La Cina ha appena sospeso un currency swap con l’Argentina da 6,5 miliardi di dollari. Messaggio sottostante al neo-Presidente che intende rinverdire il maccartismo latino-americano? Pensi di negoziare un accordo migliore con il Fmi? Accomodati. E auguroni. Chissà che, prima o dopo, un ringraziamento per il poco diplomatico stralcio del memorandum in pieno Vertice bilaterale Cina-Ue non bussi anche alla porta di palazzo Chigi. D’altronde, ognuno è responsabile del proprio destino. Ma anche prigioniero della propria narrativa, se questa diviene troppo percentualmente preponderante sulla realtà.



Ad esempio, mentre discutiamo di Mes bancario, ecco che la facility di sostegno creditizio della Fed ha appena sfondato l’ennesimo record. Altri 7,5 miliardi in più per arrivare alla sobria quota di 131 miliardi. Alla settimana. Solo per il business as usual, la sopravvivenza pura e semplice.

Trovate qualcosa di poco coerente con mercati che flirtano quotidianamente con nuovi massimi? Certo, ha fatto scalpore il fatto che venerdì scorso Tencent, la più grande società quotata cinese, si sia schiantata del 16%, il calo maggiore dal 2008. Default cinese in vista, come per Evergrande? Tesi difficile da sostenere, visto che quel calo è stato frutto di una scelta dello stesso Governo del Dragone di rendere ancora più stringenti le regole sul gaming, l’azzardo on-line. Ma gli indici cinesi vivono ormai in regime di trasfusione statale cronica, quindi qualcosa non va. Non fosse altro rispetto ai brillantissimi risultati di Wall Street. O del Dax a fronte di un’industria tedesca a dir poco ansimante.



Ma attenzione: Pechino stampa e copre, sempre. E rimanda le udienze di fallimento, quando i creditori non accettano le perdite. Piccoli privilegi dell’essere una dittatura. Ma continua soprattutto a giocare su due tavoli contemporanei. Da un lato il ping-pong obbligato con gli Usa, stante il rapporto simbiotico tra iper-produzione e iper-consumo. Dall’altro, preparano il futuro. E lo fanno accatastando sacchetti di sabbia. Certi che l’Occidente e il suo malcelato complesso di superiorità non riusciranno a intravedere quella che è la sagoma di una trincea. Quantomeno non fino all’ultimo.



Ed ecco che, allora, mentre Fed e Bce non parlano più di monete digitali, il 20 dicembre a Shanghai è stato completato il primo settlement cross-border sull’oro utilizzando interamente lo yuan digitale della Pboc. Poca roba, 100 milioni di yuan (circa 14 milioni di dollari). Ma totalmente in e-CNY. Insomma, da un lato riserve auree ormai off-the-chart. Da un altro il monopolio sulle terre rare e l’ipotesi di loro trading sulla piattaforma saudita che potrebbe contemplare scambi dollar-free. Infine, prove tecniche di sbarco digitale.

Perché questo conta? Lo mostra quest’altro grafico: in meno di due settimane, la pressione sulla supply chain globale ha già pesantemente rialzato la testa. E questo comporta una prezzatura di rischio che tutti ritenevano ormai tolta dal tavolo di discussione: davvero il countdown è unicamente quello relativo al timing del primo taglio dei tassi o quanto sta accadendo nel Mar Rosso potrebbe rivelarsi l’incidente controllato verso il male minore? Far esplodere la bull trap dei rialzi azionari drogati con un Volcker’s mistake 2.0 nel primo semestre del 2024.

Perché a voler pensar male, cosa può rendere più comoda una campagna elettorale che parte in salita di un annuncio di Bonanza da nuovo Qe a Jackson Hole? O, magari, prima. Ma, nel frattempo, là fuori va tutto bene. L’indicatore Fear and greed segna 77%. Ovvero, extreme greed. Avidità estrema. Gordon Gekko ne sarebbe deliziato. Il Vix non si muove dai minimi secolari. Il venerdì nero delle opzioni è passato senza un plissé. E, soprattutto, a inizio della scorsa settimana la Bank of Japan ha preso il residuo di credibilità di cui disponeva e lo ha gettato nel WC, mantenendo ben salda al timone la sua politica di tassi negativi. Il problema era fare tana ai ribassisti sullo yen, mica normalizzare ciò che non è più normalizzabile. Altrimenti, il Nikkei esplode.

Lo scollamento è sempre più marcato: da un lato il Qe perenne, dall’altro il mondo reale. Ed è per questo che nello stesso giorno dello showdown a Tokyo, il rendimento del debito Usa a 1 mese saliva al 5,43% deve far pensare. A 3 mesi al 5,44%. A 6 mesi al 5,4%. A 1 anno al 5,04%. Superato quel Rubicone fra Bills e Treasuries, trend invertito. Ma l’avidità di mercato è al 77%. E il Vix flirta con 12 o poco più. Strana come dinamica.

Poi, allargando l’orizzonte oltre gli interventi quotidiani per chiudere spread e risollevare indici in rosso, uno prova a capire cosa davvero frulli in certe teste. E si imbatte in questa notizia. Appeasement? Strategia? Perché mai la London Metal Exchange dovrebbe lanciare nuove tipologie di contratti sui metalli che facciano riferimento ai prezzi dei futures di Shanghai? Perché questo riconoscimento occidentale a costo zero del ruolo di nuovo player globale per Pechino? Ah già, perché nel 2012 la Borsa di Hong Kong si è comprata la LME. Decisamente lungimiranti questi cinesi. Un’acquisizione strategica mentre la stampa occidentale decretava il pensionamento dell’oro come bene rifugio. Roba buona per le catenine della Comunione, vaticinavano i PhD della Ivy League. Poi uno guarda quest’altro grafico e si chiede cosa operi da sostegno al prezzo dell’oro saldamente sopra quota 2.000 dollari l’oncia, nonostante il copioso e continuo outflow di capitali dagli Etf aurei in vista di un drastico cambio di politica monetaria della Fed.

Cosa? Solo gli acquisti di Banche centrali come appunto la Pboc o quella indiana o russa o turca? Probabilmente, sì. O forse no. Forse nell’attesa di dirottare sugli Etf cripto il grosso dei 6 trilioni riversatisi nei mesi scorsi nei Money Market Funds, dando vita alla Bonanza della prossima primavera e alla conseguente operazione di sabotaggio del secolo, qualcuno sta focalizzandosi sul vero, grande cigno nero possibile. La volontà cinese di far saltare lo schema Ponzi dei futures aurei, argentei e petroliferi del sistema finanziario occidentale. Tutto gravita attorno alle commodities. Dalla transizione ecologica alla geopolitica alle guerre a bassa intensità e lunga durata, da Gaza allo Yemen. E i cinesi, almeno stando al blitz sulla LME, questa strategia di scommessa all-in su un futuro commodity-standard, l’avevano pianificata con ampio anticipo.

Meglio rifletterci su. E seriamente.

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