Cortina fumogena, mon amour! Vale tutto, quando il redde rationem si avvicina. E, soprattutto, quando passata l’euforia della festa, restano solo i bicchieri da lavare e i cocci da raccogliere. Valgono i rave party, gli sbarchi di migranti, persino quei vecchi attrezzi degli anarchici. Ma alla fine, ecco che Madame Realtà entra a Palazzo. Quella del Sole 24 Ore di ieri non era una prima pagina. Bensì, una bandiera bianca che sventola. Una resa incondizionata a mezzo stampa.
Non stonerebbe, stante i toni, in un archivio storico. Datata attorno al giugno 2011, pochi mesi prima della storica letterina scritta dalla Bce all’Italia. Ma andiamo con ordine. Dal 6 al 9 marzo, il Tesoro ha annunciato una nuova emissione di Btp Italia indicizzato all’inflazione. Così, di colpo. Anzi, diciamo che ci sono fin troppe ragioni per giustificare il blitz di via XX Settembre. Una su tutte: bruciare sul tempo l’eventuale tensione che l’Eurotower potrà innescare sui mercati al board del 15-16 marzo, quando all’atteso, nuovo rialzo di 50 punti base occorrerà far seguire un minimo sindacale di guidance. Ovvero, indirizzare il mercato per i mesi a venire. Si sale ancora? Ci si ferma?
Il dato tedesco sull’inflazione di gennaio diffuso ieri, in tal senso, è stato a dir pilatesco. A gennaio, infatti, i prezzi sono saliti all’8,7% dall’8,6% di dicembre, ma gli alibi si sono a dir poco sprecati. Tanto che il nostro spread ha timidamente festeggiato. Lo stesso Ente tedesco che traccia il dato ha infatti invitato tutti a interpretare con cautela quel ritorno a un aumento, poiché influenzato non solo dalla rinegoziazione dei contratti energetici, ma anche da una nuova formulazione del paniere di beni che compone il CPI. Capite ora perché un provvidenziale guasto tecnico ne abbia rimandato la pubblicazione addirittura di dieci giorni, visto che era originariamente attesa per il 31 gennaio?
Ma torniamo a noi. il nuovo Btp Italia avrà una durata di 5 anni ed è previsto un premio fedeltà pari all’8 per mille per coloro che acquistano il titolo all’emissione e lo detengono fino a scadenza. Un anno in meno di durata rispetto alla carta emessa lo scorso novembre. C’è un problema ulteriore, però, al di là delle condizioni sempre più da televendita Eminflex cui sta abituandoci il dicastero di via XX Settembre. Come certificato dal certo non ostile Sole 24 Ore, il Governo deve fare i conti con un costo dell’emissione che a gennaio è letteralmente raddoppiato al 3,44%, massimo dal 2011. Insomma, nel pieno del terremoto dello spread e alla vigilia del whatever it takes.
E non basta. Scope Ratings, la stessa agenzia che già nell’ottobre scorso mise nel suo radar il nostro debito, quantificherebbe già ora in 90-120 miliardi di euro le necessità di finanziamento italiane da reperire sul mercato come alternativa al preventivato Qt della Bce. Ovvero, l’esatto opposto del salvifico reinvestimento titoli sui cui troppi avevano fatto affidamento. Non tira una bella aria, insomma. Non a caso, le cortine fumogene abbondano, appunto. Ultima delle quali, il caso Cospito.
Ma lo smarcamento di Silvio Berlusconi sui toni utilizzati da Fratelli d’Italia e soprattutto l’attacco frontale di Matteo Salvini contro il Capo dello Stato per la partecipazione a Sanremo, parlano la lingua di un equilibrio di governo che appare traballante e nervoso. Se lunedì, al netto della vittoria pressoché certa del centrodestra in Lombardia e Lazio, il partito di Giorgia Meloni avrà ulteriormente cannibalizzato consensi agli alleati, la spia di allarme potrebbe diventare rosso fuoco. E i tempi del redde rationem accorciarsi. E di molto. Per l’esattezza, fra il 6 e il 9 marzo. Quando il Tesoro chiederà alle famiglie italiane, obiettivo dichiarato dell’emissione indicizzata, una sorta di oro sulla fiducia alla Patria. Dovesse andare male o con rendimenti in asta in trend con il balzo di gennaio, difficilmente ci si potrebbe stupire per l’innesco di una spirale auto-alimentante dello spread. In stile 2011, appunto.
