Un direzionamento motivato o un classico short squeeze di grandi dimensioni, a sua volta frutto di una trappola rialzista della liquidità? Il mercato ringalluzzito che stiamo osservando in queste prime sessioni del 2023 in Europa, cosa vuole dirci davvero?

Osservando i comparti a maggior performance, infatti, si scopre che si tratta dei medesimi big losers del 2022: automotive, real estate e retail. Rispettivamente a -20,1% lo scorso anno e +4% da inizio 2023, -40,1% e +3,9% e -32,6% e +3,7%. Ma non basta. Come mostra la tabella, a brillare sono i titoli con lo short interest più alto. Ovvero, azioni che vedono una percentuale ragguardevole di flottante disponibile per essere presa in prestito per scommesse al ribasso.



Cosa sta accadendo, quindi? I rialzi che stiamo vivendo sono mere coperture di alcune delle posizioni drasticamente ribassiste assunte nel 2022? Oppure i traders sono davvero tornati al desk armati di ottimismo e qualche certezza? Le minute della Fed appena pubblicate potrebbero offrirci un primo banco di prova. I membri del board, infatti, hanno rumorosamente fatto notare durante l’ultimo Fomc come eventuali e inattese mosse espansive potrebbero vanificare e compromettere lo sforzo finora compiuto contro l’inflazione. Tradotto, si prosegue come un Caterpillar lungo la strada della normalizzazione. Eppure, pressoché in contemporanea con la pubblicazione di quelle parole da falco, il Wall Street Journal rilanciava la notizia in base alla quale Amazon proprio nel 2023 taglierà 18.000 posti di lavoro, molto più del previsto. E, come avrete notato, uno dei titoli sul cui ribasso si è scommesso di più in Europa, è quello del concorrente diretto del colosso di Jeff Bezos sul mercato del Vecchio Continente (almeno nell’abbigliamento), la tedesca Zalando. Insomma, e-commerce nel mirino e in piena ristrutturazione.



Cosa ci dice questo rispetto alle prospettive di recessione per l’anno appena cominciato? E se lo stesso Jerome Powell è stato costretto ad ammettere come gli Usa vivranno una contrazione della crescita, il fatto che Christine Lagarde continui a parlare di rallentamento breve e contenuto non deve lasciarci tranquilli. Quantomeno, alla luce del precedente legato alla presunta transitorietà dell’inflazione. Insomma, davvero prevarrà lo spirito di contrasto all’inflazione o le Banche centrali si porranno nuovamente in modalità di sostegno a Wall Street, travisandolo da aiuto all’economia reale?



In tal senso, deve far riflettere quanto accaduto nell’ultimo giorno di contrattazione del 2022 ed esplicitato da queste due immagini.

La facility di reverse repo della Fed di New York ha infatti visto 113 controparti depositare qualcosa come 2,554 trilioni di dollari. Record assoluto. Certo, la contemporaneità di scadenza del fine trimestre con il fine anno ha spinto le banche a parcheggiare fuori bilancio liquidità. Così come un tasso repo al 4,30% ha operato da ulteriore calamita, soprattutto con il repo del GC al di sotto di quel livello. Ma occorre prendere atto di una dinamica contemporanea, quella rappresentata dalla seconda immagine: stando alle rilevazioni di Nordea, oggi l’indice della liquidità globale è al minimo storico assoluto. Uno strapiombo. Ovvero, liquidità a picco sul mercato, ma contemporaneamente parcheggiata su livelli record overnight alla Fed di New York: uno starnuto sul rischio di controparte e l’effetto “fondo pensione inglese” è garantito. A livello globale, però.

Se non ci fosse la convinzione di una Fed che bluffa, si continuerebbe a correre – quotidianamente – un rischio simile, in nome di un interesse “di parcheggio” risk-free milionario ma non certo esiziale? Se sì, siamo davvero al fondo del barile, al last hurrah, all’ultimo giro di valzer sul Titanic del Qe permanente. Altrimenti, forse il rally in atto può avere delle basi reali, un costrutto che – comunque sia – trova sottostante nella certezza di un prestatore di ultima istanza che, in un modo o nell’altro, tornerà operativo. Ma proprio per questo, il rischio di un mismatch tra politiche monetarie e fiscali resta alto. Negli Usa come in Europa. E qualcuno potrebbe finire sull’altare. In versione agnello sacrificale.

In tal senso, quindi, attenzione a quel movimento al ribasso del nostro spread. Come già anticipato nell’articolo di ieri, il rischio di fraintendimento del dato inflattivo in calo in Germania, Francia e Spagna e di una sua prezzatura unidirezionale verso una fine del ciclo rialzista delle Banche centrali appare la minaccia più seria e immediata alla stabilità di mercato. Perché la profondità della crisi di fronte a noi è testimoniata, al di là dai toni apparentemente improntati alla rassicurazione di Powell e Lagarde, proprio da quei segnali di tensione su due colossi retail formalmente con tempra e bilanci di Teflon con Amazon e Zalando.

Se chi è uscito rafforzato nei numeri e nella posizione dominante dall’inferno del lockdown e della crisi sulla supply chain si ritrova a fare i conti con tagli occupazionali e un mercato che scommette allo scoperto, quale deve essere l’approccio? Come vedete, una matrjoska di variabili. La condizione peggiore in assoluto, poiché capace di mutare drasticamente in tempi rapidissimi. E, quindi, necessitante una classe dirigente con riflessi pronti e capacità di reazione da primato.

Chiudendo la finestra globale e concentrandoci sul salotto di casa nostra, un Governo che passa metà del suo tempo a criticare la Bce, oltretutto proseguendo nell’unicum di un ministro della Difesa che sembra parlare a nome di Bankitalia e Mef, sarà in grado di gestire una simile situazione di contingenza? La quale, meglio essere chiari, durerà mesi e non settimane. Oppure quella profezia del Financial Times traeva spunto e forza proprio dalla conclamata incompetenza al riguardo, testimoniata da un atteggiamento di contrapposizione puerile e controproducente?

Per una volta, il redde rationem con la realtà sarebbe meglio che attendesse. Perché il rischio è davvero quello di un avvitamento della situazione su se stessa, dopo un breve ma traumatico stallo. E, come avrete notato, l’economia appare sparita dai radar di palazzo Chigi. Quando però smetterà di bussare e suonare alla porta e deciderà di sfondarla, meglio che nessuno stia simbolicamente guardando dallo spioncino. Perché potrebbe rimanere schiacciato. O forse sarà il Covid a togliere ancora una volta le castagne dal fuoco, rimettendo il mondo in stand-by? Italia giocoforza in testa.

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