Negli ultimi due giorni mi sono un po’ dilungato, quindi oggi mi limiterò a una lettura più breve e scorrevole. Da fine settimana. Ma attenzione, questo non significa che sia meno importante a livello di contenuti. Anzi, paradossalmente potrebbe servirvi da cartina di tornasole e codice di decodifica per le settimane che verranno.
Partiamo da un assunto di massima, il quale è stato evento generatore di quanto accaduto nelle ultime 96 ore. Ovvero, lo scontro frontale e senza precedenti fra Donald Trump e Volodymir Zelensky nello Studio Ovale della Casa Bianca. Immediatamente dopo, la Germania ha sentito il bisogno di mettere in campo due fondi – uno per la difesa, l’altro per le infrastrutture – da quasi 1 trilione di euro di disponibilità combinata. Il famoso bazooka fiscale di cui stiamo parlando in queste ore e che ha fatto imbizzarrire il rendimento del Bund.
Intendiamoci, quanto avvenuto a Washington era solo un alibi. Lo dico dal primo momento. Berlino attendeva solo il casus belli, appunto. Il piano era pronto. E la conferma è arrivata ieri, plasticamente illustrata da questo grafico: gli ordinativi industriali tedeschi a gennaio sono crollati del 7% su base mensile contro aspettative di -2,5%, mentre su base annua la contrazione è stata del 2,6% contro attese di un +2,6%.
E cos’ha reso così drastico quel calo mensile? Un tonfo negli ordini di macchinari di grandi dimensioni e veicoli come navi e aerei. Guarda caso, almeno un paio di questi potrebbero beneficiare in maniera diretta del fondo per la difesa. In maniera esplicita o tramite qualche scappatoia che, ovviamente, nessuno farà notare. Perché l’importante è che ora i maestrini del rigore abbiano deciso che la vita è una sola. E allora, tanto vale godersela. Spendendo.
La parola deficit è stata sdoganata a Berlino e ora tutto appare più semplice. In realtà, il sollievo di breve periodo servirà soltanto ad aggravare la situazione e accelerarne la spirale già nel medio termine. In cuor loro e onestamente, lo sanno tutti. Ma tutti sanno anche che questa Europa non ha margini e prospettive di sopravvivenza molto lunghi. Quantomeno nella forma attuale. Quindi occorre cercare di costruire più trincee e barricate possibili. Anche utilizzando a tal fine i mobili di casa. Tanto toccherà traslocare, il tetto di Bruxelles sta crollando.
Ma non pensiate che la situazione paradossale che stiamo vivendo sia unicamente germano-centrica. Anzi. Berlino opera da detonatore per l’Eurozona. Ma come sempre, l’epicentro è altrove. Se come dicevo l’altro giorno la Cina ha annunciato un deficit al 4% del Pil per l’anno in corso, massimo da 30 anni a questa parte, ecco a voi la splendida e disarmante realtà che ci arriva da Oltreoceano.
La mostra questo grafico, il quale compara l’andamento dello Standard&Poor’s 500 durante la prima campagna di dazi e tariffe del Trump appena giunto alla Casa Bianca dopo la vittoria su Hillary Clinton a quella attuale.
Differenze, ne notate? Solo nel numero di nemici commerciali contro cui emanare scomuniche e ritorsioni. Nella versione originale era solo la Cina, oggi anche Canada, Messico e Ue. Ma come allora, tutto si traduce e si riassume in una pantomima. Non a caso, proprio l’altra notte la Casa Bianca ha rinviato un’altra volta l’entrata in vigore dei dazi contro le importazioni dai Paesi confinanti, spostando la deadline al 2 aprile. E anche riguardo all’Europa, finora molte minacce ma poco altro. Tanto è vero che a Bruxelles si è parlato di difesa e non di commercio.
In compenso, ecco come il mercato ha reagito a questa messinscena. La carta carbone, la fotocopia della prima caccia alle streghe commerciale. Lo mostra questo terzo e ultimo grafico, il quale esplicita come nelle ultime due settimane gli hedge funds abbiano scaricato equities sul mercato statunitense al ritmo più veloce di sempre. Primato assoluto. Solo la scorsa settimana, un controvalore di 47 miliardi.
Insomma, una bella purga da detenzione di titoli tech che cominciavano a ticchettare come bombe innescate, stante valutazioni totalmente scollegate dalla realtà. Come ha dimostrato il presto archiviato caso DeepSeek. Non a caso, mentre Donald Trump firmava due nuovi ordini esecutivi dedicati a riserve strategiche e stoccaggio di cryptovalute, Nvidia perdeva un altro 6%. Ma nessuno se ne è accorto. Certamente non Mr. Smith che si è indebitato per comprare quell’azione delle meraviglie su qualche piattaforma retail, visto che ovviamente gli hanno detto in tutte le lingue che si trattava dell’ennesimo affare di una vita. Imperdibile.
Tanto la notizia è la Germania che spende e spande. O l’Ue che stanzia 800 miliardi per difendersi da un esercito che, a detta della medesima Europa, ormai è ridotto a combattere con i manici di piccone e senza scarpe. E il cui Presidente sta trattando la pace con Usa e controparte ucraina, tanto per dimostrare come l’emergenza reale sia ben altra. L’importante è scaricare quella patata bollente equity chiamata AI e farlo senza dare nell’occhio. Missione compiuta.
E ora, guardate ancora una volta il grafico comparativo: se il tracciamento continuerà pedissequamente a ricalcare quello del precedente flip-flop da dazi e tariffe, adesso si aprirà un periodo di rialzo. Oltretutto nel pieno dell’iniezione di liquidità del Tesoro Usa attraverso il drenaggio dal Tga, il conto corrente federale, stante l’impossibilità di emettere a breve termine fino al raggiungimento dell’accordo sul debt ceiling. Prossima, vera priorità di un Donald Trump in forma smagliante come prestigiatore. E avanti così, calciando il barattolo. E sperando.
Vi sentite anche voi vagamente presi per i fondelli?
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