Palazzo Chigi annuncia ufficialmente l’utilizzo del golden power su Pirelli a tutela dei sensori cyber. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, non ha dubbi: Proteggiamo i dati sensibili dalla Cina. Con la quale, contemporaneamente, è ancora in vigore un memorandum di intesa. Diciamo che a livello diplomatico, la frittata è fatta. Perché tutte le scelte sono legittime, ma le forme, in determinati ambiti, sono sostanza. L’Italia di oggi non è quella del Conte-1, la sua collocazione atlantica è granitica. Lo testimonia l’impegno al fianco dell’Ucraina, secondo per determinazione soltanto a quello della storicamente russofoba Polonia. Ed eccoci al primo punto. I giornali di tre giorni fa riportavano con dovizia di particolari la mossa di Roma su Pirelli. In compenso, hanno trovato decisamente superfluo riportare la notizia dell’apertura di una fabbrica di chip proprio in Polonia da parte della multinazionale Usa dei semiconduttori, Intel. Un investimento da 4,6 miliardi di dollari che garantirà 2.000 posti di lavoro altamente qualificati più l’indotto.
Cosa c’entra? A differenza dell’impegno verso Varsavia divenuto realtà, il progetto di apertura di uno stabilimento back-end in Italia strombazzato lo scorso marzo dal Governo Draghi come una vittoria diplomatica senza precedenti, è di fatto tramontato. Dopo la visita in Italia della delegazione di Intel, formalmente solo per scegliere fra Veneto e Piemonte, tutto pare arenato. Si trattava di un investimento da 5 miliardi. Svanito nel silenzio. Stessa azienda, stesso Governo di riferimento, stesso ambito strategico. La Polonia incassa, l’Italia no. Eppure, il nostro Paese non ha lesinato in sforzi diplomatici al fianco delle posizioni più oltranziste di Nato e Ue.
Ed eccoci al secondo punto, quello sostanziato da questo link. Sempre il Governo Draghi aveva venduto all’opinione pubblica – e a Parlamento – la strategica alleanza energetica di Roma con Algeri in chiave anti-russa. Questo nonostante tutto il mondo sappia come l’azienda statale algerina, la Sonatrach, sia nulla più che una dependance di Gazprom. Questa notizia risale al 15 giugno scorso, data nella quale il presidente algerino, Abdelmadjid Tebboune, si trovava al Cremlino per la firma di un memorandum di cooperazione strategica con la Russia. Addirittura, Vladimir Putin ha parlato dell’Algeria come pivot dell’intera strategia di cooperazione russa nel Nord Africa. E sabato scorso, dopo la visitina a Kiev, la delegazione di sei Paesi africani (Sud Africa, Zambia, Senegal, Congo-Brazzaville, Uganda ed Egitto) sarà proprio in Russia, quasi certamente non per una mera cordialità diplomatica. Come d’altronde testimoniato chiaramente dalla stizzita reazione del Governo ucraino, il cui numero uno si è polemicamente chiesto cosa andassero a fare a Mosca. Forse perché Mosca vanta un asse privilegiato sempre più forte con la Cina, a sua volta ormai referente principale nel Continente Nero e nuovo Fmi?
Sbaglierò, ma stiamo per isolarci in maniera suicida. E senza tornaconti polacchi. Non ci credete? Ammetto che l’argomento poco si presti a una lettura rilassante, però date un’occhiata a quest’altro link. Il problema è che certe dinamiche o le conosci o ti schiacciano. Come diceva il sergente Voight in Chicago PD, sul pullman puoi salirci sopra o finirci sotto. La differenza a volte sta in uno sbuffo, quello che normalmente si ottiene come reazione annoiata quando si trattano certi temi. In alternativa, ti becchi del complottista filo-cinese. Ma mentre giustamente i media ragguagliano sulla visita in Cina del capo della diplomazia Usa in cerca di un falso e strumentale disgelo, ecco che proprio Pechino sta letteralmente comprandosi il mondo. Forte di una presenza a Kabul rimasta immutata dopo l’addio statunitense e il nuovo avvento dei Talebani, la Cina punta talmente tanto alle miniere di litio afghane da aver scomodato il proprio inviato speciale, Wang Yu, per incontrare il Governatore della Banca centrale del Paese asiatico, Hidayatullah Badri. Sul piatto un investimento da 10 miliardi di dollari per quelle miniere così appetite che garantirebbe lavoro a 120.000 afghani, il tutto dopo la firma – lo scorso aprile – di un accordo di estrazione fra il Governo talebano e la Xinjiang Central Asia Petroleum and Gas Co. (CAPEIC). E con la Banca centrale afghana impossibilitata a stampare moneta e con 10 miliardi di riserve estere congelate, 7 delle quali presso la Fed di New York, il corteggiamento cinese appare di quelli a cui è impossibile resistere.
Ma non basta. Perché nelle stesse ore e come mostra il link nei commenti, Pechino ha garantito un prestito da 1 miliardo di dollari alla State Bank of Pakistan, di fatto offrendo a Islamabad un’esiziale boccata di ossigeno, a fronte dell’impasse nelle trattative con il Fondo monetario internazionale. Il tutto alla luce di un rapporto ormai “coloniale” di Pechino nei confronti dell’India, storico nemico del Pakistan. Insomma, mentre ancora noi dibattiamo sul ruolo cinese in Africa e sulle presunte influenze della Wagner nelle partenze dei migranti verso l’Ue, la Cina prosegue il suo Risiko a tappe forzate. Comprandosi letteralmente il mondo. Anzi, gli ombelichi strategici del mondo. E tanto per mettere un punto finale, da Teheran giunge la notizia di un accordo in seno alla ACU (Asian Clearing Union) in base al quale i sette membri (India, Pakistan, Iran, Bangladesh, Myanmar, Maldives, Nepal, Sri Lanka e Bhutan, più Bielorussia e Mauritius in attesa di ammissione dopo la richiesta forma di adesione) adotteranno il sistema di pagamento alternativo allo Swift progettato dall’Iran, denominato Sepam e già collegato a quello della Banca centrale russa.
De-dollarizzazione in progress, insomma. Certo, qualcuno farà notare come trattasi di Paesi da nulla rispetto alla potenza dell’Occidente. Ma se il fatto che India e Pakistan siano potenze atomiche e demografiche già dovrebbe far pensare, i più pacifici Sri Lanka e Bangladesh vedono il loro made in per l’abbigliamento stampato in modalità industriale sull’apparel di stampo casual (ma non solo, visto che i costi di produzione bassi piacciono anche alle grandi firme) venduto nei principali stores del medesimo Occidente. Attenti al pullman, insomma…
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