L’aumento dell’inflazione sarebbe legato a fattori “temporanei” e per questo il problema, nella percezione generale, rimane contenuto. Il termine temporaneo è però fuorviante sia perché nessuno specifica quanto questa temporaneità possa durare, sia perché l’aumento dei prezzi non è mai “temporaneo”; una volta che sono saliti i prezzi scendono con molta difficoltà e gli effetti su chi nel frattempo compra sono ovviamente duraturi. Nella fase attuale gli incrementi riguardano un numero ampio di beni.
Il prezzo del legname, per esempio, è salito ai massimi di sempre negli Stati Uniti, ma, spiegava il Wall Street Journal, gli operatori non sembravano avere alcuna intenzione di costruire nuove segherie e si “accontentano” di incassare prezzi record. A causa dei tempi di programmazione e costruzione di una nuova segheria la nuova produzione sarebbe sul mercato quando il massimo del ciclo è finito da un pezzo e quindi sarebbe un investimento “a perdere” in un’ottica pluriennale. Nessuno assicura che la domanda e i prezzi record di oggi ci siano anche quando arriva la nuova produzione tra diversi trimestri; anzi, è lecito aspettarsi che la domanda scenda. Questo approccio è comune a diversi settori e riflette una certa difficoltà a fare nuovi investimenti dopo una fase volatile. C’è però di più.
L’esempio dell’industria del legname è utile per sollevare una questione. Il crollo delle nascite del 2020 e ancora di più nel 2021 sono un’enorme forza deflattiva perché tutta l’industria avrà strutturalmente bisogno di costruire meno case o di costruirne di più piccole semplicemente perché il numero di potenziali consumatori cresce molto meno o addirittura si riduce. L’equilibrio tra offerta potenziale e domanda si sposta quindi strutturalmente verso una situazione di sovracapacità che non fa mai bene ai prezzi.
Le banche centrali stampano moneta per sostenere l’economia e la moneta stampata alimenta da anni e ancora di più in questi mesi fenomeni di bolle “finanziarie” che non si fermano alle quotazioni di azioni o obbligazioni, ma arrivano a toccare i prezzi delle case, delle materie prime, del legname e così via. L’aumento dei prezzi si scarica “asimmetricamente”. Chi ha asset finanziari che vengono gonfiati da queste politiche riesce a controbilanciare chi non ne ha, tendenzialmente i giovani che entrano sul mercato del lavoro o le famiglie, “perde”.
Le case, dopo l’incremento dei prezzi del legname per esempio, costano di più per tutti e costano di più per tutti subito e molto prima di qualsiasi incremento dei salari. Chi non possedeva già da mesi azioni di società che vendono legname non ha modo di controbilanciare.
L’azione delle banche centrali tiene artificialmente alti i prezzi per salvare la “finanza”, ma in un certo senso “sostituisce” un numero di consumatori in discesa con “carta”. Il crollo delle nascite dovrebbe far scendere il prezzo del legname che invece sale. Questo vale per la stragrande maggioranza dei beni. Questa politica aggrava il problema e non lo risolve in nessun modo. Prezzi delle case più alti, e così via per la benzina, il rame e l’acciaio sono certamente un fattore “demografico” negativo che alimenta un circolo vizioso.
Si potrebbe interpretare questo fenomeno come la sostituzione di domanda vera con domanda “finta” grazie all’emissione di nuova carta. In un meccanismo, però, che perpetua e alimenta il problema.
Si può dire che le banche centrali stiano cercando di combattere gli effetti della denatalità? E che il modo con cui lo combattono aggrava il problema? È una domanda aperta, ma sappiamo già che bassa natalità e debiti pubblici alti nel mondo sono due fattori con una sorprendente coincidenza. L’Italia in Europa, il Giappone in Asia dove già l’aspettativa di vita è ai massimi. Anche la natalità americana sta calando sensibilmente.
L’immigrazione è una soluzione sicuramente costosissima dal punto di vista sociale e della formazione, ma a questo proposito bisogna fare una precisazione. L’aumento dei prezzi degli alimentari è tanto più negativo quanto più la spesa per alimentari è alta in percentuale dei salari come accade nei Paesi in via di sviluppo.
La frenata del numero di consumatori via crollo della natalità apre le porte della prossima crisi secondo un meccanismo che è del tutto intuitivo per quanto poco discusso.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI