Fino a poche settimane fa, l’oro era materia da banco dei pegni. Fedi nuziali o catenine della comunione da impegnare per pagare le bollette. E i Brics? Nulla più che un’accozzaglia di scappati di casa, capitanati dai contraffattori cinesi e disperatamente alla ricerca di un loro ruolo in un mondo ineluttabilmente denominato in dollari. Ora, l’oro è ovunque. E tutti ne parlano come se fosse la spada di Excalibur. E ci sono più inviati al meeting annuale dei Brics a Kazan che alle primarie statunitensi.



Ma guarda un po’, probabilmente per una volta il sottoscritto ci aveva visto lungo. Ma come mai questo cambio repentino? Certo, il fatto che la Fed abbia tagliato i tassi di 50 punti base e come risposta dal mercato abbia ottenuto un’esplosione dei rendimenti obbligazionari può aver garantito benzina sul fuoco di una narrativa un pochino differente da quella ufficiale. Ad esempio, questo grafico ci dice che l’America che si sta avvicinando al voto oggi veda il 23% di tutte le sue entrate fiscali impegnate nel mero pagamento di interessi sul debito. Qualcosa come 1,2 trilioni l’anno su uno stock totale ormai di 36 trilioni.



Ora guardate questo secondo grafico, il quale ci mostra l’ultima simulazione pubblicata dal centro studi di Bank of America. Non la Banca centrale russa o cinese.

Cosa ci dice? Semplice, stante al trend attuale (1 trilione di aumento ogni 100 giorni), entro la fine di giugno del prossimo anno, quel medesimo stock di debito avrà raggiunto quota 40 trilioni di dollari. Nel settembre del 2017 eravamo a quota 20 trilioni. Ovvero, la prospettiva è quella di un raddoppio del debito in soli 8 anni. E per quanto qualche genio farà notare che la recessione globale da Covid sia stata un evento epocale che spiega da solo una dinamica simile, basta dare un’occhiata al numero di dipendenti pubblici sul totale dei nuovi occupati statunitensi degli ultimi due trimestri almeno per capire come la pandemia sia stata soltanto l’alibi per generare debito e deficit senza più necessitare di crisi conclamate. Perché almeno gli ultimi due anni sono stati denominati ufficialmente dall’ottimismo del soft landing. Ma cosa l’ha garantito? L’indebitamento. Date un’occhiata al trend del debito Usa e alle performance del mercato azionario: sembrano carta carbone. Pressoché totalmente sovrapponibili. Ecco perché di colpo l’oro e l’argento esplodono.



Guardate questo grafico, aggiornato nei suoi dati alla chiusura di contrattazioni di martedì sera: più si avvicina il voto Usa, più il redde rationem con l’eredità reale della Bidenomics diviene improrogabile e più i beni rifugio che schermano da indebitamento come premio di rischio e inflazione come tassa silente e invisibile, divengono players assoluti.

E perché i Brics riscuotono di colpo tanto interesse, cosa li ha resi degni di credibilità? Semplice, le loro Banche centrali sono cariche di oro fisico. E sempre meno cariche di Treasuries Usa. A questo unite le commodities energetiche e strategiche come le terre rare. E il gioco è fatto. Anzi, il segreto di Pulcinella. Perché in realtà, queste carte erano sul tavolo da mesi. Da anni. Il problema è che occorreva sminuirle. Perché l’unico mondo possibile era quello denominato in dollari e che girava attorno a Wall Street. E certamente non perché l’America sia modello di democrazia in uno scenario di democrature. Semplicemente perché l’America è il Sistema. Lo stesso che permette al Dax tedesco di aver appena sfondato l’ennesimo record storico, in perfetta contemporanea con l’ingresso del Paese in recessione ufficiale. Senza dollaro sarebbe impossibile una manipolazione di questo genere. D’altronde, cosa disse Alan Greenspan? In uno scenario di gold standard, le capacità di produrre deficit sono limitate e circoscritte severamente. Col dollaro stampato in ciclostile, invece, un Paese con le dinamiche di interessi sul debito mostrate dal primo grafico può ancora auto-incoronarsi modello da seguire e riferimento assoluto. Il benchmark del biglietto verde sta tutto lì. Nell’auto-perpetuazione. Nel processo auto-alimentante di imposizione di un modello. E dove non arrivano derivati e swap, arriva il warfare. Da sempre.

Ora, fermatevi un attimo e riflettete. Se per la prima volta in assoluto dalla Seconda guerra mondiale gli Usa sono costretti a mettere in campo contemporaneamente e a forza quattro un trend di indebitamento insostenibile e un ricorso alla guerra come moltiplicatore del Pil pressoché senza precedenti, cosa dobbiamo trarre come insegnamento? Forse lo stesso che oro e argento stanno fornendoci ogni giorno, mano a mano che si avvicina il redde rationem con il voto a stelle e strisce.

E attenzione. Perché il 27 ottobre si vota in Giappone. Dove il titolo di Stato a 40 anni ha appena toccato il rendimento massimo dal 2008. Come dire, la sostenibilità del debito più grande del mondo comincia a tornare nei radar. E, soprattutto, il cambio dollaro/yen è risalito sopra 150. Perché Janet Yellen deve essere stata chiara: fino al 5 novembre, Tokyo non si azzardi a vendere Treasuries per sostenere la sua valuta. Dal 6 novembre, tranquilli che ci inventeremo l’ennesima swap line di salvataggio tramite la Fed. Anche perché dal 6 novembre, forse Janet Yellen tornerà a casa sua. Qualcun altro dovrà disinfestare il pozzo avvelenato dei conti Usa. A che prezzo e con quali conseguenze per i mercati globali, però?

I Brics sono coperti. Hanno hedging a sufficienza con oro fisico e commodities. L’Europa è in mutande e infradito. Sull’Everest.

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