I de profundis erano già pronti, come i coccodrilli per certi vip dalla vita sregolata. In molte redazioni si scalpitava in attesa degli exit-poll, pronti come centometristi ai blocchi di partenza: crolla la Cdu, fine dell’era Merkel! E in effetti, le due elezioni per il rinnovo dei Parlamenti regionali di Renania-Palatinato e Baden-Württemberg hanno parlato chiaro: il partito della Cancelliera ha perso, inutile negarlo. Secondo mantra, la vittoria dei Verdi. Anch’essa, innegabile. E l’esercito dei supporter di Greta e Licia Colò hanno cominciato a fare la olè, simbolicamente abbracciati a foche monache e pinguini accaldati in delirio. Evito di tediarvi con percentuali e grafici, salvo che per uno, l’unico che a mio avviso conti qualcosa. E che pubblicherò più avanti. Ora, al netto della cronaca da proiezione e spoglio, cosa ci hanno detto davvero e sottotraccia queste elezioni regionali? A mio modesto avviso, due cose.
La prima fa riferimento a quelli che ritengo i veri vincitori della tornata, i Liberali. I quali in Baden-Württemberg hanno segnato un risultato insperato, ma, soprattutto, operato da bacino di recupero dei voti in uscita sia dal centro che da destra. Ovvero, sia dalla Cdu che da AfD. E qual è l’impostazione di base che rende quella formazione in grado di proporsi come catalizzatore? La critica verso la Bce. Non troppo blanda, come quella messa in campo dall’ala più conservatrice del partito di Angela Merkel, né troppo sguaiata e populista come quella che fino alle europee aveva garantito i continui exploit elettorali di Alternative fur Deutschland. E parliamo di uno del Land più ricchi di tutto il Paese, uno dei quattro motori d’Europa, certamente non di un’area depressa della ex DDR. Ma attenzione, perché insieme ai Liberali, ci sono altri due trionfatori. I quali, state certi, non troveranno spazio nelle cronache dei giornali: Sonstige e Freie Wähler. Ovvero, la voce altri nelle tabelle demoscopiche ed elettorali e il coordinamento dei cosiddetti “Liberi elettori”, di fatto liste civiche e associazionismo che si presenta alle tornate elettorali locali e si focalizza principalmente su tematiche specifiche del territorio, dando vita di volta in volta a potenziali alleanze mirate.
In Renania-Palatinato, gli exit poll attribuivano ai Freie Wähler il 5,5%, più della Linke e solo un punto percentuale in meno dei Liberali. I tanto declamati Verdi, nel Land di Magonza, si sono fermati al 9,5%, pur avendo guadagnato un +4% ai danni proprio dell’estrema sinistra e dell’Spd. Ma è stata la voce altri in Baden-Württemberg a fare sensazione: 7,8% in base agli exit poll di ARD, +4,1%. Direte voi, voti dispersi. Verissimo. Ma attenzione, perché è proprio la caccia a quei voti su cui si baserà la campagna elettorale per le legislative del 26 settembre. E deve far riflettere proprio l’impostazione civica di quell’elettorato che potremmo definire senza schieramento: solitamente, infatti, in momenti di transizione e incertezza, sono i Verdi a intercettare i consensi degli indecisi. Per il semplice fatto che mettere il futuro del pianeta come primo (e spesso unico) punto del proprio programma, senza sporcarsi le mani con bilanci e leggi, facilita l’attrattività di qualunquisti, indecisi e anime belle. Il fatto che quel pulviscolo elettorale abbia invece deciso di rintanarsi nell’angolo rappresenta un segnale: perché, cifre alla mano, ha dato vita a una notevole quantità di polvere, molta più di quanta ci si attendesse. E ben visibile. Tale da doverci fare i conti, quando invece si pensava di poterla archiviare con il solito colpo di Swiffer. E non in base a generici proclami di lotta ai cambiamenti climatici, ma su temi come il lavoro, i tassi in negativo sui depositi bancari, l’immigrazione, la bolla immobiliare, l’indebitamento dello Stato per far fronte alla pandemia, il bilancio europeo. La Bce, soprattutto.
Ed eccoci al secondo messaggio inviatoci da queste elezioni, quello che necessita del grafico di turno: la pandemia ha fatto male al sovranismo/populismo, come certificato anche dai risultati elettorali tedeschi. E non solo in Germania. Pensate alla Francia: avete notizie dei Gilet gialli, per caso? O dello stesso Front National, il cui ruolo reale è solo quello di fungere da spauracchio nero ogni quattro anni per garantire la nascita di un bel fronte repubblicano, stile ammucchiata in difesa dell’Eliseo e delle sue ghigliottine ideologiche.
E l’Italia? Anche qui, mi pare che i due partiti che avevano dato vita al primo governo Conte con propositi bellicosi siano stati a dir poco normalizzati da un anno di lockdown e politiche emergenziali. Da piromani a pompieri, senza passare per il via. E senza soluzione di continuità. Di fatto, l’unica opposizione esistente è quella di Fratelli d’Italia, mentre M5S e Lega ormai vivono sereni in ambito istituzionale, sfoderando toni da democristiani in progress. Nelle prossime ore, poi, scopriremo se anche l’Olanda volterà le spalle a Geert Wilders, sancendo così una sorta di Spoon River dell’anti-europeismo da barzelletta.
Il Covid e la Bce hanno infranto nel suo formarsi quella che, a partire dal Brexit e dalla vittoria di Donald Trump, sembrava un’onda inarrestabile di cambiamento, quasi una rivoluzione tout court? Pare di sì. E lasciamo stare scuse patetiche come quelle delle manifestazioni di piazza vietate dai lockdown, alibi che qualcuno accampa per spiegare l’estinzione stile panda dei Gilet gialli: quando servono gli uomini per governare il caos, semplicemente la gente invita i bambini ad andare a giocare in giardino. Oppure, sceglie di esprimere il proprio malcontento in altro modo. Schierandosi dietro le grisaglie serie e sdrammatizzate solo dal giallo di cravatte e foulard dei Liberali. Oppure sventolando la bandiera realmente pirata di Sonstige e Freie Wähler. La caccia a quei dissidenti silenziosi e perbene – rivoluzionari proprio perché in un mondo di soli alibi e diritti, ancora pagano le tasse e lavorano duro – in vista delle legislative del 26 settembre è di fatto già aperta, per quanto l’unica notizia degna di nota sia per molti la caduta rovinosa della Cdu. E per conquistarli, occorrerà parlare la lingua del buonsenso e del pragmatismo. Concetti che in Germania, nonostante l’impazzimento generale da Covid, poco si conciliano con l’attuale politica della Bce e con la sua deriva da helicopter money.
Occhio all’Olanda, adesso. Perché Mark Rutte, l’alternativa presentabile alla destra populista, ha già mostrato ampiamente il proprio credo a livello di impostazione delle politiche fiscali e monetarie. E con l’inflazione che sale, l’asse rigorista-frugale potrebbe regalare sorprese.
— — — —