Forse è il caso di mettere un po’ d’ordine. E, soprattutto, di offrire la giusta prospettiva alle cose, visto che attorno a questo neonato governo circolano leggende metropolitane su presunte facoltà taumaturgiche in materia economica.

Il nostro titolo di Stato decennale ieri mattina in apertura di contrattazione, prima che i ministri giurassero al Quirinale, prezzava lo 0,82% di rendimento: roba lunare, soltanto nel mese di luglio. Sotto quota 1%, un gran risultato. E un gran risparmio per le casse statali. Merito della crisi e del nuovo esecutivo?



Per carità, non lo pensano nemmeno i ministri stessi, se dotati del minimo sindacale di buonafede. Merito di Bce e Fed, che già fanno prezzare ai mercati tagli dei tassi e nuovo Qe, e della PBOC cinese che, zitta zitta, per tutta estate ha continuato a pompare, seppur alla chetichella.

Però, signori miei, ricordiamoci sempre una cosa. Ovvero, mentre in Italia M5s e Pd facevano le prove di riconciliazione, nel mondo veniva sfondato un nuovo record: le obbligazioni, corporate e sovrane, con rendimento negativo arrivavano al controvalore totale di oltre 17 triliardi di dollari. Insomma, emette a costo zero (anzi, facendosi pagare per il disturbo) chiunque. Perché? Perché tutti temono i venti di recessione e scappano dall’azionario, entrando o nei beni rifugio (yen, oro, ma anche Treasuries e Bund, e oggi le criptovalute) o nel reddito fisso, i cui fondi di riferimento negli ultimi tre mesi non a caso hanno registrato ingressi di capitale per oltre 160 miliardi di dollari, altro record assoluto, come mostra plasticamente il grafico.



Quindi, siamo solo parte di un trend anormale, tossico e storico. Ma assolutamente globale. Non c’entra Conte, né l’addio di Salvini: c’entra che il mondo sta andando ancora a schiantarsi e il mercato si regola di conseguenza, in attesa che le Banche centrali lo salvino di nuovo (creando i prodromi per la prossima bolla, ciclicamente).

Volendo essere razionali, il nostro decennale allo 0,82% di rendimento è bellissimo ma, visto il nostro peso in ambito europeo, possiamo tranquillamente dire che è ancora un’ottantina di punti base oltre la media: per capirci, il bond a 100 anni (esatto, 100 anni) austriaco porta rendimento negativo. Ovvero, i vostri nipoti, quando quella carta andrà a maturazione, ci avranno comunque rimesso, se voi avrete deciso oggi di detenerla. Quindi, piano con gli entusiasmi degni di miglior causa.



Per questo, mi scuserete se non riesco a trovare molto plausibile e serio che al posto del ragionieristico Tria sia stato messo un euroburocrate che nella vita extra-politica è docente associato di Storia contemporanea alla Sapienza di Roma: sicuri che sia l’uomo giusto?

Lo è, in effetti. E a dirlo ci pensano gli stessi esperti del settore, senza remore né vergogna: Roberto Gualtieri, infatti, a detta di tutti è l’uomo giusto perché molto addentro alle questioni europee, ai corridoi e alle commissioni di Bruxelles, facendo anche parte – fra l’altro – di quella sulla gestione del Brexit guidata da Michel Barnier. Insomma, è appunto un euroburocrate. E voi quale conseguenza traete dal sillogismo sostanziato dalla sua nomina? Che non serve uno che capisca di economia al Mef, ma solo uno che vanti buoni rapporti in sede europea.

Capite da soli che, alla luce di tutto questo, appare davvero difficile che le argomentazioni un po’ complottiste di Matteo Salvini non trovino radici per attecchire, almeno un pochino. Signori, parliamoci chiaro: la sabbia sta davvero scivolando sempre più veloce nella clessidra. Ma, quantomeno, l’opinione pubblica non pare interessata. O, peggio, cosciente.

Nel giorno in cui la stroncatura dell’opzione hardline di Boris Johnson sul Brexit ha ridato fiato alle Borse europee e alla sterlina, è stato il definitivo ritiro della legge sulle estradizioni in Cina, annunciato dalla governatrice di Hong Kong, a far rifiatare tutti i mercati. Qualcosa, però, è andata fuori giri a tempo di record.

