Non so se, come il sottoscritto, avete avuto cuore e stomaco sufficienti per seguire integralmente il de profundis dell’economia italiana recitato ieri dal Governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. Se sì, immagino abbiate capito il senso dei miei ultimi due articoli, quelli dedicati all‘inutilità ontologica del Recovery Fund, a fronte di una situazione macro e dei conti pubblici del Bel Paese ormai non più affrontabile con mezzi ordinari. Serve una cura shock. La quale, se vogliamo essere onesti, non può essere certo somministrata da questo Governo. Nè, alla pari, da uno di centrodestra che tenga insieme le posizioni antitetiche sull’Europa di Forza Italia da un lato e Lega-FdI dall’altro. Serve un bel Governo tecnico, a guida Mario Draghi, preferibilmente. Composto unicamente da tecnici, possibilmente in grado di esprimersi in italiano corrente e con almeno vaghe nozioni di economia. Insomma, un Governo di persone normali.
I partiti, la democrazia, il popolo da rappresentare? Signori, cerchiamo di capirci: è un lusso che, per un po’, questo Paese non si può più permettere. A meno che non si voglia imboccare la strada della ristrutturazione hard del debito o, peggio, del default disordinato. Non ci sono alternative, mi spiace. La corda l’abbiamo tirata a tal punto da averla spezzata in così tanti punti da dover essere gettata via e sostituita con una nuova. Più resistente. Soprattutto, impermeabile al liquido corrosivo della pancia del Paese. È il momento della razionalità, questo. Delle scelte crude, dure, impopolari. Scelte, per capirci, che alle elezioni – se presentate all’interno di un programma – ti fanno vedere la soglia del 3% con il binocolo. Per questo dico che serve un esecutivo tecnico che risponda soltanto al Quirinale, in punta di Costituzione e dialoghi in maniera continua a permanente con l’Ue, la Bce e la Bei. I partiti si limitino al sostegno parlamentare, perché se pensate che l’Italia abbia ancora molto tempo a disposizione, ragionando su schemi procedurali come quelli che impongono 90 decreti attuativi a una manovra di rilancio dell’economia da tutti definita urgente e inderogabile, forse non avete ascoltato bene il governatore di Bankitalia. O, peggio, non avete fatto un giro per le strade della vostra città, contemplando le prime lapidi della Spoon River commerciale.
Dittatura? Inaccettabile sospensione della democrazia? Scusate, di quale democrazia stiamo parlando? Ritenete che un Parlamento inattivo e bloccato da veti incrociati tutti ideologici e a fini elettorali sia sintomo di rappresentatività della volontà popolare? Davvero? Qui si rischia di portare i libri in tribunale. E non fra due anni, ma fra sei mesi. Il Governatore Visco merita un applauso, perché ieri non ha avuto paura di smentire la regola aurea di Alan Greenspan, ovvero quella in base alla quale quando una situazione è davvero seria, il dovere di un banchiere centrale è quello di mentire. Il numero uno di Bankitalia non ha mentito, invece. Ha snocciolato dati terrificanti, senza edulcorarli. Senza mettere il rossetto a un maiale, come dicono gli anglosassoni.
Pil, produzione industriale, commercio, turismo, spread, deficit: una dopo l’altra, le criticità che rischiano di portarci a fondo sono state enumerate in maniera spietata, quasi chirurgica. Soprattutto lo spread, vista la retorica patetica di alcuni giornali che festeggiavano nei titoli la discesa frazionale di giovedì sotto quota 190: il nostro differenziale con il Bund resta ingestibile, poiché è ancora oggi il doppio di quello portoghese e spagnolo. Signori, non stiamo parlando di efficienti Paesi scandinavi ma dei nostri cugini del Club Med. I quali non godono di questo trattamento, ovvero una deviazione della capital key sugli acquisti pro quota della Bce senza precedenti.
Lo ripeterò fino alla noia e alla nausea, fatevene una ragione: i movimenti attorno al nostro debito di queste settimane, dall’andamento dello spread all’emissione del Btp Italia, non possono prescindere dal fatto che la nostra quota di obbligazioni sovrane acquistate automaticamente dall’Eurotower è passata dal 17% al 32%. È questa la chiave di lettura, la cartina di tornasole, la lente d’ingrandimento da utilizzare, sempre e comunque: non si può ignorare il fatto che, quando parliamo di Italia, parliamo di un paziente già oggi in terapia intensiva. E intubato. E Dio non voglia che, a breve, qualche intoppo politico relativo alla sentenza della Corte di Karlsruhe metta in discussione quella dinamica, altrimenti la retorica dell’Italia che non necessita di aiuto e che può farcela tranquillamente per via autarchica emettendo Btp si tramuterebbe in tempo zero da farsa a tragedia. I mercati, di fatto, non attendono altro che la prova del bluff per andare all-in.
