Era il 23 agosto. Dello scorso anno. Meno di un semestre fa, insomma. Tra squilli di tromba e copertura mediatica da Emmy Awards, i lavoratori UPS davano il via libera al roboante atto prodromico Labor new deal. E ai suoi aumenti salariali. Martedì la stessa UPS ha annunciato un piano da 12.000 esuberi, circa il 14% del totale. La ragione? Risparmiare 1 miliardo di dollari nel 2024.
Il problema? Non è la retorica del soft landing. O di un Pil da gioco delle tre carte. O di Wall Street e i suoi record in continuo aggiornamento venduta alle opinioni pubbliche come cartina di tornasole del mondo. Il problema è ontologico. Perché UPS è ontologicamente il canarino nella miniera dell’economia Usa. La quale si basa ancora oggi al 70% sui consumi personali. E UPS consegna merci. Pacchi. Roba, volendo citare a sproposito Giovanni Verga.
UPS è la logistica. E oggi ci dice che deve razionalizzare. E tagliare 12.000 di quei lavoratori che solo 5 mesi fa avevano votato a favore di un accordo contrattuale che ora non li riguarda più. Loro adesso devono contrattare l’una tantum di buona uscita. Ammesso che UPS intenda concederla. Per risparmiare 1 miliardo ai conti dell’anno appena iniziato. Parliamo della stessa UPS che dal 30 settembre scorso a oggi ha speso 681 milioni in buybacks azionari. Garantendo un dividendo trimestrale di 1,62 dollari e annuale di 6,48 dollari. Tanto per mettere la questione in cinica prospettiva.
Se un colosso della logistica che opera da leader settoriale nel supermercato a cielo aperto del mondo si rimangia un accordo contrattuale storico e benedetto nientemeno che dal Presidente in persona, dopo solo 5 mesi dalla firma, cosa dobbiamo pensare? Che sono degli irresponsabili, incapaci di fare due conti rispetto a quanto stanno offrendo? O dobbiamo invece fare i conti con le proverbiali mutate condizioni macro?
Nel secondo caso, al netto della crisi nel Mar Rosso che ancora deve mostrare la sua vera faccia di impatto sistemico sulla supply chain globale, forse occorrerebbe appendere l’entusiasmo per la mancata recessione dell’eurozona all’attaccapanni e valutare cosa stia arrivando. E abbia spinto UPS a rimangiarsi la parola. rimetterci la faccia – anche nei confronti del potente sponsor politico nell’anno delle presidenziali – e dar vita a un drastico cambio di policy aziendale: dagli aumenti salariali ai tagli di massa. Il 14% del totale di forza lavoro è molto. Moltissimo. Perché siamo in epoca di soft landing, mai dimenticarlo. E non recessione che giustificherebbe quella dolorosa ma inderogabile decisione del management.
Ora date un’occhiata a questo grafico. Comunque sia e al netto dell’affaire UPS, il lavoratore medio Usa fra il 2019 e il terzo trimestre 2023 ha beneficiato di una dinamica salariale positiva.
Quello europeo? E quello italiano, soprattutto? I trattori fanno molto folklore. Ricordano le vacche in autostrada della protesta per le quote latte. Ma attenzione a quando la Realtà si presenterà ai cancelli delle fabbriche o dei siti di smistamento o dei magazzini di stoccaggio o dei centri commerciali. Le crisi cicliche sempre più ravvicinate con le loro briciole in caduta libera dalla tavola del Qe, sotto forma di sostegni federali o statali. Per sostenere dinamiche salariali incapaci di contrastare erosioni di potere d’acquisto rese necessarie da un’inflazione strutturalmente più alta – e destinata a restare tale – da insostenibilità e insolvenza debitoria. Altro che soft landing. Qui cominciano a sentirsi turbolenze che anticipano il Brace brace! del comandante. E per quanto le hostess dei media correranno a tranquillizzare e negare la Realtà, una volta partita la palla di neve, occorrerà solo correre e mettersi al riparo. L’impatto sarà inevitabile. Come un certo numero di sacrificabili.
