L’ultimo Consiglio dei ministri dell’anno pare aver preso con grande serietà e in debita considerazione l’allarmante e irrituale grido di dolore lanciato dal ministro Giorgetti nel corso dell’audizione di mercoledì. Prima il mancato inserimento nel Milleproroghe della misura a sostegno del calciomercato di riparazione che si aprirà il 2 gennaio, poi il varo di un decreto ad hoc sul Superbonus ma sotto forma di sanatoria per scaglioni di reddito che rappresenta un contentino in sedicesimi rispetto all’arma di distruzione di massa innescata dal Governo Conte. La stessa che il titolare del Mef aveva paragonato – solo 24 ore prima – alla radioattività di una centrale nucleare per i conti pubblici. Si sa, a giugno si vota. E Forza Italia era pronta alle barricate.
Alla fine, tutti mezzi scontenti. O mezzi soddisfatti. Dipende dalla prospettiva da cui si descrive il bicchiere. E dal grado di disidratazione. Ma attenzione ai colpi di coda. Quelli col favore delle tenebre. E agli eventuali ricorsi al Tar, di fatto l’asso nella manica su cui conta Forza Italia per rivendicare il bersaglio grosso, una volta che un giudice qualsiasi decreti l’incostituzionalità della discriminazione via Isee a parità di avanzamento dei lavori. Tant’è, nulla di nuovo. Anzi, no. Perché è la prima volta che un ministro delle Finanze ammette candidamente come le casse dello Stato non potessero permettersi nemmeno un decimale ulteriore di detrazioni, quasi a gridare come il Re sia già oggi nudo sotto il mantello della Bce. Ma in contemporanea, l’Ue sbloccava la quarta rata del Pnrr. E tutto sembra quadrare.
Una cosa non quadra, però: lo spread. Chi maneggia debito pubblico, pur ammettendo che sul breve termine non vi sia alcuna ragione di allarme, ragiona a voce alta. Al netto del regalone della Bce sul roll-off a rallentatore dei titoli in reinvestimento e del Patto di stabilità che scorpora le spese per interessi per i prossimi tre anni, oggi il differenziale Btp-Bund dovrebbe già essere ampiamente in doppia cifra. Perché una cosa è certa: quanto firmato a Bruxelles dallo stesso ministro Giorgetti rappresenta uno scudo a tempo all’azione di governo. Ma i costi per la collettività a partire dal 2027, esplodono. E ogni Ded necessiterà ex ante e in automatico di una Manovra correttiva. E di tagli lineari. Lo dicono le cifre, lo dicono quei 15-17 miliardi da destinare al taglio del debito. Firmati e sottoscritti. A quali condizioni di mercato per il finanziamento però, da qui a tre anni? Ignoto. Ma si sa, l’orizzonte temporale è giugno. Dopo, si vedrà. In fondo, si tratta solo del destino del Paese. Niente di serio.
Attenzione, però. Perché al netto del no al Mes che da dopodomani priverà le banche europee di uno strumento di amplificazione delle risorse del Fondo di risoluzione in caso di crisi, probabilmente il ministro Giorgetti sta seguendo con maggiore interesse dei media quanto sta accadendo proprio in queste ore nella vicina Austria. Dove il gruppo Signa sta vedendo anche le property units accedere alle procedure di bancarotta. I gioielli della corona di Rene Benko finiscono simbolicamente al Monte di Pietà. A partire dalla co-proprietà degli iconici grandi magazzini londinesi Selfridges fino agli immobili di lusso. Insomma, ora il domino di controparte potrebbe cominciare a colpire duro chi è esposto a livello creditizio. E non solo la giubilata Julius Bear. Il rischio? Altarini che saltano fuori all’improvviso. E accendono micce.
Sarà per questo che il ministro Giorgetti ha utilizzato quei toni apocalittici parlando del Superbonus e delle ipotesi di proroga, persino le più tiepide? Teme contagio, in caso di crisi del settore che parta dell’Austria e divenga pandemia continentale attraverso quel vettore chiamato Germania con il suo real estate in pieno sgonfiamento della bolla da tassi a zero infiniti? E se le banche italiane si ingolfassero ulteriormente di crediti e sofferenze, che si fa? Si cartolarizza? Si utilizzano le Poste o Cassa depositi e prestiti? Quanto ci metterà lo spread a prezzare gli azzardi a fronte di un destino finora rivelatosi benigno, a costo però di un futuro prossimo già ampiamente ipotecato e in odore di commissariamento dei conti?
Guardate questo grafico: ci mostra come in sole 8 settimane, il tasso sui mutui Usa sia calato di oltre un punto percentuale. Il massimo su quell’arco temporale dal 2009.
La ragione? La spiega l’ultimo numero di Commercial observer: sempre negli Usa, il 44% dei prestiti su uffici e il 14% di tutti quelli legati al comparto Cre sono a rischio default. Gli spread sui famigerati bond Cmbs parlano chiaro in tal senso. Che il Governo abbia ingoiato il boccone di troppo, l’indigesta mentina di fine pasto, come il mitico e ingordo Mr. Creosote del Meaning of life dei Monty Python?
Non ci vorrà molto a scoprirlo. Perché il combinato di Mes inutilizzabile e possibili unrealized losses delle banche austriache da contabilizzare potrebbe rilasciare endorfine di crisi nel corpaccione dell’Eurozona. A quel punto, tutto verrebbe azzerato. Perché fino a oggi, la recita è stata pedissequamente cadenzata sul copione globale dell’emergenza inflazione che obbliga al rialzo dei tassi e garantisce alle banche extra-profitti (tassati all’amatriciana, poi), senza che alcuna facility emergenziale debba essere nemmeno messa in pre-allarme. Adesso, invece, il quadro potenziale è totalmente differente. E quel no al Mes tutto ideologico e propagandistico rischia di tramutarsi nell’errore fatale. Perché una cosa è avere banche sane, un’altra avere banche che non fanno gli esami del sangue.
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