Sinceramente, l’unica parte del discorso di Vladimir Putin che realmente mi preoccupa è quella in cui ha citato chiaramente l’Italia come Paese beneficiario dell’aiuto russo nella fase iniziale e più grave del Covid. Tutt’intorno, un’indistinta e generica Europa sostenuta da un asse franco-tedesco che si è sempre ben guardato dal rompere i rapporti con il Cremlino. Tanto Occidente. Nel mirino però, citati apertis verbis, solo noi italiani. Quello del Covid era un altro mondo, ha dichiarato Giorgia Meloni. Come dire, la riconoscenza ha dei limiti. E, forse, degli interessi a cui pagare il conto.
Detto questo, attenzione a scomodare l’isolamento russo come ragione dell’innalzamento dei toni – a livello quasi millenaristico – da parte della Russia. Quando ancora risuonavano nell’aria le minacce contrapposte, il Wall Street Journal confermava come Xi Jinping si recherà a Mosca nelle prossime settimane per incontrare Vladimir Putin, in quella che appare una mossa di diplomazia ai massimi livelli per imporre la mediazione del Dragone. Il Vaticano taceva, quindi acconsentiva. E, anzi, pareva benedire. Peppone e Don Camillo docet, quando c’è da risolvere guai che nessuno vuole affrontare.
Ma attenzione. Il fatto che solo 24 ore dopo l’emissario ufficiale del ministero degli Esteri cinese, Wang Yi, fosse a Mosca per incontrare sia Vladimir Putin che Serghei Lavrov confermava come l’asse fra Russia e Cina sia mai come oggi forte e presente. Non ditelo a Corriere e Repubblica, i cui sopraffini analisti lo danno per morto da settimane. E mentre accadeva tutto questo, il prezzo del carbone europeo tracciato dall’Emission Trading System sfondava quota 100 euro per tonnellata. Per l’esattezza, 100,70 euro. Un sobrio +20% di aumento da inizio anno.
Ovviamente, tutti si focalizzeranno sul bicchiere mezzo pieno: sintomo di domanda economica in ripresa, quindi un proxy di un possibile e sostenuto rimbalzo della produzione industriale. Tradotto, ci venderanno la narrativa del soft landing come negli Usa. Anzi, qui esageriamo e giochiamo direttamente la carta della recessione evitata. Tout court. Ma ecco che quest’altro grafico ci mostra altro. Un qualcosa che unisce i puntini come un marcato e deciso tratto di penna, disvelando un quadro che dovrebbe farci riflettere.
Se infatti persino il solitamente pessimista Presidente di Nomisma Energia ha guadagnato l’apertura di prima pagina del Sole24Ore, preconizzando risparmi record sulla bolletta nel 2023, ecco che il combinato di prezzo del carbone alle stelle e Cina che sta letteralmente divorando il mercato Lng globale con uno shopping di lungo termine e lunga fornitura pare tratteggiare uno scenario differente. Al netto di deliranti e autolesionisti bandi sui motori endotermici, quando contemporaneamente la domanda di carbone in Europa è degna di un romanzo di Charles Dickens, ecco che la commodities weaponization del Blocco che fa riferimento alla Cina sembra crescere di volume. E di impatto, soprattutto politico, stante la nemmeno troppo sotterranea mediazione del Brasile di Lula.
Il Sud del mondo, insomma, pare stanco di subire decisioni unilaterali degli Usa. L’Europa, invece, no. Mosca, chiaramente, anela a un nuovo ordine energetico che veda il suo alleato come tenutario del banco. E l’India, dopo lo scherzetto degli short sellers Usa contro il primo conglomerato industriale del Paese, sicuramente se potrà far male, lo farà. Tutt’intorno, un mondo parzialmente in fiamme e parzialmente in cerca d’autore. Mentre l’Africa con il suo tesoro di materie prime è ormai provincia di Pechino.
Siamo davvero sicuri che tutto quanto accaduto nelle ultime 72 ore vada ricondotto soltanto a un trailer fra il pacchiano e il demenziale di Thirteen days? Riflettiamo. Solo due settimane fa, la narrativa era quella in base alla quale la Cina inviava mongolfiere-spia in Usa e Canada. Di colpo, però, il paradigma social-mediatico ha virato verso il più gestibile universo degli Ufo. I quali, essendo frutto di fantasia, appaiono assolutamente in linea con le versioni ufficiali statunitensi. Forse per nascondere che per abbattere un pallone da 500 dollari si è utilizzato un missile da 200.000. Poi, la narrativa vira nuovamente. Antony Blinken, numero uno del Dipartimento di Stato Usa, non ha dubbi: Pechino sarebbe a sua volta pronta ad armare Mosca. Peccato che appaia l’unico soggetto realmente impegnato a cercare una soluzione diplomatica, mentre l’Occidente appare un supermarket a cielo aperto di missili e tank. Nel frattempo, il blazer blu della destabilizzazione a orologeria noto al mondo come Corea del Nord, spara un paio di missili. Così, tanto per togliere un po’ di polvere di dosso a quell’armamentario inutile chiamato Onu. E gettarla negli occhi dell’opinione pubblica. Alla fine, ciò che conta è solo quanto rappresentato nel grafico.
La scorsa settimana, in piena pantomima globale da rialzo dei tassi, la Banca centrale cinese ha iniettato nel sistema 835 miliardi di yuan (121 miliardi di dollari) in contratti reverse-repo a 7 giorni. Di fatto, alla luce del netting, qualcosa come 632 miliardi di yuan messi in circolazione, la più ampia iniezione su base quotidiana addirittura dal 2004.
Cosa ci dice, questo? Primo, la Cina fa ciò che vuole. E il mondo tace, perché storicamente l’impulso creditizio cinese si trasforma in lubrificante per l’intero sistema finanziario con un ritardo di 3 mesi. Tradotto, Pechino ha appena allentato i timori del Qt di Fed e Bce a livello di liquidità globale. Secondo, la Cina ha appena scritto sul muro che la recessione non solo ci sarà, ma sarà brutale. Non a caso, si interviene. Terzo, proprio l’altro giorno la medesima Pboc ha inviato ai principali istituti creditizi del Paese la cosiddetta window guidance, invitando tutti a rallentare il ritmo dei prestiti per il rimanente periodo che fa riferimento al mese di febbraio, stante un eccesso di credito registrato in gennaio. Ulteriore sintomo di cautela verso il futuro prossimo. E in attesa che Evergrande faccia default (così come la Russia con i suoi bond), ecco che le autorità di Pechino stanno silenziosamente abbandonando un’altra restrizione legata alla bolla immobiliare: quella inerente le vendite di terreni da parte dei governi locali. Insomma, un palese incentivo per il mercato real estate. Il quale interviene proprio nel momento in cui il taglio dei tassi sui mutui cominciava a mordere la voce earnings delle banche, stante la corsa ai prepayments. E con un muro di scadenze colossale per il debito degli enti locali, ecco che il cap salta: chi pensa che ancora a Pechino si ragioni con una logica da kolchoz staliniano, forse dovrebbe levarsi i paraocchi ideologici. In Cina non si attende più che la bolla arrivi al punto di esplodere, ci si muove prima. Ma con una magnitudo che fa capire quale livello di sfida macro abbiamo di fronte.
Come sussurra il superbonus, d’altronde. Ma guarda caso, Kiev ha coperto tutto. E l’allarme per la bolla del secolo è scivolato dalla prima alla dodicesima pagina dei quotidiani. Per ora. Ma lo spread continua a ballare. E fra emissione del Btp Italia e board Bce, marzo si prefigura già come il mese della verità.
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