Lo testimonia il grafico qui sopra, dal quale si evince che nelle stesse ore a Pechino la Banca centrale (Pboc) ha sentito il bisogno di tagliare “temporalmente” per l’ennesima volta i requisiti di riserva delle banche. Di fatto, nuovo stimolo. Sotto altra forma e indiretto. Ma stimolo. E a richiedere esplicitamente la mossa è stato – questa volta direttamente – il Gabinetto di governo e il presidente Xi Jinping in persona, come risposta di supporto al rallentamento patito dall’economia in agosto. In molti, temono che sia altro l’obiettivo. Per l’ennesima volta, il supporto ai mercati.

Come mostra quest’altro grafico, il quale oltre a evidenziare il crollo delle aspettative di utili globali (linea rossa), mostra anche come da qualche settimana il proxy della liquidità nel sistema mondiale (linea blu) abbia smesso di supportare gli indici (linea verde) in maniera pressoché perfetta, come accaduto per trimestri. Ma altresì, la curva all’insù dell’ultimissimo periodo mostra come la “stamperia” delle Banche centrali si sia rimessa in movimento: la Fed con i suoi 14 miliardi di Treasuries acquistati nelle ultime due settimane, dopo un digiuno cominciato nel 2014, e la Bce con i suoi 4,9 miliardi di reinvestimento titoli sul finire del mese di agosto.

Ovviamente, poi, c’è la prezzatura delle aspettative per le riunioni del 12 e 18 settembre, essendo quel dato appunto un proxy. E Jerome Powell non potrà proprio deludere il mercato, visto che il modello elaborato dalla prezzatura implicita dei futures mostra come le aspettative siano già oggi di un taglio complessivo di 120 punti base da qui alla fine del 2020.

Già, la Fed è tornata a comprare. Lo testimonia questo grafico.

E sapete perché? Proprio perché serve sostegno agli indici, ora che la liquidità a costo zero garantito dai rimpatri di denaro off-shore dello shock fiscale di Trump sta finendo. O è già finita. E anche perché, dal 17 settembre, il 75% delle aziende quotate sull’S&P 500 entrerà in una delle annuali finestre di blackout, durante le quali è statutariamente vietato operare il riacquisto di azioni proprie. Per due settimane Wall Street sarà forzatamente orfana del suo driver principale.

Ecco quindi che, nel silenzio generale, la Fed nelle ultime due settimane ha comprato titoli di Stato Usa per 8 e 6 miliardi rispettivamente, immettendo così liquidità nel sistema attraverso gli acquisti. Soldi finiti direttamente sugli indici? Chi lo sa, certamente non sarebbe la prima volta che il Plunge Protection Team della Casa Bianca interviene sulle banche che operano da Primary dealers del debito statunitense in questo modo, uno schema che si chiama back-door funding. Ovvero, il finanziamento che passa dalla porta sul retro, invisibile agli occhi e ai media. Soldi che attraverso una partita di giro la Fed offre agli istituti, comprando carta che loro detengono, in cambio del fatto che le banche o i loro broker li utilizzino per comprare titoli. E sostenere gli indici.

Che dite, l’esimio storico e provetto suonatore di chitarra Roberto Gualtieri, da ieri ministro, sarà conscio di questi processi, di queste realtà, di queste dinamiche? Io ne dubito. E non perché non sia intelligente, anzi. Semplicemente, perché non è il suo campo. Non lo è mai stato. E perché si mette qualcuno non all’altezza a ricoprire un ruolo di importanza assoluta come la guida del Mef? Forse perché, alla fine, serviva solo un euroburocrate che operasse da passacarte, perché il patto è già scritto? Ovvero, voi fate il Def sotto dettatura della Commissione Ue e noi opereremo in flessibilità in modo tale da farvi evitare l’aumento dell’Iva, un colpaccio propagandistico da mille punti per M5s e Pd?

Temo di sì. Purtroppo. Attenti a scherzare, però. Ieri, mentre al Quirinale si giurava, a Berlino veniva pubblicato il dato sugli ordinativi industriali tedeschi di luglio: -5,6% si base annua e -2,7% su base mensile, contro le attese di -1,4%. E quanto la nostra manifattura e la nostra industria, Nord in testa (assente totalmente dal governo), dipendano da quelle tedesche, è inutile che ve lo ricordi per l’ennesima volta.

Qualcuno, temo, sta facendo male i suoi calcoli. Peccato che a schiantarsi sarà tutto il Paese e non solo lui.