La Cina ha inaspettatamente tagliato di 25 punti base il tasso di riferimento sui prestiti a 5 anni, sceso da 4,20% a 3,95%. Pechino ha cambiato idea e, lette le previsioni di Pil, rivuole la sua bolla immobiliare?

Per capire occorre fare riferimento a un articolo uscito ieri sul Financial Times: i liquidatori di Evergrande starebbero preparando un ricorso contro PwC per negligenza nell’attività di audit. Reazioni dal mondo libero? Zero. Eppure, presentando la notizia, il medesimo FT sottolineava come the move could lead to a high-profile negligence claim for the Big Four firm. Il giorno dopo, taglio inaspettato del tasso di riferimento proprio di quel comparto. Come dire, se vivi in un mondo dove il più pulito ha la rogna, contano i numeri. E la stazza. E Pechino ne vanta ancora di impressionanti.



La Cina taglia. Sintomo di primo, reale panico? Il massiccio intervento del National Team a sostegno delle equities a un’ora dalla chiusura del primo trading day dopo il Capodanno pare confermare. Come questo grafico.

Ma attenzione. Il supercharge di stimolo cinese avveniva appunto in un giorno di mismatch, prima di tutto di copertura mediatica. La Cina che riapriva dopo una settimana e gli Usa chiusi per il Presidents’ Day. E con i conti di Nvidia pronti sulla rampa di lancio. Per oggi. Mentre il mitologico mercato alterna conto alla rovescia a preghiere votive. Ed eccoci alla ragione inconfessabile e silenziosa della mossa cinese: un chicken game con la Fed, forse? Chi si lancerà prima dall’auto in corsa?



Questi grafici giungono dalla medesima fonte, Goldman Sachs. Certamente non tacciabile di anti-liberismo o intelligenza con il nemico. Ebbene, da un lato si certifica come gli hedge funds abbiano appena comprato titoli tech con un badile di dimensioni degne di Gulliver. Dall’altro come il Rubicone del medesimo comparto paia varcato: market cap e utili sono ormai in de-couple strutturale.

Tradotto, insostenibilità dietro l’angolo. O forse già qui, al netto degli squeezes. E quando GS comincia ad ammettere certe dinamiche, il messaggio in codice è chiaro: noi e i nostri clienti abbiamo già operato in tal senso, ora possiamo permetterci la skills opportunity verso il mondo esterno. Mentre gli altri ancora ciclostilano raccomandazioni di strong buy.



Nelle stesse ore, un’altra roboante discrepanza emergeva sull’asse Cina-Occidente: 2,6% di spread fra Londra e Shanghai. Su cosa? Prezzo dell’oro, giunto a 2.071 dollari l’oncia sulla piazza asiatica. Arbitraggio? Sì. Ma, appunto, fra i due contendenti di un chicken game che ora vede la Fed decisamente con le spalle sempre più vicino al muro. Non ancora poggiate ma sempre più prossime. La Cina sfida su tassi, real estate eoro.

Ring any bells? Ma tranquilli, siamo al 20 febbraio. La salvifica March madness – la resa dei conti del combinato di equilibrismo monetario fra reverse repo, reserve Fed e Btfp bancario che finora ha retto il Sistema senza bisogno di taglio dei tassi – ormai è alle porte. Pop corn per tutti? O, magari, preferite delle precauzionali cinture allacciate? Se avete scelto la seconda opzione, ecco alcuni motivi per cui ritenersi nel giusto. Partendo da un termine molto chic: pivotal. È questo l’aggettivo del momento. E il riferimento è per i conti di Nvidia, attesi per oggi. Arriverà, appunto, il pivot alla corsa del comparto tech-AI e del suo rapporto market cap/utili ormai saltato oppure i tremori innescati da SMCI diverranno terremoto?

Ora, date un’occhiata a questi grafici. Il primo fa riferimento alla chiusura di venerdì scorso del titolo di Elli Lilly and Company, leader della farmaceutica con sede a Indianapolis. Il secondo allo Skew delle opzioni. Avete mai visto un trend simile sulle aspettative legate alle deviazioni future nelle valutazioni di un titolo, di fatto il significato di quella metrica?

E tornando alla chart, al netto del +30% dell’ultimo mese, che ne dite di un sobrio 140,91 di PE ratio, ovvero la ratio fra prezzo e utili? Il problema, però, è prospetticamente serio. Molto più di Nvidia. Molto più di SMCI e del suo delirante indice Rsi quotidiano, quello di cui vi ho parlato diffusamente negli articoli precedenti e che determina il segnale implicito di vendita o acquisto di un titolo. Perché l’84% dei titoli azionari di Elli Lilly and Company è in mano a istituzionali. Tradotto e utilizzando l’accetta semplificativa, fondi pensione. Nella fattispecie, quelli che gestiscono i sogni di vecchiaia serena dei boomers. Nessuno si preoccupa del downside risk di quello Skew? E dei risparmi di chi accantona nei fondi pensione, in caso quel titolo basato su 140 di PE dovesse implodere?

La lezione di quanto accaduto pressoché overnight ai fondi pensione britannici per una sola, incauta uscita di politica fiscale dell’allora Primo ministro non ci ha davvero insegnato nulla. Il problema è sempre lo stesso. Duplice. Da un lato, l’ossessione del return. Mica siamo tutti Miss Watanabe, felice del suo 0,01% garantito dai titoli di Stato attraverso la manipolazione del mercato obbligazionario della Bank of Japan. Dall’altro, un Qe perenne che ha schiacciato talmente tanto al ribasso i tassi da obbligare i fondi a trasformarsi in Diogene del rendimento, armati di lanternino a cercare equivalenti di mine antiuomo da piazzare nei bilanci per evitare sommosse alla presentazione dei conti. L’avidità non è eliminabile per legge. Fa parte della natura umana. Chiaramente, esiste gestore e gestore. C’è quello che ti dice le cose come stanno, c’è chi ti offre scorciatoie e c’è chi evita accuratamente di prospettare le controindicazioni. D’altronde, fino a quando certi azzardi non finiscono sulla prima pagina del giornale sotto forma di crisi inaspettata, chi guarda nei portfolios?

Questa è l’altra faccia del mercato. Quella che non fa notizia. Se non, appunto, fino al prossimo morphing da El Dorado a Caporetto. Gli hedge funds facciano ciò che vogliono. È la loro mission: rischiare tanto per guadagnare tanto. Chi sale in giostra, lo sa. I fondi pensione, no. O, almeno, non dovrebbero. Ma tutti, fin da ora, sappiamo che l’incidente controllato, il disastro waiting to happen reclamerà vittime. E il bacino cui attingere sarà sempre lo stesso. Poi, tutti a vedere Cento domeniche di Antonio Albanese in qualche cinema d’essai. Tanto per pulirci la coscienza.

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