Non ho particolare nostalgia del Governo Draghi. Trovo che l’Esecutivo guidato dall’ex numero uno della Bce abbia goduto di una narrativa al limite dell’apologia anche quando ha fallito, vedi la crociata sul tetto del gas terminata ingloriosamente martedì con la vittoria del fronte del Nord e l’imposizione di un cap talmente alto da renderlo totalmente inutile. Altresì, mi inquieta e non poco la totale dipendenza dal gas algerino a cui il blitz estivo di Mario Draghi ci ha consegnato, stante un’adesione di Algeri ai Brics che certo non parla la lingua di un futuro atteggiamento ostile verso Mosca. E Pechino. La quale – mentre noi ci preoccupiamo delle fasce arcobaleno dei capitani delle nazionali – ha siglato un accordo di fornitura di LNG con il Qatar per la durata di 27 anni attraverso Sinopec. Un contratto che, da oggi al 2050, vedrà la Cina come destinazione prioritaria del gas liquefatto del mega-progetto North Field. Questo mi preoccupa. Oltre all’idea che, a trattare anche con il Qatar, l’Ue abbia deciso di inviare – lautamente stipendiato – Luigi Di Maio, garanzia di prezzi alle stelle e forniture col contagocce.



Detto questo e alla luce delle colonne da cui sto scrivendo, occorrerebbe non gettare con l’acqua molto sporca di un Esecutivo che ha lasciato le casse vuote, anche il bambino dei buoni propositi sotto cui si aprì l’esperienza politica di Mario Draghi. Ovvero, quel concetto di debito buono espresso dal palco del Meeting di Rimini. Non ne abbiamo visto traccia. Perché il superbonus 110% non si configura come tale, bensì come l’ennesimo esempio di sussidio a carissimo prezzo a un settore la cui prerogativa è garantire un effetto volano immediato alle tracciature del Pil. Non a caso, abbiamo fatto il trenino con il +6,6% di crescita e con i riconoscimenti dell’Economist, salvo ritrovarci con risorse pressoché zero da destinare alla Legge di bilancio appena approvata. Perché quando su 35 miliardi scarsi, i due terzi vanno giocoforza destinati al contrasto al caro-bollette, c’è poco da inventarsi. Si opera di bilancino ma non si incide, di fatto si fa melina a centrocampo.



E la riprova sta nel ridicolo aumento di 11 euro al mese in busta paga di cui godranno le fasce meno abbienti dei lavoratori, grazie al mini-intervento sul cuneo fiscale. Meglio di un dito nell’occhio ma nulla che ti cambi la vita. Anzi, da un certo punto di vista, quasi una presa per i fondelli in un momento con pochi precedenti per drammaticità economica. Ecco quindi che guardare all’estero può essere utile, quantomeno per valutare come si stiano muovendo i Paesi europei e vedere se non sia il caso di copiare qualcosa.

Inutile guardare alla Germania, la quale può permettersi fondi da 200 miliardi grazie ai suoi conti. E anche la Francia viaggia su binari decisamente diversi dai nostri, questo grazie a una classe politica che l’interesse nazionale lo fa davvero. Da sempre. E senza bisogno degli slogan stile Visegrad all’amatriciana. Preferisce i fatti. La Spagna, però, rappresenta un termine di paragone calzante. Perché come noi, è molto indebitata. E con un sistema bancario a dir poco problematico, stante i 50 miliardi messi in campo dall’Europa non più tardi del 2012 per salvarlo.



Bene, guardate questi due grafici, i quali ci mostrano plasticamente cosa significhi avere una politica energetica pragmatica ed efficiente. E, soprattutto, cosa significhi avere abbondanza di hub per la rigassificazione.

