, piuttosto che chiedersi come sia possibile che il siero Johnson&Johnson duri solo due mesi e poi tramuti il suo effetto-barriera in poco più che una compressa di Multicentrum. E il bello è che criminalizzano chi ha l’ardire di porsi una domanda o due, prima di bersi la versione ufficiale come un Cecchi Paone qualunque. Fino a non più tardi dell’estate, il mondo era pronto a una ripresa degna del post-Lehman, i Pil esplodevano ovunque: ora siamo alle soglie ufficiali della contrazione.

Domani la Fed di Atlanta aggiornerà il suo GDPNow per il terzo trimestre, vedremo se sarà ulteriormente sceso dal +0,5% dell’ultima rilevazione della scorsa settimana. La Cina si riscopre vulnerabile al virus e ieri la Pboc ha iniettato nel sistema 190 miliardi netti di yuan, il massimo da gennaio. Ovviamente, la scusa è quella di tenere lubrificato un sistema che sta affrontando (e ufficialmente vincendo) la sfida con il caso Evergrande e la bolla immobiliare. Ma è solo una scusa. L’intero palazzo sta tremando, le fondamenta mostrano sempre più chiaramente la truffaldina percentuale di sabbia che le compone. Solo l’Italia continua a millantare un Pil al 6%, nonostante le revisioni al ribasso del mondo intero. Pessimo sintomo. Non a caso, il Governo Draghi sta entrando in modalità overdrive con il crono-programma delle riforme e la politica di latente marginalizzazione di ogni dissenso e dibattito, interno e pubblico.

Sbaglierò – come al solito, d’altronde -, ma temo che avremo un brusco risveglio nel 2022.

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