Non c’è niente da fare, la realtà è qualcosa che l’Occidente non riesce proprio a guardare in faccia. L’Italia, poi, sembra quasi vittima di un incantesimo. Quantomeno, la sua stampa cosiddetta autorevole. Leggendo ieri giornali e siti, gli stessi che annunciavano trionfalmente il default russo ma si sono ben guardati dal prendere atto con i loro lettori del normalissimo sorgere del sole nel giorno seguente, hanno rilanciato con sublime senso della piaggeria il supposto via libera del G7 al prezzo su gas e petrolio. Balle. Stante il nostro atteggiamento da scendiletto in seno all’Ue di tutte le richieste belliciste di Usa e Nato, Joe Biden ha imposto agli altri Grandi di inserire nel documento finale la frasetta di rito per garantire a Mario Draghi uno strapuntino da mostrare al rientro in Patria: è stato conferito il mandato ai tecnici per studiare un price cap energetico. Scadenze entro le quali presentare il piano? Tempi di eventuale attuazione effettiva ed entrata in vigore? Zero, in entrambi i casi. Nel frattempo, il ministro Cingolani millanta un 55% di riserve di gas già riempite. Fosse vero, serve comunque arrivare all’80% entro il 1° novembre. Senza LNG statunitense, opportunamente tenuto da conto nell’hub texano della Freeport dopo l’incidente di fine maggio. 



Insomma, nessun accordo sul tetto al prezzo: semplicemente il via libera a una discussione operativa. Esattamente quanto ottenuto in sede di Consiglio Ue. Anzi, paradossalmente a Bruxelles, l’Italia ha ottenuto di più, poiché almeno è stata fissata una data per il vertice ad hoc sul tema: ottobre. Il G7, invece, è rimasto sul vago. Molto vago. Uno strapuntino, appunto. Ma si sa, quegli incontri si basano sostanzialmente su bilaterali a porte chiuse e sulla mitica foto di gruppo per vendere al mondo un’unità di intenti che, nei fatti, è minata alla radice dalla sacrosanta perpetuazione degli interessi di parte. 



Bene, con quale realtà non vuole fare i conti l’Occidente? Quella rappresentata in questa foto, appunto: nel silenzio generale, in contemporanea con il G7 bavarese si è chiuso a Pechino il Forum economico dei BRICS, i Paesi in via di sviluppo. Tradotto, Brasile, India, Cina, Russia e Sud Africa. Insomma, una bella parte di mondo. Molto ampia. Quasi un quarto del Pil totale. Che ha bellamente riaffermato la sua volontà di ampliare i rapporti commerciali con Mosca, alla faccia delle sanzioni occidentali. 

E non basta. La 14ma riunione dei BRICS appena conclusasi in Cina ha portato con sé una novità non da poco: Iran e Argentina hanno chiesto di entrare a far parte del gruppo. Il primo ufficialmente e con tanto di comunicato, la seconda in via un po’ meno formale, forse timorosa della reazione a caldo degli Usa e di quel Fmi che la tiene per il bavero con l’ennesima ristrutturazione del debito. Ma resta il fatto che da Buenos Aires non sia per ora giunta alcuna smentita alla dichiarazione in tal senso della portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zacharova. Tradotto, è nato un altro G7. Parallelo e alternativo a quello appena riunitosi in Baviera. Un G7 basato su materie prime contro un G7 basato sulla tipografia Lo Turco delle Banche centrali. Praticamente, a Pechino sono appena stati gettati i prodromi di un nuovo equilibrio globale. E in gran parte nucleare. Ma sui giornali è finita la panzana del price cap inesistente, forse un omaggio alle strette di mano con il vuoto di Joe Biden. 



Per quanto il nostro mal riposto senso di superiorità ci faccia storcere il naso di fronte a questi parvenu del benessere e della civiltà, occorrerebbe dare un’occhiata ai dati macro di quei Paesi. E al loro peso esiziale a livello proprio di commodities: noi possiamo esportare armi, democrazia e derivati. Loro ciò che garantisce da mangiare, per scaldarsi e per far funzionare le fabbriche. Proprio sicuri che possiamo snobbarli? Soprattutto ora, stante la dichiarazione ufficiale che da Pechino ha operato da simbolico contraltare al conferimento del mandato occidentale sul price cap: i tecnici dei vari Paesi lavorino fin da ora alla creazione di un paniere valutario dei Brics da opporre a dollaro ed euro. 

E anche qui, giova ripetere quale sia il contesto in cui nascerebbe la nuova valuta: garantita implicitamente da petrolio, gas, grano, terre rare, carne bovina e oro. Roba molto volgare, lo ammetto. Un mercantilismo tardo novecentesco di fronte alle supercazzole MMT e alle cripto-idiozie occidentali. Ma voi cosa mangiate, carne, latte e cereali o Bitcoin e swaps? Con cosa scaldate e illuminate la casa, forse con gli scudi anti-spread o i futures? E i vostri apparecchi ultra-tech, a cosa devono le loro prestazioni straordinarie, forse alle terre rare che li rendono quasi faustiani nella loro performance? I circuiti integrati con cosa si fabbricano, forse con il Recovery Fund o il Green New Deal? 

I nuovi BRICS nati a Pechino rappresentano il mondo del fare contro il mondo del millantare, la fabbrica contro la start up. E se è ovvio che innovazione e ricerca siano alla base del futuro, attenzione a non scordare quale dovrebbe essere la finalità di quelle attività sacrosante e benedette: produrre e garantire benessere e non gonfiare valutazioni di Ipo e garantire profitti meramente finanziari da speculazione e marketing. Elon Musk potrà anche andare su Marte in taxi. ma il mondo continuerà ad aver bisogno di fabbriche energivore e triviali prodotti industriali.

Forse, stiamo talmente tanto guardando in avanti da essere finiti palesemente in fuorigioco? E siamo così poco lucidi da continuare a chiedere un lancio in profondità per andare in rete, mentre il mondo già attende il fischio dell’arbitro che interrompa l’azione? L’ingresso dell’Iran nei BRICS, da solo, vale un’intera edizione di giornale. Perché porta con sé dinamiche petrolifere, di proliferazione nucleare e geopolitiche ai massimi livelli. Altro che il mandato sul price cap energetico. Ma non vogliamo capirlo. O, forse e più semplicemente, ci fa comodo ignorare di non essere più i padroni del mondo, i civilizzati che possono dettare legge sui barbari, salvo offrire loro qualche concessione. Il rischio è che, fra poco, ci ritroveremo in un mondo dagli equilibri invertiti di 180 gradi. Perché in Baviera si è parlato di missili, guerra e sanzioni. A Pechino di collaborazione economica e commerciale, in punta di numeri e risorse che il G7 ufficiale si scorda. Anzi, da cui dipende pressoché interamente, come conferma la necessità di continua implementazione delle sanzioni contro quella Russia che scalda e illumina tutta Europa. 

Vogliamo fare la guerra all’altra metà del mondo? Davvero siamo convinti che il regime sanzionatorio più duro del mondo, se imposto solo dal G7, sia in grado di stroncare Mosca e la sua economia? Sicuri che gli amici del Cremlino, quelli in posa nella foto più le new entry Iran e Argentina, non siano sufficienti a mantenere a galla le casse moscovite? E, anzi, a farle prosperare, una volta terminato il periodo degli sconti emergenziali e obbligati? Se la pensiamo così, meglio prepararsi a un brutto risveglio. E a un impatto da incubo con la realtà. 

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