Meglio mettere qualche fatto in fila, perché a mio avviso siamo alla vigilia di uno snodo fondamentale della nuova crisi in atto. Finanziaria, ovviamente. Ne sono successe di cose in questo ultimo periodo, a tutti i livelli. Ovviamente, una delle più impattanti a livello di opinione pubblica è stata la violenta reazione di un’esigua minoranza di americani alla morte di George Floyd, talmente politicamente profonda e assennata da essersi caratterizzata soprattutto per espropri di massa nei grandi magazzini e vandalismi contro statue. E doveva essere così: chiassosa, violenta, iconoclasta fino all’urticante, capace di inviare uno shock lungo la spina dorsale del Paese. E, questione tutt’altro che secondaria, capace anche di un bell’effetto collaterale. Questo: quella del 24 giugno è stata la giornata con il record assoluto di nuovi contagi da Covid negli Usa, 38.672.



Il primato precedente risaliva al 25 aprile con 36.001 positivi in più. Fosse accaduto in Europa, apriti cielo. Basti vedere la fretta con cui la Germania ha reimposto il lockdown in Nord Reno-Westfalia dopo il focolaio scoppiato in un mattatoio. In America, nulla. Come fosse il picco di una normale influenza stagionale, acuito da quegli assembramenti di massa e senza protezioni: un po’ di brodo di pollo, riposo a letto e dopo tre giorni sei come nuovo. Sappiamo che non è così. Ma poco importa. E non tanto perché le autorità – Casa Bianca in testa – rassicurino e minimizzino, promettendo fin da ora che non ci sarà affatto un secondo lockdown. Bensì perché il Covid è il nuovo Isis, è il succedaneo di quello che fino allo scorso dicembre è stata la disputa commerciale con la Cina: serve come catalizzatore delle Borse e come cortina fumogena per gli errori madornali e pericolosi della Fed.



Torniamo un secondo indietro, per l’esattezza allo scorso autunno, prima della firma della mitologica Phase One fra Washington e Pechino poco prima di Natale. E guardate questi due grafici: il primo mostra come appunto la trade war fra le due potenze avesse scalzato in maniera poderosa ogni altro rischio sistemico dal computo degli eventi capaci di generare incertezza politica a livello globale nella loro serie storica di tracciamento.

Il secondo, mostra di fatto il contrario, se riferito alla Borsa: più notizie continuavano a uscire sulle trattative (vere o false, poco importa, l’importante era il loro carattere alluvionale, a getto continuo perfetto per gli algoritmi social), più l’indice della volatilità di mercato scendeva. Nel mondo folle delle Banche centrali – all’epoca la Fed era già tornata in campo per placare le turbolenze sul mercato repo, scoppiate il 17 settembre -, serve qualcosa che indirizzi gli automatismi tech come cani di Pavlov. E siccome i dati macro erano da mani nei capelli, quindi inutilizzabili se si volevano evitare sell-off generalizzate, ecco saltare fuori il quotidiano driver di rialzi, ma anche l’accelerante di cicliche correzioni: la guerra commerciale e il suo diluvio h24 di news, spesso in contraddizione fra loro. La tempesta perfetta.



Con il Covid, cari lettori, si sta operando nella stessa maniera. Di fatto, la pandemia ha evitato una rogna all’amministrazione Usa, la quale altrimenti avrebbe dovuto inventarsi qualche altra emergenza market mover a tavolino, come ad esempio un attacco all’Iran. E invece, la pandemia ha offerto l’alibi perfetto. Cui unire, così per garantire un tono pop all’intera operazione di distrazione di massa, una bella rivolta a sfondo razziale, evocando toni da Mississippi burning. Perfetta per veicolare nuovi contagi e per instillare un po’ di borghesissima paura nella classe media, quella che la polizia la saluta e non la attacca a bottigliate, lamentandosi poi per i mezzi brutali con cui si viene trattati.

