Come volevasi dimostrare, la grande paura è durata poco. L’accelerazione nel rialzo dei tassi contenuta ambiguamente nelle minute della Fed pubblicate mercoledì sera ha fatto deragliare Wall Street e inviando shock in Giappone ed Europa, ma, già il giorno dopo, il mercato Usa pareva averci messo poco a digerire l’ennesimo stress test. Di fatto, siamo di fronte a cicliche purghe degli eccessi. Tonfi quasi salutari dopo rally assolutamente scollegati da ogni fondamentale macro che proseguono per giorni: ogni tanto, si storna.
Perché allora quella reazione così drastica degli indici statunitensi a botta calda? E perché, soprattutto, a controtendenza di Hong Kong con il suo +0,7% di giovedì mattina? Partiamo dal fondo: preso atto della natura da Godot del default di Evergrande, il tonfo di Huarong ha di fatto operato da catalizzatore dell’ottimismo per un intervento statale a ulteriore stabilizzazione del mercato immobiliare. Ma c’è dell’altro. La Cina sconta un vantaggio enorme, insito nella sua natura di democrazia autoritaria: la Banca centrale non ha bisogno di alibi particolari e sostegni più o meno occulti dell’opinione pubblica per intervenire. Quando il Partito decide di farlo, lo fa. Punto. Altrove invece no. E negli Usa la pubblicazione delle minute della Fed è andata a sovrapporsi a una notizia che apparentemente nulla ha a che vedere con i mercati. In realtà, ne è quasi il metronomo.
Questa tabella mostra le medie di ascolto dei vari programmi in onda negli Stati Uniti nel terzo trimestre dello scorso anno. A fare impressione non deve essere la Cnn in ultima posizione o Msnbc in penultima, bensì la Joe Rogan Experience al primo posto.
Di cosa si tratta? È il podcast di un comico. Una sorta di stand-up comedian molto simile al Beppe Grillo della prima fase di controinformazione unita all’approccio comico. Perché la questione starebbe preoccupando i mercati? Semplice. La puntata di fine anno dello show ha avuto come ospite il dottor Robert Malone, il padre del vaccino Mrna ma anche l’uomo che per primo ha messo in evidenza alcuni rischi connessi ai sieri. Tanto che proprio il 31 dicembre, Twitter ne ha sospeso l’account. E cosa ha detto lo scienziato nel corso delle tre ore di podcast? Riassumendo per sommi capi ha definito la strategia del Governo Usa nella lotta al virus illegale e fuori controllo, colpevole di almeno mezzo milione di morti in più di quanto si potesse evitare, azzardata nella politica di status sperimentale dei sieri, oltre a difendere l’approccio alternativo di governi come quello indiano e sottolineare come chi è in possesso di immunità naturale corre maggiori rischi di eventi avversi dell’immunizzazione. Insomma, l’apocalisse no vax. Ma, di fatto, nulla che già non circoli.
A spostare l’equilibrio, oltre allo standing e alla fama del professore, è stata la sua accusa finale: I governi stanno facendo vivere alle gente una psicosi della formazione di massa. Di fatto, una perdita collettiva di contatto con la realtà. Alimentata da un altro fenomeno ribattezzato dai massmediologi e sociologi come fear porn, la pornografia della paura. Queste grafiche parlano da sole: Google ha – per la prima volta in assoluto – inserito una formula di messa in guardia precauzionalmente sminuente nel suo motore di ricerca, quando si digitano le parole mass formation psychosis. La seconda immagine è uno screenshot della mia ricerca sulla versione italiana di Google di giovedì mattina, tanto per operare in modalità San Tommaso.
Ma il dottor Malone ha detto anche altro. Ad esempio, ha attaccato i media. In particolare la Reuters, visto che uno dei suoi fondatori e massimi dirigenti, Jim Smith, siede anche nel board di Pfizer. Un esempio? Lo offrirebbe una notizia pubblicata il 3 gennaio, in base alla quale il gigante Usa della grande distribuzione, Walmart, avrebbe deciso la sanificazione di 60 suoi punti vendita per contrastare la diffusione del virus. Duplice effetto sull’opinione pubblica: il Covid che si annida tra gli scaffali, mentre facciamo la spesa con la famiglia e l’immediato rimando psicologico e di ricordo emotivo alle settimane drammatiche del lockdown duro della prima ondata. Qual è il problema? Forse la notizia è falsa? Assolutamente no. Peccato che 60 punti vendita equivalgano all’1,27% degli oltre 4.700 presenti negli Stati Uniti. Insomma, la notizia è certamente eye-catcher, come si dice in gergo, ma la sua base scientifica e di messa in prospettiva dell’allarme è pari a zero.
E cosa c’entrano i mercati con tutto questo? Soprattutto, perché chi opera ma anche le Banche centrali e i Governi dovrebbero aver paura della messa in discussione del regime di fear porn? Lo mostra questo grafico finale: al netto di una condizione di follia in base alla quale da aprile allo scorso dicembre solo 5 titoli azionari hanno garantito il 51% dei guadagni del Nasdaq, la Sundial Research ha calcolato che contemporaneamente il trend parallelo ha visto il 40% delle aziende quotate sull’indice tech Usa perdere il 50% del loro valore, un numero a oggi superato solo dal crash del marzo 2021 e dalla Grande crisi finanziaria del 2008.
Domanda: qualcuno di noi si è forse accorto di questo vero e proprio bagno di sangue di aziende quotate? E soprattutto, la stampa ha evidenziato il trend con la medesima enfasi che normalmente riserva ai rallies da record? Assolutamente no, mi sento di rispondere per tutti noi. Chissà come mai? Chissà da cosa eravamo distratti? Le tesi del professor Malone sono folli e fallaci? Non sta a me dirlo, ammetto candidamente di non avere alcuna competenza medico-scientifica per pronunciarmi. Ma la gente dimostra, ormai da mesi, di seguire sempre più programmi di informazione alternativi. In America, oltretutto. Tutti beoti che si nutrono di fake news complottiste? Alla luce di certe recenti mezze ammissioni e di alcune evidenze dei dati, questa narrativa sembra ormai poco credibile. La gente sarà anche poco istruita. E magari in maggior parte stupida. Ma quando il professor Fauci e il CDC cambiano idea cinque volte in dieci giorni sulle procedure e i protocolli anti-Omicron, qualche sospetto anche sulla loro di credibilità nell’americano medio prende il sopravvento. Soprattutto alla luce delle evidenze in base alle quali una ONG riconducibile proprio al virologo della Casa Bianca abbia collaborato a esperimenti-chimera con gli scienziati di Wuhan, oltretutto utilizzando fondi federali Usa.
Quei dati di ascolto parlano chiaro, così come l’assoluta indifferenza che ha accompagnato quella correzione silenziosa del Nasdaq. E il mercato sa una cosa: se salta il regime di fear porn che tutto mette in ombra, si rischia il vero taper. E proprio ieri, una Corte distrettuale del Texas del Nord ha imposto alla FDA americana di pubblicare 55.000 pagine al mese di documenti relativi al vaccino Pfizer e al suo iter di sperimentazione e approvazione e non 500 come da richiesta della casa farmaceutica. E in un primo tempo stabilito. Tradotto, i tempi scendono da 75 anni a 8 mesi. E il nervosismo del mercato, infatti, sale. Occhio al VIX.
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