La rana si abitua in fretta all’acqua calda. Talmente in fretta da non capire quando vada in ebollizione. Quando lo farà, sarà tardi. Ma con tante distrazioni, è facile perdersi. Social su cui scrivere compulsivamente, e-commerce da cui comprare con sconti h24, media trasformati nel bar di Guerre stellari per intrattenere e non informare. In ambito economico-finanziario, poi, la marchetta regna sovrana. Pubblica e privata. In un mondo simile, chi guarda grafici come questo?
E poi, cosa sono le Government Sponsored Enterprises (Gse)? Nulla più che agenzie falsamente private ma in realtà a controllo statale, il cui scopo istituzionale è quello di garantire flussi di credito in specifici settori (strategici) dell’economia. Per capirci, Fannie Mae e Freddie Mac, vittime illustri dell’era Lehman, erano Gse. E cosa si nasconde invece dietro l’acronimo Fhlb? Federal Home Loan Banks, un consorzio di 11 banche sponsorizzato dal Governo Usa, il cui compito è quello di fornire liquidità alle istituzioni finanziarie per garantire “cassa” al mercato real estate. Statutariamente, tutto fa capo a un principio di inclusività abitativa. Ma come ci ha mostrato il 2008, trattasi soltanto di uno schema Ponzi di mercato. Non a caso, Fannie Mae e Freddie Mac collassarono per indigestione di subprime.
Ora, vi pare un caso che l’esplosione di assets in detenzione alla Fhlb e facenti capo a Gse sia stata contemporanea alla fine della pantomima sul tetto di debito e, soprattutto, alla crisi delle banche regionali, in capo a cui grava il 70% del debito di commercial real estate statunitense? E ora guardate quest’altro grafico apparentemente oscuro: dal 1 luglio, il Treasury Cash è aumentato di 494 miliardi di dollari. Ovvero, il “conto corrente” operativo con cui il Tesoro Usa affronta le spese day-by-day e che viene finanziato dalle entrate fiscali, da quelle doganali ma anche dalla vendita di securities. Di fatto, titoli di debito pubblico.
Contestualmente a quell’aumento, ecco che il controvalore di utilizzo del reverse repo alla Fed di New York è calato di un ammontare quasi pari. Per l’esattezza, 434 miliardi. Vaso comunicante. O, forse, altro e contestuale schema Ponzi. La liquidità in eccesso che per tre anni e mezzo abbondanti le banche hanno parcheggiato overnight a un discreto tasso di remunerazione, stante la natura totalmente risk-free in contesto di Qe aperto, cala di colpo di un terzo circa del totale medio e si tramuta in liquidità di conto corrente. Tradotto, invece di parcheggiare cash per un tasso di interesse passivo, le banche ripagano il favore e comprano Treasuries. Vaso comunicante. Doom loop. Io preferisco schema Ponzi. Signore e signori, il mercato. At its finest.
Ma come pensate che una povera rana possa accorgersi, immersa com’è in un brodo di gossip travestito da informazione e warmongering perenne degno di un 2.0 de Il Dottor Stranamore? L’informazione seria, costa. E non rende. E questa è una responsabilità che la rana, invece, dovrebbe assumersi. Anzi, deve. Altrimenti, cessa di colpo il diritto alla lamentela e all’attenuante generica. Pensate che un contesto simile sia solo statunitense e, soprattutto, che sia riferibile unicamente ad anfratti così specifici del mercato da non avere un impatto diretto sulla vita di tutti noi, la vita quotidiana? Ripensateci.
Quando vedo le banche dipendere da depositi frutto di mediazione, allora mi preoccupo davvero. Parole e musica di Tom Dechaene, membro del supervisory board della Bce. Brokered deposits, molto esotico. Di fatto, nulla più che depositi garantiti da piattaforme che operano da terze parti. Di cui qualcuno comincia a temere il possibile effetto domino in caso di innesco di una seria crisi di fiducia nel settore. Tradotto, la natura esterna di quei depositi viene vista come accelerante della corsa che la palla di neve di outflows potenziali comincia verso valle. Dove giunge sotto forma di valanga.
Evitiamo allarmismi, quantomeno immediati. Quei depositi presentano vincoli temporali o penali di uscita tali da garantire un’assicurazione ex ante. Non a caso, quando si vuole uscire dal gruppo e gettare l’esca, ci si affida all’abbinata di capitale libero e musica di Elio e le Storie tese per dimostrare come si possa fare “quel tasso che vuoi” coi soldi depositati. Sintomo che la normalità, appunto, è quella di rigidi paletti contrattuali, a fronte di qualche punto in più sull’interesse. Ovviamente, l’ambiente circostante pesa. Perché il costo del denaro deciso dalla Banca centrale gioca un ruolo fondamentale nella scelta, nell’attrattività e nel rischio dei brokered deposits. Ma questo grafico mostra chiaramente quale sia la realtà. Quasi impietosa.
Perché allora il membro del comitato di supervisione della Bce ha sentito il bisogno di rendere palese – proprio ora – la sua preoccupazione sul tema? Semplice, perché a Francoforte sanno che finora l’Eurozona ha vissuto in assoluta serenità socio-economica grazie unicamente alla percezione del suo best kept secret: dal picco, gli outflows delle banche statunitensi hanno segnato un molto mediatico e urlato -5,6%. Mentre quelli legati agli istituti europei un silente e totalmente ignorato -13,2%. Praticamente, un rapporto 3X. Avete letto bene. Le fughe di depositi nel medesimo arco temporale sono state terribilmente più gravi in Europa che negli Usa. Non lo sapevate? Normale, se l’informazione annovera banche fra i membri dei Cda, fra gli inserzionisti più munifici e se il Mef presiede le riunioni di redazione della sezione economia. E qui non c’entra l’azzardo insito in certe scommesse, ormai necessarie in un mondo di finanziarizzazione che non contempla più la banca come soggetto che eroga credito e gestisce risparmio. La banca commerciale fa trading, investe. Basti vedere la dipendenza di finanziamento da bonds senior e soprattutto AT1, l’ibrido che regala emozioni. E a volte morphing mortali in equity.
Certo, in un mondo che volesse evitare ogni due anni una crisi, basterebbe imporre un limite ad attivi e operatività dei trading desk e dei Level 3: superato il quale, addio filiali e sportelli bancomat. Ma nessuno vuole fare la fine di Giorgio Ambrosoli, di cui proprio l’11 luglio ricorreva l’anniversario della morte. Quindi, nessuno si azzarda nemmeno a pensarlo. Anche perché, una crisi ogni due anni serve. Altrimenti, cosa renderebbe sostenibile e addirittura necessario il Qe perenne, lo stesso generatore di inflazione che oggi sta turbando i professionisti della caduta dalle nuvole?
Attenzione, però. Se il buon Tom Dechaene ha sentito il bisogno di parlare, proprio ora, è perché pareva salutare inviare un messaggio. I depositi, ecco il possibile cigno nero.
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