A falciare 20 vite di civili innocenti il 3 febbraio del 1998 sulla funivia del Cermis, restando totalmente impunito, non fu il pilota di un Mig russo. A uccidere un servitore dello Stato come Nicola Calipari il 4 marzo del 2005 a Baghdad, restando totalmente impunito, non è stato uno spetsnaz russo. No, sono stati alleati. Ed evito volontariamente di andare più indietro, quando ancora era presente il Muro e il mondo era diviso fra buoni e cattivi. Con l’Italia pericolosamente nel mezzo, stante la forza elettorale del PCI. Perché altrimenti dovrei scomodare le ormai acclarate manine atlantiche nelle stragi legate alla strategia della tensione, le esplicite minacce del Dipartimento di Stato ad Aldo Moro per il famoso Lodo con i palestinesi, il fatto che gli ottanta morti del volo Itavia su Ustica siano stati vittime di un war games nel Mediterraneo da parte di caccia alleati in cerca di Gheddafi.
Perché occorre dirla tutta la verità: quanti morti è costata l’ossessione anti-sovietica in questo Paese? Certo, all’epoca c’era davvero il comunismo alle porte di casa, basti ricordare la Jugoslavia di Tito. Ma strutture come Gladio hanno fatto ben di più e ben di peggio che difendere l’Italia da questa minaccia rossa. L’hanno destabilizzata a piacimento e in base a un’agenda di interessi geo-politici e strategici che spesso e volentieri il rischio della sovietizzazione non lo avevano visto nemmeno con il binocolo. O si dice la verità o è inutile parlare. Oggi vogliamo forse incorrere nel medesimo errore, oltretutto reso ancor più grave della mancanza di una minaccia reale? O davvero temete che Putin voglia annettere la Carnia?
Certo, l’attacco in Ucraina – debitamente veicolato, strumentalizzato, decontestualizzato e condito con balle e disinformazione stile La Stampa – è il nuovo Muro di Berlino. Ma l’Italia non è finita nel mirino della Russia con la sua minaccia diretta di conseguenze irreversibili perché il suo Governo era ritenuto ingiustamente l’anello debole dell’Ue, quindi quello su cui puntare per rompere il fronte sanzionatorio. E nemmeno perché a fronte dell’aiuto sanitario russo durante la prima ondata di Covid, giudicato totalmente esente da fini di intelligence o spionaggio dei nostri stessi servizi segreti (basta leggere gli atti al Copasir per evitare di dire idiozie stile Giorgio Gori), ora il ministro Guerini si mostra più falco di Madeleine Albright ai tempi del Kosovo. Semplicemente perché, come sempre, il nostro Paese ha il brutto vizio di tenere il piede in due scarpe e di pensare di farla franca. A prescindere. Ma, soprattutto, di ritenersi più furbo e intoccabile degli altri, quindi sventolando il suo doppiogiochismo ai quattro venti come fosse motivo di vanto. Ma questo non è un film di Totò, dove tutto finisce bene e in una risata. Qui occorre essere molto chiari. O, in subordine, molto furbi. Come lo è, ad esempio, la Francia, volontaria mitomane da competizione e bravissima nel perseguire l’interesse supremo. Ovvero, il proprio. E non da oggi, bensì dai tempi del generale De Gaulle.
E per favore, evitiamo il giochino infame del gettare tutte le responsabilità sui governi Conte e sulla loro spregiudicatezza in tema di politica estera, in primis l’azzardata firma del memorandum con la Cina che ha fatto drizzare i capelli in testa a Washington. Il nostro Paese solo una settimana prima dell’inizio dell’operazione militare russa in Ucraina, ovvero quando al Governo c’era saldamente Mario Draghi con la sua compagine di Migliori e al Quirinale sedeva il neo-rieletto garante dell’esecutivo di unità nazionale, ha inviato in Russia una delegazione ufficiale di funzionari per chiudere accordi di partnership commerciale e investimento diretto russo in imprese italiane, in primis Ansaldo. E non basta. Dieci giorni prima di questa missione governativa, si è tenuto il famoso meeting fra i Ceo delle principali aziende del Bel Paese, coordinato da Marco Tronchetti Provera e Vladimir Putin in persona. Insomma, quando praticamente i carri armati russi già erano in viaggio verso il Donbass, noi eravamo in Russia a fare affari. E ne eravamo, giustamente, ben felici. Oggi, invece, siamo i capifila dell’estremizzazione del regime sanzionatorio. E anche in questo caso, in punta di ipocrisia.
Perché fino a quando Bloomberg non ha reso nota la riunione a livello governativo fra Mosca e Roma, Mario Draghi ha fatto di tutto per evitare in sede europea l’estromissione delle banche russe da SWIFT. Il tutto perché i nostri istituti di credito con i loro 25 miliardi sono i più esposti di tutti. Quindi, per favore, finiamola di fare gli indignati e i martiri di fronte alle minacce russe. E anzi, guardiamo in faccia la realtà per quella che è. Ovvero, quella che i media si guardano bene dal raccontare, impegnati come sono nella rivoltante conta delle vittime immaginarie sotto le macerie del teatro di Mariupol, il quale rinascerà con soldi delle vostre tasse e con buona pace dei container di Amatrice. Venerdì scorso, la WoodMackenzie – primaria agenzia di consulting energetico a livello mondiale – ha pubblicato il suo ultimo report, dal quale si evince chiaramente come – grazie al continuo flusso di gas russo attraverso la pipeline Yamal-Europe -, a oggi l’Unione europea possa già contare su un livello di stoccaggio che le garantisce non solo di superare l’inverno, ma anche la prossima estate senza alcun bisogno di razionamento. C’è scritto nero su bianco sul report, redatto da analisti di primissimo livello e non certamente tacciabili di simpatie o conflitto di interesse con i russi (a differenza del nostro Governo e delle nostre aziende). Attenti, quindi, al rischio che per perseguire finalità differenti – magari quella di un tentativo di abbattimento dell’inflazione con mezzi poco ortodossi -, a Roma qualcuno decida di utilizzare la crisi energetica come ha fatto con la pandemia. Ovvero, imponendo scelte draconiane totalmente sconnesse dalle esigenze contingenti richieste dalla realtà dei fatti. Com’è stato, ad esempio, il super green pass o l’obbligo vaccinale per gli over-50.
Come vedete, al netto della sconfitta che si prefigura per tutti noi allo sgancio di ogni singola bomba, la Russia non pare questa minaccia o questo nemico mortale per l’Italia e i suoi interessi economici. Né, tantomeno, in Friuli-Venezia Giulia devono temere l’arrivo dell’Armata rossa. Anzi. Non sarà piuttosto che questo rapporto privilegiato dia fastidio e si cerchi quindi di spingerci alla rottura traumatica con il Cremlino, tanto per fregarci per l’ennesima volta in nome della fedeltà atlantica? Provate a riflettere, prima di unirvi al coro ormai patetico dei maccartisti alle vongole.
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