Un famoso spot pubblicitario di qualche anno fa recitava che “l’ottimismo è il profumo della vita”. A MF-Milano Finanza devono aver fatto tesoro di quel messaggio, come testimonia la prima pagina del quotidiano in edicola ieri e che vi ripropongo qui. Il titolo della notizia a cui faccio riferimento è quello ben evidenziato nel bandone rosso di taglio centrale: con tono nemmeno troppo velatamente carico d’invidia, ecco che il quotidiano dei mercati finanziari ci dice come le Pmi cinesi stiano per beneficiare di una sferzata di liquidità da 115 miliardi di dollari per stimolare la ripresa economica, dopo trimestri di Pil del Dragone in flessione. Intendiamoci, la notizia non è in sé falsa, né inventata. E occorre dare atto a MF di aver avuto l’intuizione e l’istinto giornalistici di piazzare in bella evidenza quella che in effetti, almeno a mio avviso, era la notizia economico-finanziaria principale giunta nel primo giorno dell’anno: per capirci, il Sole24Ore non ne dava menzione nella sua copertina, nemmeno nelle brevi sul colonnino di spalla. C’è però un problema. Anzi, due.



Il primo è meramente interpretativo, quindi soggettivo. La mossa cinese non è infatti una semplice operazione di stimolo dell’economia reale come il titolo lascerebbe intendere, bensì una mossa meramente e strutturalmente finanziaria operata dalla Pboc (la Banca centrale) per tamponare l’ennesima, ciclica e sistemica crisi creditizia in seno all’enorme schema Ponzi della crescita del Dragone. Quindi, una sconfessione apparentemente netta – ancorché facilmente camuffabile da virtuosa manovra di supporto, come testimonia la prima pagina di MF – della linea rigorista di Xi Jinping, il quale – come vi ho raccontato poche settimane – ultimamente sembrava aver rafforzato la sua volontà di apertura netta a dinamiche di mercato, ivi compresi i default di aziende anche a controllo statale che non riuscissero a onorare le loro scadenze sul debito. Per un po’ il giochino del mostrare la faccia dura ha retto, poi il rischio è salito troppo.



Secondo problema, con la sua mossa la Pboc ha gridato al mondo in maniera definitiva e plateale che il Re è nudo: il taglio di 50 punti base dei requisiti di riserva per le banche commerciali appena operato rappresenta infatti la reazione a specchio rispetto alle aste term e repo della Fed per evitare che Wall Street si schiantasse contro un muro in vista delle scadenze di fine anno/trimestre. Il problema, in un mondo finanziariamente interconnesso e interdipendente, resta sempre lo stesso: la cara, vecchia liquidità. Ovvero, la fonte di vita per un sistema basato su leva e debito.

Ma partiamo da principio. Ovvero, dalla notizia. Sfruttando l’oblio generale delle festività di inizio anno, infatti, la Pboc ha deciso appunto di tagliare di 50 punti base i requisiti minimi di riserva delle banche commerciali dal prossimo 6 gennaio, una mossa che si sostanzia implicitamente in un’iniezione di liquidità nel sistema pari a 800 miliardi di yuan (115 miliardi di dollari). E come mostra questo grafico, a fronte di requisiti che attualmente sono al 13% per le grandi banche e all’11% per quelle più piccole, il taglio appena annunciato – il primo dallo scorso settembre – è tale da portare la ratio minima richiesta al livello più basso dall’ottobre 2007. Insomma, quando il mondo stava preparando le condizioni finali per il grande botto che sarebbe arrivato circa 12 mesi dopo.



E quale fu il segnale premonitore netto che qualcosa stava per abbattersi sul sistema, all’epoca? Il graduale congelamento del mercato interbancario, con i costi per il prestito fra istituzioni finanziarie che cominciarono a salire senza sosta a partire dalla tarda primavera del 2008. E cosa è successo in Cina nelle ultime settimane? Questo, praticamente il corrispettivo meno eclatante – non fosse altro per la poca sopportazione delle istituzioni cinesi rispetto al clamore mediatico e all’allarmismo – di quanto accaduto attorno a metà settembre in America, tale da portare la Fed il 17 di quello stesso mese a lanciare le operazioni di finanziamento term e repo, tornando operativa sul mercato dopo un decennio.

Il tasso Shibor a un mese, infatti, nelle ultime settimane era salito progressivamente al massimo da un anno, toccando brevemente nei giorni scorsi il 3%. Ma non basta. Perché a mettere in prospettiva la magnitudo – paradossalmente più politica che finanziaria – della mossa della Pboc, ci pensa il fatto che solo tre giorni prima dell’annuncio, la stessa Banca centrale cinese avesse scosso il mercato interno annunciando – anzi, ordinando – alle banche un cambio nel benchmark da utilizzare per i prestiti all’economia reale, passando da quello tradizionale al cosiddetto Loan Prime Rate, il Libor cinese. Di fatto, la mossa apparentemente interessante solo per gli addetti ai lavori, aveva già abbassato il costo del finanziamento medio per le imprese sullo strategico arco temporale a un anno dal 4,35% al 4,15%, un bel taglio di 20 punti base in un solo colpo. Questo sì, tutto a detrimento dei margini di profitto delle banche e a tutto vantaggio dell’economia reale, ovvero delle aziende che pagavano meno il denaro preso in prestito sulla scadenza benchmark dei 12 mesi.

E veniamo ora all’attualità più stringente e alla natura un po’ fuorviante del titolo di prima pagina di MF. Ce la mostra, senza particolare necessità di commenti da parte mia, quest’ultimo grafico: piaccia o meno ammetterlo, esattamente come le istituzioni finanziarie Usa hanno avuto bisogno di un diluvio da 500 miliardi di liquidità della Fed per passare indenni le force caudine delle scadenze di fine anno, senza far saltare il banco del mercato interbancario, così la Cina già all’inizio di questo nuovo anno e nel solo mese di gennaio vede le proprie aziende e municipalità dover fare i conti con un liquidity hole da 2,8 triliardi di yuan (circa 400 miliardi di dollari) su scadenze obbligazionarie.

Insomma, i soldi in più che finiranno nel sistema dal taglio di 50 punti base dei requisiti di riserva (più i 20 del nuovo metodo di calcolo sui prestiti a 1 anno) andranno sì alle Pmi in gran parte, ma affinché queste paghino i loro debiti e le maturities sui bond emessi per finanziarsi e smettano con il brutto trend da record dei default, non per rilanciare la crescita operando in CapEx o ricerca. Insomma, lo Stato è tornato a intervenire direttamente per salvare lo schema Ponzi che regge l’intero castello di carte cinese, non per dar vita a magnifiche sorti e progressive dell’economia a fronte di una stagnazione globale, come farebbe intendere il bandone rosso sulla prima pagina di MF.

Differenze che paiono meramente interpretative, pur non essendolo. Anzi, sono decisamente sostanziali e dirimenti. Fra chi ancora crede che esista un libero mercato e chi, alla luce dei fatti, ha preso coscienza dell’ontologica e strutturale manipolazione in atto da parte delle Banche centrali. A Washington come a Pechino, in una sorta di sublimazione finale e faustiana del concetto di globalizzazione finanziaria.

Non finirà bene, signori. Prendetene atto fin da ora. E, come sempre, imparate a leggere fra le righe le notizie che trovate sui giornali, sentite in tv o leggete sui social, imparate a “fare la tara” ai media. Perché da qui a fine anno, ci saranno i fuochi d’artificio.