Estonia, Lituania, Lettonia, Irlanda, Repubblica Ceca, Svezia, Polonia, Danimarca, Finlandia e Romania. Hanno deciso che occorre chiudere del tutto i conti con il gas naturale russo. Anche LNG. Dopo l’ipocrita record di import del 2024, una strana compagine di Stati a dir poco residuali – ma tutti accomunati da un viscerale attaccamento all’agenda Nato) – stranamente si è accodata alla decisione di Joe Biden di picchiare duro sul comparto energetico russo. E ha presentato una risoluzione in tal senso in sede europea.
Ovviamente, una pura coincidenza. Tre Stati baltici che ancora devono fare i conti con il passato, una Svezia entrata in fretta e furia nell’Alleanza e che distribuisce ai suoi cittadini prospetti informativi post-atomici, la Romania delle elezioni annullate causa “possibili interferenze” russe, la Polonia storicamente anti-russa, Danimarca e Finlandia come nuova frontiera Nord del maccartismo energetico e infine l’Irlanda. Patria di multinazionali Usa che corrono a non pagare le tasse e a godere del dumping fiscale di Dublino.
Come obiettivo finale, è necessario mettere al bando l’import di gas e LNG russo nel minor lasso di tempo possibile, si legge nel documento visionato da Bloomberg News. E ancora: Un’alternativa a un bando totale potrebbe essere la graduale riduzione dell’utilizzo di fonti energetiche russe come già previsto della roadmap RePowerEU della Commissione Ue. Come dire, Washington ci ha detto di spararla grossa. Ma potremmo accettare anche un compromesso al ribasso. Patetici. Oltre che ipocriti.
Il problema? Che la medesima Commissione, attualmente senza guida e senza operatività, vorrebbe rendere noto entro la fine di febbraio il piano finale per eliminare ogni dipendenza energetica da Mosca. Di grazia, chi ci sta lavorando? Su quali basi, alternative e mandato? Forse è chiedere troppo. Addirittura della trasparenza su una materia economicamente esiziale. E questi 10 Stati hanno anche appena imposto alla Bce di smettere con il taglio dei tassi, sia chiaro. Perché è altrettanto cristallino che una simile implementazione a stretto giro di posta con quella emanata all’ultimo minuto utile dalla Casa Bianca opererà da amplificatore a un’inflazione che già sta rialzando la testa. In tutta l’Unione. Strano, poi. Proprio dopo il discorso di accettazione della candidatura a Cancelliera di Alice Weidel, nel quale prometteva ritorno al nucleare, abbattimento delle pale eoliche e stop alle sanzioni verso la Russia e la sua energia a basso costo.
La Francia tace. Forte di un nucleare che certamente continuerà ad espandere. L’Italia tace. Nonostante il ministro per l’Energia abbia chiesto – non più tardi di dieci giorni fa – un nuovo price cap sul gas russo proprio a livello Ue. A 50-60 euro contro i 180 euro in vigore. Di solito non si avanza una proposta a così alto tasso di polemica e di disvelamento della nudità del Re, se l’idea di fondo è quella di chiudere i conti del tutto con Gazprom.
La fine del contratto di transito via Ucraina ha segnato uno spartiacque. E Mosca lo sa. Perché se il Financial Times spara la notizia di un possibile mega-taglio occupazionale della stessa Gazprom nella sede centrale di San Pietroburgo (da 4.100 a 2.500 persone) e Il Corriere della Sera ovviamente la riprende gongolante e con l’evidenza che, quando ancora era un quotidiano serio, avrebbe riservato al crollo del Muro di Berlino o alla caduta dell’Urss, questo link a un articolo di Bloomberg ci offre una chiaro esempio di come le minacce Usa contro la flotta fantasma siano state prese subito molto sul serio. E i tanker stracarichi di milioni di barili sono già al largo della Cina. Energy warfare. A cui la Russia l’altro giorno ha aggiunto un altro concetto. Quello di terrorismo energetico, esplicitamente scomodato per lo sventato attacco ucraino contro Turkstream.
E sapete cos’altro non vi hanno raccontato i giornali? La rassicurante frase utilizzata dal portavoce del Cremlino non più tardi di martedì. Questa: Nel 2025 l’Ucraina potrebbe non esistere più come concetto geografico. Il tutto alla vigilia di una potenziale guerra commerciale globale a colpi di dazi e sanzioni. E l’Europa lascia che 10 Stati con il Pil del Lombardo-Veneto decidano di accodarsi acriticamente all’agenda dell’Amministrazione uscente Usa. Con quella entrante che già ha minacciato Bruxelles di ritorsioni, in caso non comprasse LNG statunitense.
L’allargamento a Est di Nati e Ue sarà servito a qualcosa, cari lettori. O no? Per Washington, sicuramente sì. Stiamo insaponando la corda a cui ci impiccheremo.
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