La Legge di bilancio è approdata in Parlamento. E ora cominciano i conti reali. Quelli da fare con il foglio e la penna e non quelli da volo pindarico della campagna elettorale. Perché dopo un paio di giorni di imbarazzato rinvio, venerdì l’arrivo ufficiale del Dpb (Documento programmatico di bilancio) ha tolto ogni dubbio. La manovra contiene 16 miliardi di euro fra tagli di spesa (9,8 miliardi) e aumenti di entrate (6,3 miliardi) senza copertura dichiarata e specificata. Paradossalmente, però, c’è di peggio. E lo mostra questa immagine, questo strappo del Dpb: questo è il dettaglio al riguardo che abbiamo inviato a Bruxelles. Ovvero, a quell’Europa che sembra attenderci perennemente con la matita rossa in mano, noi abbiamo appena fornito un assist senza precedenti per bacchettarci. Penso sia quasi un unicum.
Quella voce Varie è una sorta di resa di fronte alla realtà. La quale, meglio essere chiari, implica delle responsabilità che sarebbe atto di malafede imputare totalmente a un Governo in carica solo da un mese o poco più. Tocca prendere atto che le casse del Paese portato in trionfo dall’Economist e con un Pil al 6,6% grazie al doping del superbonus 110%, sono vuote. O poco più. E con una sconfitta politico-diplomatica appena consumatasi sul price cap del gas che rappresenta qualcosa di più di un mero smacco: è un danno prospettico enorme che il mercato del premio di rischio sovrano rischia di dover incorporare subito.
E quando cadrà quel subito sul calendario della vita politica nazionale? Nel momento stesso in cui si arrivi al redde rationem. Perché signori, quel buco di copertura con il passare delle ore e dei giorni presuppone solo due epiloghi possibili. Primo, una vagonata di nuove tasse e maxi-tagli alla spesa. Due, l’esercizio provvisorio. E, sinceramente, non so cosa dei due sia peggio. D’altronde, la quadratura del cerchio è esercizio impossibile. Quando la tua capacità di spesa è limitata a 35 miliardi di euro e di questi 21 devono obbligatoriamente essere destinati a un tentativo abbozzato per la difesa di economia e risparmio dal caro-bollette, tutto diviene automatico. Puoi solo utilizzare il bilancino. Cercando – come tradizione italica impone – di non scontentare nessuno. O, in subordine, di scontentare chi è politicamente meno affine a te. Tradotto, il tuo bacino elettorale di riferimento godrà comunque di un occhio di riguardo. Come, ad esempio, il tetto sul contante o l’eliminazione dell’obbligo di Pos sotto i 30 euro. E non pensiate che l’obbligo contemporaneo introdotto per le somme superiori a 60 euro possa controbilanciare: al di sopra dei 50 euro, quasi sempre si tende a pagare elettronicamente. Già ora. È per cifre basse che si vuole evitare la tracciatura. E, magari, lo scontrino. Perché la spesa sotto i 50 euro, soprattutto per alcune categorie merceologiche, rappresenta il 90% dell’importo medio.
Ora, però, occorre scegliere. Dove si taglierà, eventualmente? Come al solito, sanità e istruzione? Una cosa è certa: flirtare con il rischio dell’esercizio provvisorio equivale a mettere la propria vita in mano a un giro di roulette russa. Perché si blocca totalmente la possibilità di indebitamento e ci si deve arrangiare con la spesa corrente. E con una recessione nell’Eurozona ormai certificata per il 2023, mentre i prezzi volano al 12% di tasso di inflazione e i salari restano invece al palo. A tutto questo, occorre unire il rischio maggiore a livello istituzionale: quanta pazienza possiamo aspettarci da parte dell’Europa, prima che comincino a circolare formule come procedura d’infrazione e, soprattutto, minacce di sospensione o taglio dei fondi del Pnrr?
E qui sorge un dubbio: non sarà che quei 16 miliardi di coperture siano stati volutamente dimenticati od omessi? Perché in punta di emergenza, quando all’esercizio provvisorio mancheranno poche ore, persino l’opposizione – quantomeno quella molto dialogante alla Calenda – farà appello al Paese, affinché accetti di buon grado tagli o tasse per scongiurare il rischio peggiore in assoluto. Tradotto, il Governo sovranista e che intendeva far finire la pacchia all’Europa, procederà sotto mentite spoglie e travestito da pompiere nell’esatto solco lasciato dall’Esecutivo Draghi. Varerà insomma i piani di riforma e intervento imposti da Bruxelles come conditio sine qua non per ottenere i finanziamenti, ma, per evitare di perdere la faccia (e i voti), dissimulerà il tutto come precipitare ulteriore della situazione legata alla guerra. Magari mettendo in mezzo l’ennesima tragedia annunciata di Ischia come bandierina di sponsorizzazione politica della nostra necessità del Pnrr e dei suoi fondi per mettere in sicurezza il Paese.
Sembra un copione già scritto. E lo è. Attenzione, però. Perché a quel punto, il gioco si farà davvero azzardato. Perché se una strategia tale spiegherebbe la mezza marcia indietro sul Reddito di cittadinanza, quel 2023 posto come argine di transizione per evitare subito le barricate, dall’altra parte abbiamo a che fare con un rischio di contrazione per l’anno a venire che va oltre la mera questione energetica. Se tutto rallenta, come la nuova esplosione di casi Covid in Cina e il crollo del prezzo del petrolio paiono testimoniare, il combinato disposto rischia di tramutarsi in stagnazione di lungo periodo. Preceduta però da un violentissimo processo di ristrutturazione. Tradotto, si taglia. E poi si attende, mandando ovviamente in pensione ogni anche pur minimo stanziamento in CapEx.
I salari, poi, scordatevi che salgano oltre quegli 11 euro al mese garantiti dall’intervento-bonsai sul cuneo fiscale. Non è un caso che Il Sole 24 Ore nella sua edizione domenicale abbia quindi dedicato una pagina al rischio di stretta sulla domanda di Btp per il 2023. E attenzione, perché il catenaccio scelto per quell’articolo si traduce nel disvelamento dell’ennesimo segreto di Pulcinella: Il MEF confida che banche e assicurazioni continuino a comprare titoli di Stato ma pesano le condizioni Ue più stringenti.
Ora, questo grafico ci mostra plasticamente la composizione percentuale delle attuali detenzioni del nostro debito pubblico: l’area in rosa è quella auspicata come fedele prestatore di ultima istanza dal Mef, banche e assicurazioni appunto. Quella rossa sono gli investitori stranieri in perenne trend di calo, mentre quella azzurra è la Bce, attualmente attiva attraverso il reinvestimento titoli.
La prospettiva cui lavorare, in punta di realismo, sarebbe quella di una diminuzione fino alla sparizione dell’area azzurra e di un aumento di quella rossa, stante il maggior profilo di credibilità dei conti del Paese. Già oggi, invece, il Mef pare ragionare come se l’area azzurra restasse almeno tale e crescesse ancora quella rosa. Il doom loop, un vecchio mantra che non passa mai. Magari finanziato con i soldi del prestito Tltro che non si rimborseranno in anticipo nemmeno nella scadenza di dicembre. Ma che, così facendo, continueranno a essere tolti di fatto dagli attivi per famiglie e imprese. E se, come lascia intendere la frase finale del catenaccio del Sole 24 Ore, l’Ue decidesse di tornare alla carica – anche solo come minaccia – con il tetto alle detenzioni di debito nazionale per banche e assicurazioni? Effetto 2011 garantito. E addio Governo sovranista. Non a caso, il Terzo Polo già oggi offre responsabile e disinteressata collaborazione.
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