Non alzeremo i tassi in condizioni di mercato instabili. A poco meno di metà seduta di contrattazioni, il governatore della Bank of Japan ha rotto gli indugi. E gettato la maschera. Detto fatto, ribassi rimangiato e Nikkei che festeggia. Perché senza questa clamorosa sconfessione del ritocco all’insù deciso solo la scorsa settimana, l’indice giapponese avrebbe dovuto mostrare al mondo il clamoroso rimbalzo del gatto morto sostanziatosi martedì. E al netto di JP Morgan che rendeva noto come lo smobilizzo dei carry trades fosse compiuto solo a metà, qualcuno avrebbe potuto avere la tentazione di una seconda liquidazione.



Insomma, tutto come previsto. La Bank of Japan ha operato il più classico degli incidenti controllati. E ottenuto un risultato immediato: fine del ciclo rialzista. E senza dover ammettere che, dopo 10 anni di Qe sistemico, semplicemente il Paese e la sua economia sono spalle al muro e incapaci di vivere a tassi positivi. La colpa è del mercato instabile. E a renderlo tale non è stata la stessa Bank of Japan con la sua mossa da kamikaze, bensì il timore di recessione negli Usa innescato da un singolo dato occupazionale negativo dopo 8 trimestri di manipolazioni al rialzo. E ora, all’arco del coro degli esperti si è aggiunta una nuova freccia: la colpa della recessione è della Fed che ha atteso troppo prima di tagliare i tassi. Nemmeno una serie di Netflix sarebbe così perfetta e contemporaneamente scontata a livello di sceneggiatura.



Volete ridere? Date un’occhiata qui. Pur di giustificare il nuovo Qe in lavorazione, negli Usa hanno ritirato fuori dall’armadio un armamentario macro-economico novecentesco come la Taylor Rule. La quale, ora, fa decisamente comodo.

Perché in base alle prezzature, la Fed da qui a fine anno dovrebbe tagliare i tassi di 170 punti! Come la chiamate un’inversione a U del genere di politica monetaria, se non un Qe mascherato e una clessidra che ormai non ha più sabbia da far scorrere per giocare con il cronometro dell’azzardo morale?

Nel frattempo, il Tesoro Usa ha reso noto il calendario di buybacks di Treasuries da qui a ottobre. Eh già, la versione in sedicesimi di Operation Twist che doveva terminare a luglio non solo ha visto il controvalore di ogni operazione salire da 15 a 30 miliardi, ma ora aumenterà ulteriormente a 46 e andrà avanti fino alle presidenziali del 5 novembre. Tu guarda le combinazioni, a volte. Nel frattempo, per la prima volta dal maggio 2021, il reverse repo è sceso sotto quota 300 miliardi. Solo la scorsa settimana era a 420. Di fatto, si sta drenando tutta la liquidità possibile, pur di rimandare al massimo l’annuncio di un nuovo programma espansivo e contemporaneamente non far esplodere l’overnight e congelare il mercato dei bond. Per i tagli drastici dei tassi occorre ancora pazienza. Perché ora si opera con il bilancino politico. Se per caso qualcuno azzardasse una riunione emergenziale della Fed prima del consesso di Jackson Hole (22-24 agosto), Donald Trump – di per sé già poco estimatore di Jerome Powell – potrebbe attaccare la Banca centrale, di fatto tacciandola di intromissione nella campagna elettorale. Perché tagliare di netto, magari 75 punti base in un solo colpo, manderebbe Wall Street letteralmente in orbita. E, di fatto, scatenerebbe tutti gli animal spirits macro-economici possibili. Chiaramente, i Democratici avrebbero gioco facile nel rivendicare il risultato come eredità della Bidenomics, i cui fondamentali solidi avevano bisogno soltanto di un aiutino.



Vi avevo anticipato che il mese di agosto sarebbe stato di quelli da ricordare. E se questi pochi giorni rappresentano lo spoiler, meglio allacciare le cinture. Perché la mossa giapponese, ad esempio, ha sì evitato un altro tonfo del Nikkei, ma, ovviamente, fatto riprecipitare lo yen nel cambio con il dollaro. E ora, si lascia che la valuta affondi? Dopo aver speso 65 miliardi per evitarlo, non più tardi del mese scorso? Il Giappone, a occhio e croce, ha comunque guadagnato tempo. Perché scatenare un reset come quello degli ultimi giorni ha certamente garantito a Tokyo una swap line con la Fed in grado di mantenere il cambio in area di sicurezza. Ovvero, sotto quota 160. L’America, dal canto suo, ora ha soltanto il dilemma del timing politico da affrontare. Con la percezione di recessione alle porte e una prezzatura futures di 7 tagli dei tassi da qui al 31 dicembre, Jerome Powell può fare tutto e il contrario di tutto. Occorrerà capire chi sarà il suggeritore. E in relazione a quale agenda parallela.

Chi manca all’appello? Chi ha taciuto e tace di fronte al mezzo tsunami andato in onda? La Bce. Ovviamente. Chi pensate che sarà il fesso che si farà trovare in palese posizione di fuorigioco, quando la Fed deciderà che è giunto il momento di tagliare? E se non fosse solo un taglio, ma una vera e propria strategia emergenziale, uno shock and awe monetario? Non pensiate che quanto accaduto sia la mera evoluzione di un insieme di azzardi ed eccessi arrivati al termine della corsa di sostenibilità. Qui c’è una strategia. Pericolosa. Ma non più rinviabile. E come nel 2008, nel 2012, nel 2018 e poi con il Covid, qualcuno dovrà pagare un prezzo più alto degli altri alla regola che impone il dover stare peggio, prima di poter guarire.

Nemmeno sappiamo chi guiderà l’Europa, ancora. Nemmeno sappiamo la Bce cosa intenda fare con il Mes riformato e bloccato. Nemmeno sappiamo quanto le banche europee siano resilienti a uno shock globale. In compenso, il regolatore britannico non più tardi dell’altro giorno ha dichiarato chiaramente che gli otto principali istituti d’Oltremanica avrebbero certamente bisogno di un salvataggio che imponga fondi pubblici, in caso di un contagio giapponese della medesima magnitudo. D’altronde, il gioco sporco lassù lo hanno sempre fatto i Governi laburisti. Non è finita. Anzi, siamo solo al primo atto della recita. Mi auguro che al Mef abbiano sospeso le ferie e dato vita a una task force operativa H24. Perché l’entusiasmo fuori luogo che in queste ore sento attorno a Mps rischia di essere foriero di uno dei colpi di coda più classici del repertorio agostano.

Restate sintonizzati. Perché ci sarà da divertirsi. O da piangere.

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