Il mondo, semplicemente, è troppo pieno di bugie e retorica. Sembra un pallone troppo gonfio. O si toglie un po’ d’aria della narrativa in maniera controllata o esploderà. Ad esempio, già martedì mattina i titoli di alcune unità di Evergrande sono tornati in contrattazione a Hong Kong. E sono stati comprati col badile. In compenso, gli indici cinesi sono tornati sott’acqua, nonostante le misure di sostegno promesse dal Governo. Ma si sa, in quanto maoista, la strategia di Xi Jinping è di lungo corso. Ma dopo l’ennesimo glitch del Vix sullo S&P’s 500 in area 15 e rintuzzato dai vigilantes del Don’t fight the Fed, la vera notizia del giorno è stata bellamente ignorata dai media. Il Tesoro Usa ha infatti pubblicato i suoi Qra (Quarterly Refunding Announcements). Ovvero, le necessità di finanziamento. E il conseguente controvalore di emissioni previste per i primi due trimestri di quest’anno.
Occorre prendere atto di come Ionesco, Kafka e Beckett fossero veramente dei dilettanti rispetto a Janet Yellen. Le stime per il periodo gennaio-marzo sono state infatti fissate a 760 miliardi dagli 816 miliardi annunciati lo scorso ottobre, mentre quelle relative ad aprile-giugno a 202 miliardi. Tradotto? Primo, stante questi numeri, il drenaggio a zero del reverse repo entro il mese di marzo è garantito. Anzi, ora è ufficialmente parte del piano di galleggiamento controllato fino al nuovo Qe. Secondo, apparentemente il mercato sembra convinto che il medesimo Tesoro Usa costretto a emettere debito per 134 miliardi solo nelle ultime 4 settimane, possa emetterne soltanto 202 miliardi in tutto il secondo trimestre. Ma il grafico parla chiaro: esattamente come certi mariti che fingono di ignorare i tradimenti della moglie per quieto vivere, si continua come se nulla fosse.
Si continua a ignorare che nel 2023, il Tesoro Usa sia ricorso a emissioni lordo di debito per il controvalore record di 22,7 trilioni di dollari. Mentre oggi, tutto pare risolto. Passato il primo trimestre, si emetteranno briciole. Si sterilizza, per caso? E se sì, di grazia, attraverso quale artificio? Tutto questo, ironia della sorte, è emerso nel giorno del presunto armageddon di Evergrande, mentre Wall Street chiudeva ancora proiettata verso l’ennesimo aggiornamento dei massimi storici. Ma è sotto il pelo dell’acqua che si nota lo stato d’animo con cui ormai si arriva a sera: guardate quest’altro grafico, vi pare un mercato sano e sostenibile (già nel medio termine) quello rappresentato nelle contrattazioni delle opzioni sullo StandardPoor’s 500 per la giornata di martedì?
Non a caso, se Sven Henrich si è aggiudicato il premio come miglior battuta del giorno con la sua Janet Yellen launched another drone attack on bears relativo al lisergico taglio delle stime di emissione al fine di tranquillizzare i mercati comprimere rendimenti in rialzo, Rabobank ha cominciato a raccontare briciole di verità. E in forma di report ufficiale. E lo ha fatto mettendo nel mirino il vero spartiacque, ovvero la chiusura del Btfp – il fondo di sostegno bancario Usa – confermata non più tardi della scorsa settimana per l’11 marzo prossimo. E chiedendosi retoricamente, cosa accadrà quando tutte le banche regionali con i loro bilanci carichi di dubbiosi prestiti al commercial real estate non potranno più utilizzare quelle securities ormai sott’acqua alla pari? La risposta è stampare moneta, il che spiega l’attuale price action dello S&P’s 500.
Brutto segnale quando le banche sono costrette a dire la verità. O forse, tutta questa euforia dadaista e visionaria è legata al fatto che, da qui a qualche settimana, Joe Biden seguirà il consiglio via X del senatore Lindsey Graham e colpirà Teheran?
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