È proprio vero, nulla è come appare. Oggi più che mai. Prendete il mercato azionario, ad esempio. I numeri parlano chiaro: è stato un anno record: 17 triliardi di dollari di aumento della capitalizzazione a livello globale. E come traduce questo dato di fatto, l’informazione? L’economia va a meraviglia. Balle. I dati macro del mondo sono pessimi. Per mesi e mesi si è parlato addirittura di ingresso in recessione mondiale, poi qualcosa è cambiato. Quantomeno nella narrativa, sia politica che economica e finanziaria.
Sapete quanto hanno guadagnato quest’anno le cosiddette Fang, ovvero le azioni tech più importanti (Facebook, Amazon, Netflix e Google/Alphabet)? Il 38,6%. E nel solo quarto trimestre, quello che si sta chiudendo? Il 21,3%. E sapete grazie agli acquisti onnivori di Etf della Bank of Japan, tali da aver portato la Banca centrale nipponica a essere tra i primi 10 azionisti del 90% delle aziende quotate sul Nikkei 225, quanto ha guadagnato l’indice benchmark di Tokyo? Il 19,7%. L’8,5% solo nell’ultimo trimestre. E l’EuroStoxx, nonostante la locomotiva Germania flirti ormai da trimestri con la contrazione economica, il caos Brexit e mezza eurozona sia in balia di proteste di piazza o con governi raffazzonati? Il 19,6%. Nell’ultimo trimestre, il 7,2%.
E i bond ad alto rendimento, quelli raggruppati nel ML Global High Yield, quelli che una volta venivano maneggiati soltanto dagli speculatori di professione? Il 13,3%. E nonostante la svendita di fine anno, seguita al ritorno in campo della Fed e alla corsa generalizzata verso l’azionario, negli ultimi tre mesi di quest’anno hanno comunque portato a casa un bel +3%. E il nostro Btp decennale? Nonostante il -1,3% dell’ultimo trimestre, a livello annuale ha guadagnato il 13,9%. Insomma, tutti in positivo. A livello di global market, nessun asset ha deluso. Eppure, viviamo in un momento di crisi geopolitiche estreme.
Formalmente, il Medio Oriente è sull’orlo di esplodere. Cina e Usa si fanno la guerra a livello commerciale. Il Sud America ribolle, dal Cile al Venezuela. E poi c’è il riscaldamento globale e l’inazione dei governi e degli organismi sovranazionali. Insomma, il mondo è un disastro. E per questo, i mercati festeggiano. È tutta una farsa, cari lettori. Guardate questi due grafici sovrapposti e comparati, a mio avviso l’unica notizia economica che andrebbe data non-stop, sui giornali come nei tg come sui siti web: nell’arco di un anno esatto, dalla vigilia di Natale del 2018 a quella di quest’anno, l’indicatore del mood di mercato della CNN è passato da estrema paura a estrema avidità.
Vi pare che nel medesimo arco di tempo il mondo sia migliorato in modo tale da giustificare questa inversione di rotta? In Siria e in Iraq si è smesso di morire ogni giorno per attentati e guerra? E in Afghanistan e in Yemen? Le economie reali hanno ripreso vigore, il commercio globale è migliorato, gli indicatori del Pil sono andati in controtendenza, la manifattura ha ricominciato a galoppare, i rapporti fra Paesi e continenti si sono distesi e si è intrapreso un percorso di dialogo? No. Anzi.
E cos’è cambiato, allora? Cosa ha permesso quel ribaltamento di 180 gradi nella percezione del mercato? I soldi della Fed, stampati ancora una volta dal nulla, come mostra questo grafico aggiornato al mese di dicembre.
Il debito. Il deficit. L’irresponsabilità al potere che assume la forma di nuove emissioni obbligazionarie, di acquisti delle Banche centrali, di liquidità a babbo morto, di 400 miliardi immessi nel sistema dal 17 settembre a oggi solo dalla Federal Reserve, di 51 tagli dei tassi da inizio anno, alla faccia dei processi di normalizzazione a seguito della ripresa globale, quella che doveva essere sostenuta e sostenibile. Balle. E la cosa peggiore è che quel denaro, quell’ipoteca sul futuro dei vostri figli e nipoti non serve a creare benessere generale, crescita economica, ricerca e sviluppo: no, serve solo alla Borsa, al grande casinò.
Sapete quanto ha guadagnato Wall Street dal 2008 a oggi? Il 187%. E quelle europee? Il 26%. Siete a conoscenza di miglioramenti anche solo lontanamente comparabili a queste cifre nelle dinamiche macro delle economie? Ormai lo ammettono tutti, anche chi fino a qualche mese fa si diceva certo che il Qe della Bce non sarebbe ripreso, perché la prima ondata di acquisti aveva rimesso tutto a posto. Poveretti, c’è sa sperare che siano stupidi, perché l’alternativa è che siano in malafede. O prezzolati.
