I Governi furbi cominciano a muoversi. E per furbo non intendo composto da persone di livello. Intendo soltanto capace di capire quando cambia il vento. E adeguarsi di conseguenza. Miseria politica insomma. Ma un ABC necessario per sopravvivere.

Certamente, il voto amministrativo dell’1 e 22 settembre avrà pesato. Non fosse altro per i sondaggi disastrosi. Ma l’uno-due di disgelo con Mosca messo in campo da Berlino sul finire della scorsa settimana parla chiaro. Prima la ridicola ma simbolica emissione del mandato di cattura per il sub ucraino col vizietto della bottiglia per il sabotaggio di Nord Stream, dopo poche settimane di idiozie sulla posta russa e mesi di imbarazzato silenzio per cercare di insabbiare la verità. E il vero segnale al Cremlino, la Germania l’ha inviato dicendo chiaro e tondo che tutto questo tempo, il presunto attentatore lo avrebbe passato indisturbato in Polonia. Dove, da qualche giorno, sfilano tank verso i confini.



Poi, questo. Il Governo semaforo ha deciso di chiudere i rubinetti verso Kiev. Ciò che ha già ottenuto il via libera del Bundestag a livello di stanziamenti potrà essere erogato. Ma nulla di più. Stop.

E qui non si parla di ipotesi. Il ministero delle Finanze avrebbe già comunicato la decisione a quello della Difesa. E il titolare del dicastero economico, il liberale Christian Lindner, non ha sentito il bisogno di smentire l’indiscrezione.



Ma perché questo repentino, poco onorevole e decisamente goffo cambio di impostazione? Solo un tentativo di drenare consensi ai partiti estremisti di destra e sinistra che da tempo chiedono la fine del regime belligerante verso la Russia? No, la risposta è altra. E ci riguarda direttamente.

Guardate questo grafico. Ci mostra le importazioni di gas russo verso i principali Paesi europei. E attenzione, nel caso dell’Italia il dato è aggiornato al primo semestre di quest’anno, mentre per gli altri fa riferimento quello del 2023.

Bene, siamo secondi solo alla Spagna. E per chi vi dicesse che rispetto al 2022 il fabbisogno di dipendenza da Mosca sia sceso drasticamente, fate pure notare che nonostante 17 pacchetti di sanzioni, le cifre hanno già visto i primi sei mesi di quest’anno più che raddoppiare quelle dell’intero 2023. E come vi facevo notare la scorsa settimana, subito dopo l’incursione nel Kursk delle forze ucraine (quella con diretta sulla Rai, tipo Angelus o discorso di fine anno dal Quirinale), il prezzo del gas europeo ad Amsterdam si è impennato. Ma, soprattutto, per la gioia di Washington, si è divaricato a livelli record lo spread di prezzo fra Dutch e gas naturale statunitense. E date un’occhiata a questo link del Financial Times di venerdì scorso. Udite udite, SLB, gigante texano delle infrastrutture petrolifere, sta continuando a investire e assumere allegramente in Russia. Nonostante avesse dichiarato il contrario in ossequio alle sanzioni. E sta sfruttando proprio l’abbandono di altri soggetti, i quali invece a quel regime punitivo stanno aderendo come bravi scolaretti. Un po’ tonti.



Ora torniamo al grafico. La cosa inquietante non è tanto il fatto che il nostro Paese, nonostante la retorica da rottura del ricatto energetico russo, alla fine sia il secondo in Europa per importazioni. No. La questione seria sta nel fatto che il primo soggetto in questa particolare classifica del masochismo energetico sia la Spagna. Ovvero, il Paese che vanta un numero enorme di rigassificatori rispetto all’Italia. E tutti attivi. Perché la Mecca per il salvifico LNG statunitense, continua a importare gas russo via pipeline?

Primo, perché sanno che il gas liquefatto statunitense è carissimo e assolutamente non sicuro a livello di disponibilità. C’è di mezzo un Oceano. E c’è di mezzo un partner che si è già e più volte dimostrato furbetto a livello di forniture e prezzi, basti vedere certi strani incidenti e manutenzioni non programmate nei terminal in Texas. Non a caso, la stessa Bruxelles che mette le sanzioni a Mosca, si è vista recapitare dalle compagnie energetiche europee una richiesta di azione legale per inadempienza contrattuale verso il principale contractor Usa. Ma questo è meglio non farlo notare. Né ricordarlo. Seconda ragione, perché a differenza dei nostri governanti che si preoccupano dello ius soli o delle indagini su sorelle e cognati, altrove hanno capito cosa sta per succedere. O, quantomeno, cosa accadrà dal 6 novembre prossimo.

Tutto ruota attorno a una lettera. La K. Iniziale di Kiev. Ma anche iniziale di Kabul. E l’impressione è quella che i medesimi Usa che non fanno un plissé di fronte all’intelligenza con il nemico di SLB (giustamente, dal loro punto di vista), dopo il voto del 5 novembre (e qualunque sarà l’esito di quest’ultimo), potrebbero applicare all’Ucraina lo stesso trattamento riservato all’Afghanistan. Ovvero, bye bye, noi togliamo il disturbo. Arrangiatevi. In una settimana, i talebani tornarono al potere. E in Ucraina potrebbe accadere la stessa cosa, una volta che l’azionista di maggioranza della Nato dovesse scegliere un comodo isolazionismo, magari facilitato da un’emergenza sanitaria come quella del vaiolo delle scimmie.

Capite perché Vladimir Putin non pare scomporsi più di tanto per quanto avviene sul fronte del Kursk? E, anzi, sta ammassando soldati a presidiare e rafforzare l’altro fronte conteso. Perché l’esercito ucraino potrebbe avere i giorni contati. E crollare di colpo come quello fantoccio ma sempre armato e sostenuto dagli Usa che faceva a sua volta riferimento al governo fantoccio e sostenuto dagli Usa della Kabul liberata. Se così fosse, la de-industrializzazione europea (e italiana) da caro-energia e delirio green appena ribadito con la riconfermata Ursula von der Leyen entrerebbe nella sua fase terminale. Perché prima di collassare, gli ucraini avvelenerebbero i pozzi della dipendenza energetica europea. Già oggi hanno scelto come obiettivo prioritario della loro avanzata, uno dei principali snodi di pipeline verso l’Ue. Se dovessero capire che la fine è vicina, la gran parte si arrenderebbe. Ma il Werwolf di turno, visto quanto piace il Terzo Reich ai soldati di Zelensky (gli stessi che gli antifascisti europei lautamente armano e finanziano, dopo aver strepitato contro una borghesuccia tutta tailleur e Vuitton come la Le Pen), si lancerebbe in azioni di sabotaggio esiziale. E il nostro inverno sarebbe molto simile a quello del quasi default energetico tedesco con Uniper nazionalizzata al volo (e con 28 miliardi di fondi pubblici).

Capito ora la decisione di Berlino? E magari anche il sempre maggior gelo nei rapporti Madrid-Kiev? Perché rischiamo il grande freddo. E questo, forse, tanto fastidio agli Usa non darebbe. E nemmeno alla sempre più silente Cina.

Che dite, un Governo e un’opposizione seri non taglierebbero corto le ferie e aprirebbero le Camere per un’informativa urgente?

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