La Fed spaventa i mercati. Ecco il ciclico mantra della stampa economica, figlio legittimo della pubblicazione dei verbali dell’ultima riunione: i rischi per l’inflazione restano alti, quindi non si può escludere almeno un altro rialzo dei tassi. Fin qui, la cronaca di quanto accaduto mercoledì sera. E la farsa implicita. L’ennesima. Perché già oggi, il tasso decennale Usa viaggia al 4,28%. E cosa ben peggiore, il tasso fisso a 30 anni, di fatto il benchmark dei mutui immobiliari, è al 7,55%.



L’America può reggere altri rialzi? Non scherziamo. A meno di non cercare l’incidente controllato, ipotesi che a ridosso del meeting Brics di Durban e di Jackson Hole apre a ipotesi di conseguenze impreviste. Partiamo da quest’ultimo punto e diamo un’occhiata al grafico: apparentemente, nessuno vuole più nemmeno toccare il real estate negli Stati Uniti. Siamo a livello della kriptonite per Superman.



Il trend settoriale nell’universo Etf parla chiaro. E cosa strombazza di conseguenza la grancassa mediatica da almeno un paio di giorni, ovvero da quando i tassi Usa segnalano pre-allarme rosso? Casualmente, riscoppia il ciclico allarme per il rischio di contagio globale dai default immobiliari cinesi. Dopo Evergrande, capace di agire da market e media-mover per trimestri, è il turno di Country Garden e dei suoi bond onshore. Tutto l’armamentario è già stato dispiegato, dal leverage insostenibile allo shadow banking al mercato immobiliare inesistente delle ghost town costruite in mezzo al nulla dal regime. A innescare il panico, il tonfo del 20% in Borsa di martedì. Peccato che il medesimo titolo da inizio anno abbia perso oltre il 70%. E fino all’altro giorno, Country Garden era sconosciuta. O, al limite, percepita come una catena di vivai del Kent.



D’altronde, l’immobiliare cinese rappresenta l’alibi perfetto. Ontologicamente opaco e pachidermico, lascia aperta la porta a qualsiasi elucubrazione. E, soprattutto, garantisce effetto contagio all’immobiliare di mezzo mondo. Ricordate la farfalla col suo battuto d’ali che diventa tsunami? Quindi vale anche per il tasso fisso Usa a 30 anni che vola oltre il 7,5% o per la fuga dagli Etf di settore. E magari, un domani che ormai si presenta alle porte, anche per qualche sgradevole effetto collaterale in sede Ue o di Def per il superbonus in Italia. D’altronde, averlo inserito a forza e in tutta fretta nel nuovo cronoprogramma del Pnrr a scapito di fondi per gli enti locali (ad alto tasso di scontento elettorale), dovrebbe generare più di un sospetto. Quindi, tonfo in arrivo? Soprattutto, attenzione a leggere fra le righe il vero messaggio insito nei verbali della Fed. Ormai credibili quanto un oroscopo.

In compenso, questo secondo grafico appare rivelatore. Ci dice come dopo 17 mesi di letture negative, in giugno non solo il trend di acquisto di equities statunitensi da parte di investitori stranieri sia tornato in positivo. Ma addirittura per un controvalore di 92,2 miliardi di dollari.

Una buying-frenzy simile si registrò l’ultima volta nel periodo immediatamente successivo all’esplosione della pandemia. Poco prima che la Fed tornasse in campo con il suo backstop totale al Sistema. A cosa dobbiamo prepararci, prima che torni il sereno da stamperia perenne? Diciamo che i detonatori non mancano. E quando la miccia sarà partita, tutti si ergeranno a pompiere e artificiere. Voi, però, fate ricorso alla memoria. E ricordate quando questa dinamica era spacciata come sintomo di un mercato sano. Euforico. Talmente fiducioso in se stesso da gettarsi anima e corpo nella scommessa su opzioni con scadenza a un giorno, come mostra appunto il grafico.

D’altronde, solo fino a poche settimane fa, la Fed ormai si era fermata. Certo, la minaccia di nuovi rialzi restava sul tavolo. Come la proverbiale pistola. Ma agosto era il mese di riflessione. E Jackson Hole, nelle speranze di molti, avrebbe potuto rivelarsi nulla più che una tappa intermedia, un pomposo crocevia per ribadire la necessità di operare in base a una dinamica data-dependent. La quale. si sa, è facilmente manipolabile tramite aggiustamenti stagionali e revisioni ad hoc. Però quest’altro grafico ci mostra anche altro. Una put spread strategy che parla la lingua di qualcuno che, al netto dei prezzi stracciati offerti dalle opzioni ufficiali per coprirsi da un tonfo, già negli ultimi 20 giorni stava montando posizioni da crash hedge.

Il team dei derivati di Bank of America ha preso carta e penna e decodificato questa strategia: di fatto, se tutto andrà come da programmi, il return da un netto calo del mercato sarà di 8x. Bel leverage da correzione, nulla da dire. Non ho idea quale diavoleria accessoria sia stata aggiunta alla classica strategia di acquistare e vendere simultaneamente puts sul medesimo asset alla medesima scadenza, ma con differente strike price, tale da garantire un plus simile. E sinceramente nemmeno mi interessa. Ciò che so è che il mondo pare totalmente disinteressato alle reali dinamiche. Tutto sembra muoversi con il pilota automatico. Ma quei due grafici comparati, tratteggiano un’ipotesi: si corre a speculare sul brevissimo e nel frattempo ci si copre sul futuro prossimo. Tradotto, si sta giocando contro il tempo. Si respira a pieni polmoni prima che la stanza venga invasa dal gas dei lacrimogeni che costringerà gli asserragliati ad arrendersi e uscire dalla loro casamatta.

In un mondo da Qe perenne e casinò come riferimento etico, tutto normale. Senza correzioni con l’altoparlante, difficile per le Banche centrali giustificare repentini cambi di politica monetaria. Soprattutto a inflazione pressoché invariata nel suo rimanere ampiamente in overshooting sul target statutario. E soprattutto sulle dinamiche salariali, di credito disponibile e di risparmi accantonati. Pare una partita a tris, il gioco della croce e del tondo. Il più delle volte, data la semplicità e la limitatezza delle combinazioni, destinata a terminare in parità. Un gioco a somma zero per il Sistema. Ma terribilmente redditizio per chi decide di investire sul risultato finale. E non sulle conseguenze della singola mossa dei giocatori.

Nessun timore. Le Banche centrali ormai hanno un playbook per ogni tipo di incidente controllato. Non fosse altro, proprio perché tale. Creato a tavolino da loro stesse. Nessun tantrum in stile Bernanke, nessuno shock in stile Lehman. Scosse di assestamento. Necessarie al business della ricostruzione anti-sismica dello stesso Sistema. Tutt’intorno alle nuove, linde villette restano però macerie. Macro.

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