Viviamo in una bolla di menzogna, necessaria per evitare che davvero la gente prenda coscienza. Ma anche qui, il problema sta alla base: chi di dovere, infatti, ha saputo ammansire le masse come si fa con i cani che cominciano ad abbaiare troppo e minacciano di dare un morso. Si è gettato loro l’osso del sovranismo, la grande panzana della riscossa popolare, la vendetta del popolo per il sacco globale del 2008, la guerra santa dei pezzenti 2.0, parafrasando Francesco Guccini. Risultato del sovranismo globale? Wall Street ai massimi grazie a buybacks e iniezioni a debito di liquidità, mentre l’economia reale non mai andata così male da un decennio.
Chi pensate che benefici maggiormente da questo epilogo? Sicuri che non ci sia lo zampino delle élites, dietro? Perché altrimenti, anche in questo caso, o i leader mondiali di questa presunta rivoluzione dal basso sono dei deficienti o sono delle più o meno inconsapevoli quinte colonne. Tertium non datur, parlano i fatti. Anzi, le cifre che ho messo in fila all’inizio dell’articolo. Tutte riferite alla finanza, nulla all’economia reale. La quale, come sapete, arranca in stagnazione nella migliore delle ipotesi. Occorre prendere coscienza, oggi più che mai. E sapete perché? Perché l’anno che sta per aprirsi, sarò decisivo. Le presidenziali Usa non saranno solo un processo democratico in cui il popolo americano sceglierà la propria guida, bensì saranno un indirizzo globale di nuova impostazione. E si sa, quando ci sono in gioco certi equilibri, tutto è lecito.
Non ci credete? Vi faccio un esempio, legato alla percezione delle notizie e al loro timing. Lunedì scorso, l’Alta corte saudita ha comminato cinque condanne a morte per l’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi nell’ambasciata di Ryad in Turchia. Il sesto imputato, consigliere speciale del principe Mohammed bin Salman, invece è stato assolto e prosciolto dall’accusa. Fin qui, nulla che stupisca. Mi chiedo e vi chiedo: sapremo mai, al netto di come la si pensi sulla pena capitale, se quelle condanne saranno davvero eseguite? E se anche lo saranno, pensate davvero che quanto voluto e perseguito da Ryad sia stato un concetto – estremizzato – di giustizia? O, forse, serviva coprire altro?
Esatto, la seconda ipotesi è quella giusta. E cosa occorreva nascondere, il più a lungo possibile. Ce lo mostra questo grafico: dopo un collocamento da record e tre giorni di rialzi, in cui è stata sfondata quota 2 triliardi di capitalizzazione, i titoli del gigante petrolifero statale Aramco hanno inanellato quattro sedute di perdita. Le quali non solo hanno rapidamente fatto dire addio a quel market cap tanto importante per Ryad, ma, soprattutto, hanno bruciato quasi tutti i guadagni post-Ipo, riportando il valore del titolo pericolosamente in area di pre-collocamento. Insomma, il probabile mezzo fallimento di cui vi ho parlato da subito, visto che quando decidi di quotarti solo a Ryad, collocare una fetta minima di azioni e farlo sostanzialmente solo a livello locale (addirittura con l’Autorità monetaria che immette liquidità con il badile, affinché le banche prestino soldi alle gente perché compri azioni) vuol dire che sai di essere disperato.
Ai sauditi servivano soldi: tanti, maledetti e subito. Sono arrivati, ma, ahimè, rischiano di non bastare. Perché se anche l’aver mantenuto il collocamento a livello interno o presso investitori-amici del Golfo garantisce Ryad dal rischio di un cash out immediato, ovvero vendita da panico subito dopo i primi rialzi, nel timore (fondato) che non reggano, quella valutazione monstre ormai è morta e sepolta e Aramco, il Sacro Graal di tutti i collocamenti, si sta rivelando il classico topolino partorito dalla montagna. Con un enorme precedente da scontare, però: essendo la comunità finanziaria occidentale restata alla finestra, ogni eventuale nuovo collocamento di titoli sconterà il flop della prima fase. Insomma, Ryad dovrà abbassare e di molto le sue pretese. E anche il market cap che si pone come obiettivo. Tradotto, molto meno denaro in cassa per finanziare il deficit e soprattutto il faraonico progetto di riforma del principe Mohammed bin Salman, il Vision 2030.
Meglio che quella notizia circoli il meno possibile, meglio che giornali e tg parlino d’altro riguardo all’Arabia Saudita. Un qualcosa che, anche se ritenuto e percepito come barbaro nei modi, comunque trasuda percezione epidermica ed emozionale di giustizia per quel giornalista macellato come una bestia. Magari, così facendo, si guadagna tempo. E la corsa al ribasso dei titoli si può arrestare, magari attraverso nuovi acquisti “pilotati”. Magari, nel frattempo, qualcosa farà schizzare in alto il prezzo del greggio. Calciare il barattolo lungo il viale e sperare, una pratica che vale in ogni parte del mondo.
Avete sentito la notizia di Aramco da qualche parte? Non penso. Quando invece il collocamento ha sfondato al rialzo la forbice di prezzo, la notizia immagino che l’abbiate letta o sentita. Vero? È tutto qui, un’enorme anestesia locale per l’opinione pubblica. Attenti, perché sta funzionando.