Cosa dirà questa sera Jerome Powell al termine del primo Comitato monetario della Fed del 2021? Manterrà la barra dritta, limitandosi a limature più comunicative e simboliche che operative e attenderà che sia il mercato a fare la prima mossa? Oppure aprirà al riconoscimento di qualche criticità in pericolosa emersione, come fatto dall’amministratore delegato di Goldman Sachs a Davos rispetto alla delirante moda delle Spac che sta inondando di liquidità Wall Street e che pare presupporre un ciclo continuo di Ipo? Di più, offrirà cittadinanza formale a quelle voci interne al board che, più o meno strategicamente, agitano da settimane il fantasma del taper anticipato, addirittura evocando lo scenario del 2013 come modello di riferimento? 



Domande fondamentali. Perché è proprio quando ti aspetti poco o niente da una riunione formale che, spesso, saltano fuori i conigli dal cilindro. A volte, involontariamente. Basta una parola. Basta un virgola fuori posto o un sopracciglio troppo corrucciato. E, immediatamente, un ponentino diventa maestrale. Prima di tutto, lasciatemi mettere in prospettiva lo scenario a cui si è giunti con questo primo Fomc. Ce lo indicano plasticamente questi due grafici, i quali mostrano come da inizio anno l’indice Hang Seng di Hong Kong abbia quadruplicato i suoi guadagni rispetto allo Standard&Poor’s 500, arrivando a un +10,8%. 



Come mai? Semplice. Se in America impazzano i daily traders con i loro short squeezes sistemici organizzati su Reddit, in Cina si sta vivendo una vera e propria ondata di acquisti interni. Per l’esattezza, soldi mainland che stanno piovendo in maniera alluvionale sull’ex colonia britannica e il suo indice di riferimento. Nel mirino, le azioni delle aziende a rischio di sanzioni in seno all’ultimo ordine operativo dell’era Trump. La quale ha chiuso i battenti esattamente come li aveva aperti: all’insegna della pantomima sovranista a tutela dello status quo. Tradotto, Wall Street. La quale, a sua volta, sta vivendo un periodo di azzardo senza precedenti, nemmeno nel pre-Lehman. E, soprattutto, non è ancora in grado di fornire al mercato in generale la sua guida, visto il combinato congiunto di regime change alla Casa Bianca, situazione Covid ancora da gestire e incanalare e appunto Fed in mezzo al guado fra espansione e freno a mano da tirare, prima di finire nel burrone. 



Ecco quindi l’assist: infliggendo quelle nuove sanzioni, Donald Trump ha invitato a nozze gli investitori cinesi, i quali a loro volta stanno beneficiando dell’ultima ondata di liquidità messa in circolo dalla Pboc tramite l’ennesima, alluvionale iniezione di prestiti a breve termine. Ecco, quindi, che i mercati cinesi tornano a tirare il gruppo, supplendo a tensioni e dubbi emersi attorno a quelli Usa. Soltanto nel mese di gennaio che sta per concludersi, l’Hang Seng ha beneficiato di un flusso di capitali in entrata pari a 30,3 miliardi di dollari, quattro volte il controvalore del medesimo arco temporale nel 2020. Oltretutto, capitale cinese che resta in Cina. Di fatto, la ragione per cui Xi Jinping appare decisamente cauto nel rompere gli equilibri verso la nuova amministrazione Usa, come emerso chiaramente proprio dal suo discorso al vertice di Davos. 

Ma attenzione, perché rally come questi sono – per loro natura – di corto respiro. E infatti, è bastato che le autorità cinesi mettessero tutti in guardia dall’eccesso di azzardo che starebbe già gonfiando bolle sugli assets che una prima correzione ha preso corpo, dato che ieri l’Hang Seng ha chiuso con un netto -2,55%. Insomma, chi di bolle se ne intende, ha imparato a sgonfiarle gradualmente. Anche perché, al netto delle rappresentazioni un po’ caricaturali stile Una poltrona per due e del mitico grido Sell Mortimer!, quanto sta accadendo a Wall Street attorno ai daily traders è quantomeno inquietante. 

