Per combattere i cinesi, dobbiamo arrivare ad avere una struttura dei costi comparabile. Alternativamente, l’Europa dovrà decidere di chiudere le sue frontiere almeno parzialmente verso i rivali cinesi. In ultima istanza, se l’Europa non vuole porsi in questa posizione, dobbiamo lavorare più duramente sul lato della competitività del nostro lavoro. Così parlò – interpellato da Bloomberg – Carlos Tavares, Ceo di Stellantis. Parole pronunciate poco più di un mese fa. Oggi, qualcosa è cambiato. L’Europarlamento ha dato il via libera finale allo stop verso i motori diesel e benzina entro il 2035, aprendo di fatto una nuova era. Già bocciata come autolesionistica dal numero uno dei produttori di auto europei e Ceo di Renault. E la Cina si frega le mani.
Interpellato sempre da Bloomberg, ecco cosa ha dichiarato il vice-presidente delle overseas operations di Aiways Automobiles, Alexander Klose: Lo switch verso le batterie ha fatto in modo che il motore di un’auto non sia più un elemento di differenziazione. Questo ha creato un livello nel campo di gioco operativo completamente differente. E come mostra il grafico, i brands cinesi hanno ormai colmato il gap di qualità e affidabilità con quelli statunitensi.
Insomma, se la logica della cineseria ormai non vale più per il comparto tech, dopo che il mondo ha scoperto come i marchi più trendy della moda occidentale spesso e volentieri fabbrichino i loro capi proprio in Cina, adesso anche il settore automotive rischia di partire senza più handicap golfistico. Utilizzare come arma (spuntata) anti-dumping la retorica della qualità da manifattura di sottoscala, non regge più. Anzi, rischia di rivelarsi controproducente. I dati parlano chiaro e questo secondo grafico lo mostra plasticamente: la Cina è ormai prossima a raggiungere la Germania come secondo esportatore globale di veicoli per passeggeri (il Giappone resta saldamente in testa), superando sia gli Usa che la Corea del Sud.
Le spedizioni overseas di veicoli cinesi nel 2022 sono arrivate a 2,5 milioni di unità, un aumento di 3x solo dal 2020. Insomma, c’è poco da stare allegri. Ma, soprattutto, viene da domandarsi quale ratio – alla luce di questi numeri – abbia spinto l’Europarlamento a decretare l’eutanasia del motore termico, di fatto costringendo l’industria europea a gareggiare simbolicamente con i pesi alle caviglie. Non a caso, il voto è stato tutt’altro che plebiscitario. E la maggioranza tutt’altro che bulgara: 340 voti favorevoli, 279 contrari e 21 astenuti.
In compenso, l’approdo della materia al voto definitivo dell’Aula di Bruxelles è stato sapientemente coperto da uno scoppio ritardato del Qatargate e dalla sparata del New York Times contro Ursula von der Leyen per i rapporti con Pfizer. Nel primo caso, ennesimo nulla che si somma al nulla precedente, tanto che uno dei fermati ha sarcasticamente reso noto agli inquirenti come li attendesse da tempo. Nel secondo, niente più che una trovata pubblicitaria destinata a rimanere lettera morta a livello di aule di tribunale. Ma generare un po’ di utilissimo chiasso su Twitter e nelle chat dei no-vax, a loro volta professionisti nel garantire fumo amico a chi di cortine disinformative si nutre. Nel frattempo, si decide di rendere la vita complicata a uno dei settori chiave della propria economia. Tutto normale? Tutti in buonafede?
Ora, da qui a pensare che una composita maggioranza di europarlamentari possa aver deciso di vendersi alla Cina ci passa l’Oceano. E anche il dubbio che il Qatargate sia servito come elemento di distrazione di massa rispetto a scelte decisamente più importanti e vincolanti della buona pubblicità per i Mondiali di calcio appare molto estremo. Però, qualcosa stona. O, forse, merita soltanto di essere letto da un’angolazione differente. Se infatti la Cina ha costruito negli anni il suo ruolo di potenziale, secondo esportatore al mondo di autoveicoli per passeggeri, qualcuno potrebbe essere preoccupato. E non tanto l’Europa, quanto quegli Usa che per anni hanno guerreggiato con la Germania – ricordate gli scandali a orologeria sui test per le emissioni truccati e le cause miliardarie dei tribunali statunitensi contro Volkswagen? – per un posto sul podio mondiale e ora si vedono appaiati a Seul come principali concorrenti al gradino più basso dello stesso. Restandone per ora addirittura esclusi. Fossi un decisore statunitense, cosa sceglierei di fare? Guerra frontale contro la Cina, un nuovo conflitto commerciale dopo quello farsesco posto in essere da Donald Trump e che ha di fatto garantito a Pechino di crescere ai livelli attuali? Oppure operare di sponda, fiaccando il competitor europeo, il quale a differenza di Pechino è totalmente scevro da spiriti di contrapposizione, tanto più bellica, stante la collocazione atlantica?
Postura quest’ultima resa addirittura parossistica dal conflitto in Ucraina, il quale non a caso ha portato come criticità accessoria una crisi energetica che ha colpito durissimo il comparto automotive, sia a livello di costi della bolletta per un settore notoriamente energivoro, sia per i danni inferti alla supply chain della componentistica dal combinato congiunto prima di lockdown globale da pandemia e poi di regime sanzionatorio.
Insomma, parte dell’Europarlamento non si è venduto agli interessi cinesi ma a quelli statunitensi? Anche posta così, la questione sembra ridursi a una logica da Tangentopoli, mazzette contro favori. E certamente non è questo il caso. Resta il fatto che, numeri alla mano, una scelta così draconiana come quella sancita dal voto di Bruxelles appare un suicidio su tutta la linea. Non a caso, denunciato in tal senso dagli stessi players principali del comparto. A questo punto, qualcuno dovrebbe dare delle risposte. Perché al netto delle narrative ambientaliste che ormai non fanno più presa nemmeno sui social o su Repubblica (a proposito, Greta Thunberg non ha nulla da dire sulla nube tossica che sta uccidendo animali, inquinando falde acquifere e devastando l’ambiente in Ohio da tre giorni?), qualcosa sfugge. E può facilmente tramutarsi in sospetto, a sua volta anticamera più che giustificata della nuova emergenza democratica: l’astensionismo. Nel frattempo, la Cina ride a crepapelle. Mentre Washington, per ora, si limita a farlo sotto i baffi.
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