Sul finire del mese di maggio, il ministro dell’Interno francese, Gérald Darmanin, era negli Usa per chiedere maggiore informazione di intelligence. Motivo? Tra Mondiali di rugby e Olimpiadi del 2024, la Francia si troverà ad affrontare la minaccia di un risorgente terrorismo islamista. Facile previsione o palla di vetro? Comunque sia, il terrore è tornato a colpire l’Europa. In Francia prima, nella succursale belga poi. Ciclico. E per questo, a rischio di reazioni scomposte.
Perché il ministro dell’Interno belga ha sottolineato come l’accaduto non abbia nulla a che fare col Medio Oriente? Bizzarro, se si parla apertamente di terrorismo islamista. In compenso, crolla l’interesse mediatico verso il caos di Gaza e Israele. Downgrade. E c’è un motivo. Tel Aviv non abbozza. Storicamente. Se decide di partire, parte. Non si fa imporre l’agenda. Oggi, invece, gli Usa stanno operando su un eloquente doppio binario. Mandano portaerei. Ma invitano a evitare stragi. E, soprattutto, ampliamenti del conflitto a Libano e Iran.
La ragione? Probabilmente sta tutta nel grande reset silenzioso. La Cina si è schierata apertamente al fianco della causa palestinese. Un unicum. E lo ha fatto con una comunicazione ufficiale all’Iran. L’alleato militare sempre più strategico di Pechino. Città dove è sbarcato Vladimir Putin. Il quale incontrerà Xi Jinping per ottenere l’investitura ufficiale al ruolo di mediatore per il Medio Oriente. Di chi? Dei Brics, signori. Con l’Ucraina letteralmente sparita dai radar. E se il Cremlino verrà investito di quella responsabilità e gli Usa abbozzeranno, forse parlare di prodromi di un nuovo ordine non sarà azzardato. Meglio buttarla in caciara. Meglio togliere dall’armadio gli slogan post-Bataclan.
Il vero problema? Negli Usa hanno dato vita a una simulazione di worst case scenario economico legato al fall-out mediorientale. Molto worst. In 10 punti. 1) il conflitto diventa regionale e Washington viene ufficialmente coinvolta. 2) l’Opec risponde con un embargo petrolifero. 3) L’Iran chiude lo stretto di Hormuz. 4) Il prezzo del petrolio tocca 300 dollari al barile. 5) L’Europa precipita in una crisi energetica peggiore del 2022. 6) Proprio l’esplosione dei prezzi energetici rinfocola l’inflazione e la Banche centrali tornare ad alzare i tassi. 7) Crisi finanziaria e del sistema bancario globale. 8) La crisi debitoria obbliga quindi la FEed a tornare in campo per salvare i mercati. Cortocircuito monetario. 9) Il trade sul petrodollaro collassa. 10) Weimar 2.0, iperinflazione.
Ripeto, è molto worst. Ma guardate il grafico: stando a dati Citigroup. le spese per consumi di settembre negli Usa hanno segnato un calo peggiore che nel picco Covid. In un Paese dove quella voce pesa per il 70% del Pil.
L’effetto collaterale, quasi “frusta” del Qe perenne, l’eterna lotta fra stampare (debito) e alzare (i tassi). Forse, gli Usa vogliono evitare la loro Gaza salariale interna? Che colpaccio, Hamas. Forse troppo per terroristi così grezzi. Nel frattempo, a Pechino si è aperto il terzo Forum sulla Via della Seta. Presenti delegazioni di 130 Paesi, fra cui molti capi di Stato. Xi Jinping ha ricevuto Vladimir Putin, ospite d’onore del simposio, con cui ha avuto un colloquio privato di un’ora e mezza. Nel grafico, lo stato dell’arte.
Dopo aver conquistato mezza Africa e ora aver gettato le basi per una nuova primavera di collaborazione in Medio Oriente, grazie al sostegno esplicito e senza precedenti alla causa palestinese, la Cina si è imposta come primo partner commerciale della Russia. Soprattutto, il +115% di export del Dragone verso Mosca registrato fra il settembre 2019 e il settembre di quest’anno (ovvero dall’era pre-Covid e pre-Ucraina) opera un off-setting decisamente “abbondante” rispetto a quanto l’Europa ha smesso di fornire e garantire alla Russia in ossequio alle sanzioni. Senza contare la variabile energetica, la quale comincerà solo ora a sostanziarsi in maniera palese per famiglie e imprese. Contemporaneamente, dall’altra parte del mondo, scatta la stagione delle trimestrali.
Un dato su tutti ha colpito la mia attenzione: Bank of America ha comunicato unrealized losses su securities per 131,6 miliardi di dollari nel terzo trimestre. Avete letto bene. Non si tratta di uno stress test. E, soprattutto, si tratta di Bofa e non di Silicon Valley Bank. Il mercato finge di non capire. Di non sapere. E la cronaca gli viene incontro. Ma pare non essere sufficiente. Bastava dare un’occhiata al Financial Times di ieri. Spicca infatti un’intervista al numero uno della Sec, Gary Gensler, a detta del quale una crisi finanziaria portata in dote dalla dell’intelligenza artificiale è pressoché inevitabile senza un’azione rapida e significativa dei regolatori. Tradotto, a new scapegoat is in town. Pessimo segnale. Perché mentre il mondo va in fiamme e la Cina pare godersi lo spettacolo alla finestra, il capo dell’autorità di vigilanza opera un jump the gun e scomoda l’ultima delle priorità possibili. Soprattutto, a due giorni soltanto dalla decisione proprio della Sec di non presentare ricorso con l’Etf su Bitcoin. Se non erro, i medesimi toni utilizzati oggi contro l’AI, pochi trimestri fa erano riservati alle criptovalute.
Questo è il mondo oggi. Caos. Totale. E – c’è da sperarlo – controllato e organizzato a tavolino per un bene superiore. Ovvero, evitare che il Sistema salti. In una o più delle sue componenti. Ma quando Bank of America ammette 131 miliardi di perdite non contabilizzate su securities in un solo trimestre, è il concetto stesso di valore di Var a perdere significato. Perché il timore degli analisti era per 600 miliardi di unrealized losses per il sistema bancario Usa. Record assoluto. Di cui circa 400 su assets detenuti fino a scadenza. O fino alla prima fire sale, se la puzza di margin call comincerà a farsi insopportabile. Bofa ha certificato di averne, da sola, 130 miliardi. Stiamo danzando nel cratere di un vulcano. Come scriveva Yukio Mishima.
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