Al di là delle palesi distorsioni in atto e del sospetto menefreghismo al riguardo da parte della Sec, al termine della folle giornata di lunedì abbiamo assistito a un qualcosa di senza precedenti: due hedge funds che salvano un terzo hedge fund. Massacrato da una serie di scommesse ribassiste tramutatesi in altrettante, sanguinose margin calls, ultima delle quali quella su GameStop, il fondo Melvin Capital ha potuto evitare mosse drastiche come il blocco delle redemptions e l’innalzamento dei gates solo grazie a un’iniezione di capitale da 2,75 miliardi di dollari da parte di Citadel e Point72. Insomma, la smart money è costretta a coalizzarsi per non venire spazzata via da un esercito di nerd e impiegati.

Il problema, però, pare più serio di quanto non appaia. Al netto del -30% patito soltanto nelle prime tre settimane del 2021, Melvin Capital di fatto gestiva anche parte delle scommesse ribassiste dei due hedge che lo hanno salvato. Sostanziando, in questo modo, una sorta di partita di giro sulle margin calls: al fine di evitare di incorrere in perdite reali che mi farebbero polverizzare l’intero capitale investito, meglio sostenere chi mi ha fatto perdere un po’ di soldi e sperare che riesca a restituirmi qualcosa. E qui, signori, il non intervento della Sec diventa qualcosa più che un sospetto di strategia parallela. Citadel, infatti, è uno dei principali acquirenti degli orderflows della clientela retail su Robinhood, come mostra questo grafico nell’area blu della torta. 

Quindi, sorge una domanda. Spontanea. È legale il fatto che un soggetto perfettamente a conoscenza di quali istituzioni sono a rischio di letali short squeezes, possa poi intervenire per salvarne una, oltretutto in cui ha investito direttamente su scommesse ribassiste rispetto a quegli ordini? Qui siamo oltre al paradosso quasi kafkiano sull’investire contrarian, qui siamo all’anarchia. Non è più Wall Street, è Las Vegas. Ed eccoci, alla luce di tutto questo, arrivare alla Fed. La quale nel board che si conclude oggi con la conferenza stampa di Jerome Powell (ora 20, fuso italiano) dovrà giocoforza fare i conti con questa situazione. La quale prevede come contorno anche un’esplosione ormai incontrollata di Spac e collocamenti sovra-valutati, margin debt a quota 850 miliardi di dollari (superiore del 75% al livello del 2015), i titoli più soggetti a scommesse ribassiste che dallo scorso ottobre hanno guadagnato il 75% contro il 16% dell’intero Standard&Poor’s nel medesimo arco temporale e, per finire, una ratio call/put sul mercato delle opzioni al massimo storico di bullishness, come mostra questo grafico.

Come si dice in gergo, c’è materiale più che sufficiente per spingere la FED a operare il cosiddetto shot over the bow. Ovvero, mettere in guardia. Quasi certamente non un taper reale e nemmeno con una prospettazione temporale più severa del previsto al riguardo, bensì minacciando azioni contro l’eccesso di rischio in cui si sta incorrendo. Magari, proprio facendo suonare la sveglia alla Sec, guarda caso. La traiettoria di risk reward presa dal mercato equities statunitense, infatti, non è solo ingestibile, ma addirittura da kamikaze sul medio periodo. Infine, questo ultimo grafico mostra come i trend inflazionistici, sia sui breakevens che legati alle commodities (in questo caso parametrate sul mercato immobiliare), siano ormai strutturalmente sopra il livello medio di guardia e in piena traiettoria di picco da periodo pandemico. Il tutto con la big rotation da tech verso commodities appena cominciata. 

Il rischio di fiammata inflazionistica, per quanto calmierato dal farsesco metodo di rilevazione CPI, esiste: cosa farà la Fed di fronte a questo mix potenzialmente letale? Entrerà in campo per cercare di tamponare lo tsunami di liquidità che essa stessa ha provocato o lascerà che sia la politica (nuovo programma di stimolo, iter del processo di impeachment) a dettare i tempi rispetto a reflation trade e rendimenti obbligazionari, utilizzando il Covid come variabile, quasi come lo spread che determina la direzione della risposta? 

Oggi, magari soltanto fra le righe, avremo una prima risposta. E sarà di quelle che possono cambiare le traiettorie. Seppur senza necessità di proclami o febbrili attese. Anzi, proprio per questo.