Nel mese di ottobre, il tasso di inflazione spagnolo su base annua è sceso al 7,3% dall’8,9% di settembre. Perché? Semplice, da un lato la componente energetica pesa tantissimo nel CPI dell’Eurozona, dall’altro il clima finora mite e proprio le alternative di approvvigionamento hanno garantito un effetto di compressione enorme. Tanto da azzerare del tutto le spinte in senso opposto del costo degli alimentari. E la seconda immagine è ancora più chiara, poiché ci mostra come Spagna e Francia, grazie alle loro politiche energetiche che ora diverranno anche pipeline comune per gas LNG in arrivo sulle coste iberiche e con direttrice da Barcellona a Marsiglia, godano dell’incidenza dell’inflazione più bassa dell’Eurozona. Quantomeno, sideralmente inferiore a quella tedesca e alla nostra, arrivata a ottobre al 12% e con un+3% su base mensile. Aumento che il Governo pare voler contrastare con 11 euro in più al mese in busta paga.

Cos’ha invece appena annunciato l’esecutivo spagnolo guidato da Pedro Sanchez, forte di un accordo con l’Associazione bancaria iberica, seppur fra qualche mugugno di Santander? In primis, il Governo ha abbassato la soglia di povertà che garantisce il regime mutuatario privilegiato a 25.200 euro dai precedenti 29.400 euro, ampliando quindi automaticamente la platea dei titolari di mutuo che potranno rinegoziare a tassi più bassi e condizioni migliori il loro contratto con la banca. Il grace period di 5 anni consentirà, oltre alla rinegoziazione, anche la possibilità ritardare i pagamenti sul capitale senza penalità ed evitare per legge default e cancellazione del mutuo. Di più, il grace period legato alla cancellazione del debito è stato prolungato di due anni e include la possibilità di una seconda ristrutturazione, se necessaria.

Inoltre, i nuclei famigliari giudicati vulnerabili su base immobiliare, ovvero costretti a destinare oltre il 50% del loro reddito mensile per spese fisse legate alla casa, potranno beneficiare del grace period supplementare di due anni in automatico, anche se non rientrano nella fascia protetta di convenzione fra Stato e banche, poiché l’aumento della rata non è stato superiore al 50%. Infine, l’abbassamento della soglia di vulnerabilità garantirà, a chi ne entrerà a far parte, un congelamento di 12 mesi delle rate del mutuo, un tasso più basso sul mutuo differito e un’astensione del prestito, se il peso dell’onere immobiliare rappresenta più del 30% del reddito del nucleo e se il costo è aumentato di almeno il 20%.

Qualcosa più degli 11 euro al mese in busta paga. Un aiuto vero, concreto. E fatto da un Paese che, a livello di conti, certamente non è la Germania. Ma che ha una visione. E il coraggio di dire alle banche che, dopo anni di aiuti, ora tocca a loro aiutare. Perché stante una Bce che ancora opera reinvestimento e fondi Tltro restituiti con il contagocce, i Bonos e il loro spread non paiono un’emergenza immediata. La casa, sì. E scudare adesso, equivale a non fare i conti con una crisi sociale devastante per l’economia e la tenuta del Paese, oltre che un’ovvia crescita delle sofferenze. Le quali oggi sono al quasi minimo storico del 3,9%, mentre solo nel dicembre del 2013 erano al 13,6%. E quel calo non è certo tutto farina del sacco di professionalità dei banchieri.

Ecco un esempio di debito buono e, soprattutto, di intervento pubblico lungimirante. Come dimostrato dall’esempio, sempre spagnolo, del finanziamento a deficit del comparto turistico per garantire un effetto boost alle entrate nella prima estate dopo il lockdown. Non a caso, la Spagna ha fatto il pieno. E ripagato con gli interessi lo scostamento.

Al netto dell’identità smaccatamente di sinistra dell’esecutivo Sanchez, davvero a Roma non ritengono meritevole di attenzione quanto deciso da un Paese gemello in fatto di rogne sui conti? O forse pensiamo di evitare l’implosione sociale con 11 euro al mese in busta paga?

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