Innanzitutto, permettetemi di cominciare questo breve articolo di fine settimana con un commosso ricordo di Fabrizio Saccomanni, ultimo economista italiano degno di questo nome, dopo la scomparsa nel 2009 di Giovanni Arrighi. Se non lo avete fatto, leggete il suo ultimo saggio pubblicato per le edizioni de Il Mulino, Crepe nel sistema: scoprirete in pochissime pagine la differenza fra dilettanti allo sbaraglio del Pil, saltimbanco da talk-show e accademici seri e realmente preparati, menti che sanno guardare oltre. Mancherà, spero davvero che la terra gli sia lieve. Detto questo, immagino (e spero) che nessuno di voi mi voglia in lacrime per la fine del Governo giallo-verde. Tutti gli scherzi terminano prima o poi, anche quelli mal riusciti e di cattivo gusto. E state certi che, tra qualche anno, capiremo fino in fondo a cosa sia servito questo anno di delirio organizzato nelle stanze del potere. Cui prodest, insomma.



Attenzione però a non tirare troppo in lungo la pantomima della cosiddetta “parlamentarizzazione della crisi”, ovvero i bizantisimi rituali della nostra democrazia, fra passaggi in Aule per la sfiducia formale, viaggi infiniti al Quirinale per consultazioni e mille tentativi di dar vita a esecutivi raffazzonati. E non per lo spread, intendiamoci. La reazione di ieri è stata assolutamente normale e fisiologica, financo limitata, se pensiamo alle criticità reale che sconta l’economia del nostro Paese, visti i dati da tracollo che soltanto giovedì la Germania ha presentato al mondo e la dipendenza quasi siamese del nostro sistema produttivo da quello teutonico. Niente panico, quindi. Inoltre, la Spagna sta per seguire il nostro esempio, perché subito dopo la pausa agostana, il buon Pedro Sánchez tenterà un’altra volta la via parlamentare alla fiducia, accordandosi con Podemosm ma, in caso di ennesima fumata nera, anche Madrid tornerà per la quarta volta in tre anni alle urne. Non mi pare che i Bonos siano volati in cielo con i rendimenti.



C’è la Bce, signori. E coincidenza ha voluto che la rottura in seno al Governo giallo-verde sia giunta proprio nel giorno in cui, attraverso il suo bollettino mensile, l’Eurotower rendesse noto quanto ormai tutti scontano: alla riunione del board del 12 settembre, la penultima di Mario Draghi da governatore, si agirà direttamente e concretamente, dopo gli ennesimi proclami a parole di fine luglio. Detto fatto, il mercato – fra il rassegnato e il vacanziero – fino a ieri aveva scelto la scorciatoia della fiducia, accordando alla Bce stessa un supplemento di credito preventivo. Lo schermo sul rischio spread, quello reale e di lungo corso, c’è ancora. E, anzi, sta per rafforzarsi. Preoccupa di più, invece, la situazione della Borsa, nella fattispecie il comparto bancario bersagliato ieri mattina dalle vendite. Certo, le criticità ci sono, ma, in punta di logica, se il mercato prezza la schermatura Bce sul rischio sovrano, anche l’eccesso di esposizione allo stesso delle nostre banche attraverso le mega-detenzioni di Btp – tallone d’Achille storico e ormai ontologico – dovrebbe essere anestetizzato e non tramutarsi in sell-off. E se, cari amici e lettori, le vendite di ieri non fossero altro che un segnale strutturale di sfiducia che, nell’arco di poco tempo e viste le grandi manovre in atto nel settore a livello europeo, potrebbe trasformarsi in scorciatoia per fusioni obbligate o, peggio, shopping a prezzo di saldo da parte di soggetti esteri?



Ecco perché, se crisi deve essere, che sia davvero breve, roba da cotto e mangiato. E non mi interessa di tornare a votare o che il Quirinale piazzi un Governo tecnico. Basta che si faccia in fretta, perché in una situazione congiunturale simile, il vuoto di potere rappresenta il pericolo maggiore in assoluto. In primis, alla luce di una Legge di bilancio da presentare entro il 15 ottobre che, già oggi, si preannuncia da lacrime e sangue, visti i saldi da far quadrare, fra clausole di salvaguardia sull’Iva da disinnescare e finanziamento di manovre totalmente inutili come reddito di cittadinanza, quota 100 e flat tax.

Ovviamente, l’Europa è già allerta e conscia del rischio, quindi pronta a offrire all’Italia una deroga sui tempi di presentazione del nuovo Def, in caso si vada al voto in autunno. Di cosa pensate che si siano voluti rassicurare il presidente Mattarella e il premier Conte nei loro fitti contatti dei giorni che hanno portato, non a caso, all’elezione di Ursula von der Leyen a capo della Commissione? Non a caso, questa è stata la vera mossa che il ministro Salvini ha digerito con difficoltà enorme e che ha fatto, immagino, scattare nella sua testa il campanello d’allarme.

Perché sono così preoccupato? Ce lo spiegano questi due grafici, dai quali si desume una cosa: a rimettere in carreggiata i mercati Usa dopo il Black Monday di inizio settimana non è stato soltanto la stabilizzazione del fixing dello yuan scelta da Pechino, meno drastica del temuto, bensì un’ondata senza precedenti di buybacks azionari da parte della cosiddetta Corporate America, ovvero le principali multinazionali del Paese, le quali dopo aver beneficiato del regalo fiscale di Trump dello scorso anno, ora hanno ripagato il favore nel momento del bisogno.

Ovviamente, il cosiddetto Plunge Protection Team statunitense, ovvero le principali banche di Wall Street sotto stretto coordinamento di Fed di New York e Tesoro, ha fatto la sua parte. E non sono io a dirlo, lo ha confermato una fonte non certo tacciabile di complottismo come Bloomberg, a detta della quale, quando gli indici statunitensi sono cominciati a crollare dopo la decisione cinese di svalutare lo yuan e bloccare l’import di prodotti agricoli americani, il desk di Goldman Sachs dedicato appunto ai buybacks ha visto aumentare gli ordinativi di acquisto in modalità quasi senza precedenti. L’America si stringe come un pugno contro la minaccia cinese, ora che è divenuta davvero tale. E manipola apertamente gli indici, pur di non farli crollare, visto che alla luce di valutazioni da unicorno e multipli di utile per azione da reparto psichiatrico, nessuno può permettersi un crollo dei prezzi. Banche in testa, altrimenti addio modelli di VaR sull’immondizia ancora in detenzione sotto la coltre di nominalismi esotici.

Signori, ci muoviamo in un periodo che possiamo definire il corrispettivo politico-economico di una piscina piena di squali. A livello globale. E una crisi di governo proprio ora, se non gestita con astuzia ed enorme rapidità e linearità, equivale a tagliuzzarsi con una lametta, prima di tuffarsi in acqua. Non abbiate paura dello spread, da qui a settembre. Abbiate paura dei tonfi del comparto bancario e, soprattutto, di certi rimbalzi poderosi. Perché stavolta potrebbero non essere del “gatto morto”, ma dello straniero sulla porta di casa. In vena di shopping durante i giorni frenetici e confusi dei saldi estivi. E poi, fatevi una domanda: Mario Draghi sarà presente al meeting della Fed di Jackson Hole, i prossimi 22-23-24 agosto o, come l’anno scorso, marcherà visita? Io giovedì l’ho chiesto via mail all’ufficio stampa della Bce, senza ricevere risposta. Forse hanno fiutato la polpetta avvelenata, visto il timing che ho scelto per porre il quesito…