I media italiani si sono ben guardati dal dare la notizia. Eppure, il Financial Times ne ha riferito con una certa evidenza e dovizia di particolari (“Ukraine strikes deal to restructure $20bn of debt”). Già qui, chiedetevi il perché. A scatola chiusa.

Il 22 luglio, mentre l’unica notizia che apparentemente interessava questo mondo era la staffetta Biden-Harris, l’Ucraina ha evitato il default. E sapete come? Dando vita a una ristrutturazione last-minute del suo debito estero a condizioni pressoché mai viste. Un timing a dir poco sospetto, se messo in relazione a quanto avveniva Oltreoceano. E confermarlo con toni trionfalistici è stato il ministro delle Finanze. Serhii Marchenko, a detta del quale l’Ucraina ha raggiunto un accordo di principio con il comitato dei detentori di Eurobond. A stretto giro di posta, il Primo ministro di Kiev, Denys Shmyhal, ha sottolineato come l’accordo includa haircuts per gli investitori che garantiranno al nostro Paese risparmi per oltre 11,4 miliardi nei prossimi tre anni e di 22,75 miliardi entro il 2033.



A menare le danze, i principali players di investimento del mondo, fra cui BlackRock, Amundi e Amia Capital, i quali hanno dato via libera a un write-off di parte dei 23,4 miliardi di debito a scadenza attraverso uno scambio obbligazionario fra i vecchi bond a rischio default e nuova carta che avrà maturazione fino a 12 anni dall’attuale emissione. Detto fatto, dal 22 luglio Kiev ha tirato un colossale sospiro di sollievo nei conti pubblici. Nulla da pagare ai creditori esteri per quest’anno e solo 200 milioni per il 2025 con la prima tranche fissata a febbraio. Le condizioni imposte dal precedente accordo, qual erano invece? Qualcosa come 5 miliardi da sborsare nei prossimi 12 mesi. Per almeno un anno e mezzo, le casse ucraine sono invece salve. E i proventi di tutto ciò che arriva dall’Occidente, utili degli assets russi reinvestiti dal G7 in testa, potranno finire nella macchina bellica. O, conoscendo l’Ucraina, chissà dove.



Davvero una fortuna. Perché il precedente piano di ristrutturazione del debito estero sarebbe scaduto il prossimo 1 agosto. E al netto del grace period che la Nato avrebbe garantito con la sua moral suasion verso i creditori, questo avrebbe significato l’obbligo di saldare due anni di coupon arretrati nei confronti dei detentori di bond. Altrimenti, di fatto, default. Quello che le grancasse mediatiche occidentali prefiguravano per Mosca grazie alle sanzioni, energetiche e finanziarie. Una nemesi non male. Soprattutto, un rischioso disvelamento della verità sull’intera operazione Ucraina gestita da Usa e alleati per scopi tutt’altro che nobili. Ma era impossibile accettare un simile epilogo, soprattutto ora che la campagna elettorale Usa entrava realmente nel vivo con il pensionamento irrituale di Joe Biden e il potenziale ritorno dei falchi atlantisti dem a Pennsylvania Avenue.



E che qualcosa andasse fatto e in tempi rapidi, lo dimostra lo sblocco a tempo di record nell’impasse legata alle trattative formali, quelle di fatto gestite con la mediazione del Fmi e che si erano impantanate in un tira e molla sulle condizioni di ristrutturazione fra Kiev e i creditori. Il tempo stava rapidamente scadendo. Tanto che lo scorso 18 luglio, probabilmente su suggerimento da fonte di Washington certa dell’epilogo favorevole, il Parlamento ucraino aveva dato luce verde a una legge che consentiva al Governo di sospendere tutti i pagamenti legati al debito estero fino al 1 ottobre prossimo. Alla base delle contrapposizioni, le condizioni legate al taglio dei rendimenti obbligazionari, il cosiddetto haircut. Il ministero delle Finanze ucraino chiedeva una sforbiciata del 60%, i creditori rispondevano offrendo al massimo un 22% di riduzione. Stallo. Pericolosissimo, stante l’approssimarsi della deadline del 1 agosto. Tanto da spingere Kiev ad abbassare le pretese a un 40%.

Quattro giorni e, magicamente, l’accordo. I creditori da posizioni inamovibile al di sopra del 22%, accettavano un haircut nominale del 37%, tale da garantire un’immediata riduzione dello stock di debito dovuto dall’Ucraina di 8,5 miliardi. Ma calcolato e ponderato in base al cosiddetto NPV (Net Present Value), il taglio reale si sostanzia di fatto in quasi il 60%. Unica concessione dell’Ucraina ai creditori, l’emissione di warrants legati al Pil che garantirebbero un introito extra a creditori. Ma in caso di rimbalzo del tasso di crescita economica del Paese. Insomma, si vedrà. E soltanto attraverso un aumento sull’ammontare dei bond con scadenza 2035 e 2036. Mentre il taglio è reale. E immediato. E questo permetterà a Kiev di incamerare anche la prossima tranche dell’EEF, l’Extend Fund Facility del Fmi, il quale avrebbe avuto qualche piccolo problema procedurale nell’esborso di altri aiuti nei confronti di un Paese andato in default. Le norme sulla tutela dei creditori parlano chiaro, in tal senso. E invece, ora via libera ai 2,2 miliardi della quarta rata, annunciato dopo l’ennesima farsesca review e confermato da un comunicato del 28 giugno scorso.

Dall’inizio delle ostilità, Kiev ha già ricevuto dal Fmi qualcosa come 10,2 miliardi di dollari. Tanto per capirci, l’ultima manovra finanziaria ha visto l’Ucraina presentarsi con un aumento della spesa tale (60% delle quali per Difesa) da configurare un deficit da 43 miliardi di dollari, in gran parte coperto dai 38 miliardi di sostegni internazionali previsti per il 2024. Ma occorreva ripagare i creditori esteri. E allora, altro giro, altro regalo. Un accordo di ristrutturazione che nessun Paese aveva ottenuto finora. Praticamente, un anno e mezzo di grace period totale. E poi, pagamento dei nuovi coupon e promessa di maggiorazione tramite warrants legati al Pil. Ma si sa, nulla è più manipolabile del dato di crescita. Solo l’inflazione che indicizza i Btp per i gonzi, forse. Unite a questo il mega-fondo da 50 miliardi del G7 tramite prestito legato alla confisca degli assets russi e all’utilizzo dei loro utili generati e capirete da soli come un Paese il cui territorio al 70% ha visto missili russi solo nei tg della sera, fra poco si tramuterà nella Svizzera post-sovietica. E il quale, come ringraziamento per lo sconto sul debito, ora blocca il flusso delle pipeline di Lukoil attraverso l’Ungheria e verso quella stessa Europa che lo finanzia. Mentre voi attendete un anno per una TAC o una mammografia.

Ricordatevene fra un paio di mesi, quando il Def comincerà a mietere tagli. Altro che sudare per Kiev.

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