Ora, al netto di idiozie come i dibattiti sui vigilantes dello spritz, vi rendete conto che il Parlamento litiga su qualsiasi cosa? Di più, siamo nella condizione di vedere Regioni che si scannano fra di loro, pur di guadagnare visibilità e qualche metro di vantaggio sulle riaperture. Prendete la questione del cosiddetto “passaporto sanitario” per i turisti, quello che la Sardegna vorrebbe ad esempio imporre agli untori lombardi come il sottoscritto. Se un progressista illuminato, di sinistra e antifascista come il sindaco di Milano, Beppe Sala, arriva a incazzarsi al punto tale da sfoderare un frasario degno del pratone di Pontida, non vi pare che un problema di fondo, serio e reale, esista? In tedesco c’è una bella parola per descrivere il sentimento anti-lombardo che striscia da qualche tempo nel Paese, schadenfreude, traducibile più o meno come il godere delle disgrazie altrui. Di fatto, la consolazione dei poveracci. È nei fatti, inutile negarlo. Vedere i primi della classe in difficoltà, arrancare, equivale a vedere la squadra avversaria perdere una finale all’ultimo minuto con un rigore inesistente. Lo ripeto, attività ludico-ricreativa per gente da poco. Di cui, però, sono piene le istituzioni.
Perché qui non parliamo della pancia del Paese, delle rivalità da bar, dei discorsi da sala del barbiere, qui assistiamo allo stillicidio quotidiano di rappresentanti a livello locale e nazionale che giocano al tiro al Pirellone. Il quale, ovviamente, avrà delle responsabilità in quanto andato storto nella risposta alla pandemia, forse anche molto gravi. Ma che si è trovato ad affrontare lo tsunami armato solo di secchielli e stracci. Sicuri che altri avrebbero fatto meglio, a livello di risposta sanitaria emergenziale? Se sì, ne sono felice. Perché la stessa sanità lombarda su cui vedo puntare quotidianamente ventilatori posizionati di fronte a cumuli di letame, al sottoscritto ha salvato la vita, non più tardi di due anni fa. Gratuitamente, pubblicamente. E da quel giorno, ogni anno devo recarmi in ospedale per quattro visite di controllo. Dopo che per 45 anni anni, l’unica occasione di varco dell’ingresso di un Pronto soccorso era occorsa quando ancora ero nel ventre di mia madre e spingevo per uscire. Un bel trauma, ve lo assicuro.
Bene, stando alla retorica politica che vedo imperare nei palazzi del potere e su molti media, posso stare certo del fatto che, quando riprenderanno le visite specialistiche non urgenti, non dovrò più fare attese e code, poiché i nostri ospedali e cliniche non saranno più intasati da cosiddetti “turisti sanitari” di altre Regioni, vero? Se qui la sanità fa schifo, se al Pirellone ci sono killer di vecchietti nelle Rsa, se non sappiamo gestire un’emergenza da nulla come il Covid-19, chi sarà così stupido da voler ancora venire qui a farsi curare, non vi pare? Eppure, credo che non sarà così. Ma le parole dei Vincenzo De Luca, resteranno scolpite. Almeno in chi, come me, a quella sanità deve la vita. E, proprio per questo, chiederà – a tempo debito – che si faccia chiarezza sugli errori. Ma a tempo debito, non mentre ancora si contano i contagi. Quello si chiama sciacallaggio. E con quell’atteggiamento, ampliando il quadro a livello nazionale, non si possono garantire risposte rapide e credibili alle criticità messe in fila ieri, onestamente e coraggiosamente, da Ignazio Visco.
Quindi, la scelta appare tanto drastica quanto non più rinviabile: o si accetta che un bel commissariamento che metta a tacere certi atteggiamenti e certe inaccettabili provocazioni, lasciando che chi è in grado di risolvere i problemi lo faccia oppure forse è meglio prepararsi a quello che Umberto Bossi aveva previsto tanti, tanti anni fa. Perché il vulnus che si sta scavando è molto profondo e i semi di odio che si stanno lanciando in quella terra smossa, decisamente velenosi. Sarebbe facile, se Attilio Fontana o Luca Zaia fossero dei miserabili, imporre come prima azione del post-emergenza il numero chiuso nella sanità lombarda o veneta per i non residenti. Ma non lo faranno, non è nel loro stile. Attenzione però alla reazione che rischia di salire dalla pancia del Nord, quello che normalmente tace e lavora. Perché in molti non stanno più lavorando. E non sanno se e quando torneranno a farlo. A quel punto, magari, cominceranno a chiedersi se vale la pena di continuare a garantire al Paese un residuo fiscale miliardario (a fronte, oltretutto, di una tassazione sproporzionata e dei toni alla Vincenzo De Luca) che, se mantenuto invece dove viene versato all’80%, garantirebbe un welfare scandinavo con cui offrire risposte a chi ha bisogno sul territorio. A livello locale, lo stesso che i detrattori della Lombardia e del Veneto invocano per i loro controlli da novelli monatti ex ante del turismo.
Attenzione, perché Ignazio Visco ieri ha chiaramente detto che la miccia è accesa. Ed è corta. Sicuramente Fontana e Zaia non ci soffieranno sopra per accelerare l’esplosione, però li invito a compiere un esperimento. A emergenza del tutto finita, stanzino dei fondi e commissionino a un’importante azienda di consulting finanziario, preferibilmente con profilo internazionale, uno studio relativo all’ipotetico spread che si pagherebbe su un’emissione obbligazionaria congiunta di Lombardia e Veneto, chiamiamolo un Radetzky bond. Poi, mandino quello studio ai vari De Luca del Paese e, soprattutto, alla Commissione bilancio delle due Camere. Vediamo se, alla luce di quegli 0 punti base o poco più, la politica non decida che un sano periodo di ritirata strategica, lasciando il timone in mano a chi sa navigare ed è dotato di senso di responsabilità nei confronti di tutti, non sia la scelta più saggia. E salutare.