Ed eccoci all’oggi. E a quella prima pagina da pelle d’oca. Perché al netto degli alibi, Giorgia Meloni è stata costretta a dire la verità. Puntando dritta al bersaglio: più Btp in mano agli italiani. E non per scelta o patriottismo, bensì per necessità. Disperata. Dopo tante promesse di far finire la pacchia all’Europa, è la Bce che – come era ovvio e vi dico da qualche secolo – sta per farci finire la pacchia del backstop sul debito e del doping artificiale sul premio di rischio. Puntavamo al reinvestimento titoli e a nuove emissioni comuni, il famoso Recovery Fund energetico. Invece, siamo alla vigilia del Qt, il dimagrimento di bilancio. La vendita di titoli in detenzione. Volgarmente parlando, l’atto di rimozione delle rotelle alla bicicletta.
Adesso vediamo chi si ritroverà con la pacchia finita, in vista della prima curva o frenata. Non a caso, asta d’emergenza e appello agli italiani, affinché si trasformino in giapponesi. Signor Rossi, terminato Sanremo e preso atto della pensione che è rimasta tale e quale, si ricordi di tramutarsi in Mr. Watanabe, quando entra in banca. Ma, paradossalmente, quella prima pagina porta con sé un grado di disperazione ancora peggiore, un sintomo di clessidra con ormai pochissima sabbia che ancora deve scorrere.
Nel riquadro blu a sinistra sotto la foto della Premier, ecco Giancarlo Giorgetti, titolare del Mef, presentarsi al mercato e al Paese con un’intera pianta di ulivo sulle spalle, altro che ramoscello: Ok a più aiuti di Stato, se più flessibilità sulle revisioni del Pnrr. La resa, appunto. Totale. Incondizionata. Proprio nel giorno del vertice Ue straordinario in cui Francia e Germania presentano il conto del loro asse renano agli altri Stati membri, imponendo all’agenda i desiderata necessari alle loro economie al fine di reggere la recessione già iniziata a dicembre. Come testimoniato dai dati delle vendite al dettaglio. Come testimoniato dal CPI tedesco di gennaio, nonostante le cortine fumogene teutoniche. E fra questi desiderata, tranquilli che la Bundesbank inserirà parecchio rigore in più da parte della Bce, proprio in ossequio a quel trend dei prezzi che non cale. E, anzi, sale.
Il famoso Patto del Quirinale, a cosa è servito? E la fedeltà atlantica fino a parossismo, cosa ci ha portato in dote, se non l’umiliante esclusione dal vertice Macron-Scholz-Zelensky e una più che garantita vendetta energetica russa, quasi certamente attraverso il proxy algerino? La prima pagina del Sole 24 Ore di ieri va conservata. Purtroppo. Ora è più chiaro perché nel giorno in cui Christine Lagarde annunciava altri 50 punti base di aumento dei tassi a metà marzo, il nostro spread crollava più che dopo il whatever it takes, come mostra questo grafico? Prezzava questa prima pagina. E un bell’haircut agli italiani. Magari sul patrimonio immobiliare. Magari sui conti correnti. Magari tramite una riforma draconiana delle pensioni.
Se dopo il voto regionale, la calendarizzazione della ratifica parlamentare del Mes subirà un’accelerazione inattesa, avremo una prima certezza. Se il bubbone legato ai crediti del superbonus comincerà a generare insolvenze e nel frattempo lo spread resterà placido, allora avremo la garanzia. E quel riferimento così esplicito e assertivo di Giorgia Meloni al calo dello spread nei primi 100 giorni troverà senso. Ma reclamerà anche un prezzo. Incalcolabile.
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