Non ci credete? Guardate questi altri tre grafici, i quali mettono in chiara evidenza il mio ragionamento. Il primo mostra come il cosiddetto Virus Fear Trade, ovvero la vera e propria strategia di trading basata sulla pandemia e che presuppone andare lunghi su titoli alimentari e shortare quelli dell’abbigliamento e del tempo libero, sia pesantemente tornata operativa fra gli algoritmi. E non solo. Il secondo e il terzo, poi, sono direttamente correlati alle tre voci in questione: nuovi casi, corsi dello Standard&Poor’s 500 e operatività della Fed. Come vedete, due sono le domande a questo punto: quanto dovrà correggere al ribasso l’S&P’s 500 stavolta, dopo la purga di metà marzo? E, soprattutto, dopo la frenata nei nuovi drenaggi di Treasuries e le redemptions obbligate, quanto potrà attendere la Federal Reserve prima di rientrare in modalità all-in sul mercato?

È tutta e soltanto una consolidata strategia, ormai il giochino è tanto apparentemente diabolico e sofisticato quanto palese ed elementare. Ma chi volete che se ne accorga, visto che la propaganda di sistema ha talmente venduto bene il rally azionario dai minimi di tre mesi fa da aver trasformato plotoni di impiegati e liceali in cloni di Gordon Gekko in pantofole e intenti a operare su titoli on-line come se stessero comprando un paio di mutande su Amazon? Un successo assoluto, occorre ammetterlo.

Quanto durerà il giochino? Potenzialmente, fino alle presidenziali di novembre. D’altronde, la pandemia si presta perfettamente alla replica del gioco delle parti e delle dissimulazioni messo in campo con la disputa commerciale. Basta eseguire più o meno tamponi (o rendere più o meno noti i risultati degli stessi) e magicamente il numero di contagiati può salire o scendere a proprio piacimento e necessità. E vogliamo parlare dello stato quasi da free agent degli asintomatici, classificabili come contagiati ufficiali oppure no? E se questa estate, qualche Stato Usa con vocazione turistica, allentasse troppo i cordoni nelle spiagge o sui monti (già oggi il quadro federale delle normative in vigore appare abbastanza un patchwork composito, fra aperturisti e cautelativi), quale fall-out si rischierebbe al rientro nelle metropoli e nei college in settembre?

E attenzione, perché tornando alla stretta cronaca di questi giorni, un po’ di caos attorno al Covid potrebbe fare comodo, visto che entro il 30 giugno e in occasione della scadenza di fine trimestre, gli analisti già prezzano un’ondata di vendite proprio sull’azionario a causa della grande rotazione dei Fondi pensioni fuori dalle equity e dentro ai bond, al fine di prendere profitto dal rally degli ultimi tre mesi e cautelarsi in vista delle prossime settimane di incertezza politica.

Si attende un flusso di uscita dagli indici compreso fra i 35 e i 76 miliardi di dollari, un bel torrente di denaro che potrebbe far male a chi si ritrova incautamente con troppa esposizione a posizioni long aperte e nessuna strategia di hedging difensivo in atto. Ma si sa, se in quei giorni le news fossero dominate da un drastico calo dei contagi che rimetta in carreggiata le speranze per una cosiddette ripresa a V o, meglio ancora, se tornassero a fare capolino indiscrezioni a getto continuo rispetto a sperimentazioni con successo di vaccini in fase di test, quegli outflows si tramuterebbero in acqua fresca. Sempre calcolando, oltretutto, la presenza silenziosa ma incombente della Fed come backstop di ultima istanza agli indici.

Sembra la realtà, ma ne è solo la proiezione. Il problema è che noi ci viviamo dentro, tanto inconsapevoli quanto complici. Ma a qualcuno il meraviglioso mondo delle Banche centrali piace, anzi lo vorrebbe addirittura amplificato nei profili di intervento sulla vita delle persone e sul libero mercato. Vorrebbero l’Urss 2.0 del denaro a costo zero e della disinformazione strutturale come bussola dell’azione. Beh, c’è da dire che se l’obiettivo è questo sono sulla buona strada.

Leggi anche

VACCINI COVID/ Dalla Corte alle Corti: la neutralità che manca e le partite aperteINCHIESTA COVID/ E piano pandemico: come evitare l’errore di Speranza & co.INCHIESTA COVID BERGAMO/ Quella strana "giustizia" che ha bisogno degli untori