La ricreazione sta finendo. Insieme alla pacchia. Anzi, pare proprio che sia ufficialmente finita ieri mattina. Certo, il Paese e la politica erano indaffarati in altro. Ma il grafico qui sotto potrebbe essere il game-changer. Quello vero.
È bastato che le letture CPI di Francia e Spagna si rivelassero più alte delle attese, come mostra quest’altro grafico che di fatto conferma il trend rialzista inaugurato la scorsa settimana dalla Germania, per generare questo stigma.
Per la prima volta, il mercato prezza una terminal rate per la Bce al 4%. Solo a inizio anno, quel proxy era dato al 3,5%. Un’enormità. E la conferma che il 15-16 marzo, il board dell’Eurotower non solo ritoccherà ancora all’insù il costo del denaro, ma che, salvo un Lehman moment, la stretta proseguirà. Almeno fino a settembre. Detto fatto, il nostro spread si è gonfiato. In apertura di contrattazioni, il tasso sul decennale benchmark era al 4,53%. E attenzione, perché questo avveniva con il Bund pari durata che segnava il rendimento massimo da 10 anni, addirittura il 2,65%. Tradotto, già ora siamo sopra quota implicita di 200 punti base. E di parecchio. Ma non basta. La tempesta perfetta (per ora ancora nel simbolico bicchiere) è stata garantita dall’addio di Axa a Mps: 100 milioni di azioni, circa il 7,94% del totale, cedute a 2,33 euro per azione. Resta un simbolico e residuale 0,0007%: lo scorso ottobre, il gruppo francese sottoscrisse l’aumento di capitale della banca senese a 2 euro per azione. Adieu.
Detto fatto, il titolo Mps è crollato del 10%. A metà mattina viaggiava a -9% attorno a 2,49 euro per azione. Il colosso transalpino pare essersi accontentato di un plus minore del nominale attuale. E ha preferito tagliare la corda. O, forse, prezza la realtà? E ha ceduto a quel prezzo, conscio che non ci vorrà molto prima che quota 2 euro sia un lontano ricordo? Inutile negarlo, Mps è un proxy del rischio sistemico italiano. E del premio di rischio sul debito. Perché Mps, piaccia o meno, è lo Stato. E ora, attenzione. Perché a fronte dei marosi in atto, tra una settimana si apre il collocamento del nuovo Btp Italia indicizzato all’inflazione. Uno stress test informale. Il rendimento a cui verrà collocato e la domanda parleranno chiaro. Sia su quanto si prezza il rischio di una Bce falco, sia sulla presa che la strategia di Governo avrà ottenuto sul parco buoi retail messo nel mirino dal Mef. In tal senso, nessuno al Tesoro legge i calendari relativi alle pubblicazioni dei dati macro Ue? Perché fissare un collocamento di quel genere subito dopo tre dati CPI così sensibili, equivale ad amare la roulette russa. O pensare ad altro. Oppure ancora, essere talmente disperati da non avere alternative.
Certo, il fatto che la figura del responsabile delle emissioni di debito pubblico sia finita nel tritacarne dello spoils system politico post-elettorale non ha aiutato. Anzi. Ma si sa, le priorità del Paese sono altre. Lo spread non gode di una ribalta mediatica da mesi. E, anzi, palazzo Chigi ne ha rivendicato lo stato di salute come cartina di tornasole del buon operato nei primi 100 giorni di Governo. Chissà cosa avevano in testa quei dilettanti di Axa per vendere Mps a quel prezzo…
E se vogliamo mettere quanto sta accadendo in prospettiva, a venirci incontro ci pensa la patria di ogni distorsione del premio di rischio. Alla base di quasi tutte le analisi relative al debito giapponese, infatti, alberga una dissonanza cognitiva in chi le elabora. Tutti sono consci che Tokyo sta gonfiando a dismisura una bolla di insostenibilità, ma, al tempo stesso, tutti copiano. Il Qe sistemico globale? Abenomics senza il coraggio e il candore. Fed e Bce, infatti, sentono il bisogno di nascondersi dietro sempre a nuove emergenze. La Bank of Japan, semplicemente, compra. Anche ora che l’inflazione è ampiamente oltre il target che l’Abenomics era nata per raggiungere. E Kazuo Ueda, l’uomo che sostituirà Haruhiko Kuroda, ha voluto mettere subito le carte in tavola, dichiarandosi assolutamente in linea con l’attuale politica monetaria.
Sarà per questo che, da sei settimane consecutive, gli investitori stranieri sono acquirenti netti di titoli azionari giapponesi, la striscia più lunga dal 2019, come mostra il grafico?
Eppure, le aspettative inflazionistiche giapponesi sono salite e in maniera drastica nell’ultimo periodo. E la politica di controllo sulla curva dei rendimenti della BoJ, focalizzata sulla mission di mantenere il decennale sotto lo 0,5%, comincia a sbandare, poiché tutte le altre scadenze operano da cartina di tornasole di quell’anomalia sul benchmark. Tradotto, se il vento scardina tutti gli ombrelloni e solo uno rimane inchiodato al terreno senza fare un plissé, forse c’è il trucco. Il mercato, ovviamente, ragiona in base alla dissonanza cognitiva. E finge di non vedere. Sa che Tokyo sta comportandosi come un alcolizzato che prende domicilio al bar, ma sa altrettanto che così fan tutti, ormai. E attaccare troppo l’Abenomics equivale a un’autodenuncia in tempi di tassi al rialzo e inflazione tutt’altro che in calo.
Ma ecco che il grafico ci mostra la vera dinamica di interesse, il vero caso di scuola. Soprattutto in vista delle emissioni monstre che il nostro Tesoro dovrà compiere quest’anno, a partire dall’ennesimo Btp indicizzato in modalità Eminflex della prossima settimana. Stante un livello di detenzione di titoli di Stato che farebbe invidia al concetto di statalismo sovietico, la Bank of Japan ha aperto i rubinetti dei prestiti alle banche domestiche al fine di generare un’esplosione di doom loop, come mostra questo ultimo grafico. Ovvero, la Banca centrale incentiva gli acquisti di bond che lei non può più compiere, né detenere. Finanziandoli con prestiti agevolati.
Cosa ci racconta questa ennesima deriva del concetto di libero mercato? Forse che, in ossequio alla dissonanza cognitiva generale, persino l’Italia potrebbe sfangarla quest’anno? A che prezzo, però? Quello di banche e assicurazioni che, invece di fare il loro lavoro, comprano solo Btp sostituendosi alla Bce? E magari anche crediti incagliati del superbonus per 35-40 miliardi? Non essendo Onlus, su chi scaricheranno poi i costi, stante un spread tirato come una corda di violino a ogni intoppo e una terminal rate della Bce destinata ad aumentare di molto la pressione? Un’altra tassa occulta sui cittadini, meno abbienti in testa. Esattamente come l’inflazione.
Prezzi al galoppo e credito col contagocce, ecco il combinato congiunto che la primavera rischia di portare in dote. Sperando che realmente la bolletta energetica scenda. Altro che rinascita. Altro che soft landing. Perché a differenza di quanto accade in Giappone, in cabina di pilotaggio siede la Bundesbank. E dopo i dati CPI di Francia e Spagna, pensare di ottenere una mediazione al tavolo di Francoforte appare più che un wishful thinking. Appare disperata follia.
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