La Fed ha tagliato di un quarto di punto i tassi come da attese e come da attese il mercato ha mostrato che in realtà sperava di essere sorpreso con un taglio maggiore; per questo nel breve periodo il taglio di ieri, il primo da dicembre 2008, rischia di essere “inutile”. La Fed non poteva dare al mercato tutto e subito quello che chiedeva, altrimenti avrebbe perso qualsiasi credibilità rimasta e avrebbe dato un segnale di inversione troppo prematuro. Una subitanea inversione della Fed avrebbe permesso al mercato di smettere di preoccuparsi subito e almeno per un po’ delle due questioni principali che oggi affliggono gli investitori: il rallentamento globale e, soprattutto, il tentativo di ridurre squilibri commerciali tra Usa e Cina e Usa ed Europa ormai insostenibili, sono squilibri macroscopici che l’America ha deciso di provare ad affrontare nell’unico modo possibile e cioè con dazi e tariffe. Altro discorso è una valutazione sulla capacità dell’America di andare fino in fondo.
A fare paura ieri sono state le dichiarazioni di Powell che spiegava che questo non è l’inizio di una lunga serie di tagli, ma un “mid-cycle adjustment”, una revisione di metà ciclo. Il Presidente della Fed non ha promesso, almeno all’apparenza, un’inversione della politica monetaria. Questo significa che per i “mercati” sarà più facile accorgersi del punto morto in cui sono le trattative tra Cina e Stati Uniti per un accordo commerciale e quanto sia stata completamente inefficace finora l’approccio dell’America. Il Presidente americano presumibilmente manifesterà tutto il suo disappunto per una Fed non completamente collaborativa che si fa “fregare” da cinesi ed europei. Ieri sera, dopo tutto, l’euro ha perso ancora molto contro il dollaro riavvicinandosi ai minimi di sempre.
Il punto è cosa succede ora. La prima questione è quanto “male” i mercati prenderanno la decisione di ieri nelle prossime settimane. È una domanda da un miliardo di dollari a cui nessuno sa rispondere. Rimaniamo dell’idea che l’andamento pessimo di fine 2018 sia stato sorprendente nella sua entità anche per la Fed. La Fed e il Tesoro americano tenteranno di tamponare la delusione di ieri facendosi vedere sui mercati, ma è difficilissimo dire dopo quali ribassi e con quanti sforzi. I mercati si rendono conto benissimo della partita geopolitica che si sta giocando e degli squilibri finanziari vecchi di almeno, e sottolineiamo almeno, dieci anni. Nelle pieghe della decisione della Fed di ieri già si intravedono le mosse espansive future e l’inversione; quello che non è chiaro è quello che accadrà tra la decisione di ieri e settembre. È chiaro che la Fed taglierà e che non può fare altrimenti nonostante il mini taglio di ieri, ma quanto grave sia il contesto che dovrà affrontare non è noto.
La seconda questione è come reagiranno l’America e Trump di fronte a una Fed che per ora si rifiuta di nascondere subito sotto il tappeto tutta la polvere degli squilibri attuali e del confronto/scontro tra Usa e Cina e Usa ed Europa. Il dollaro che si rafforza di certo è un incentivo ad agire sulla leva dei dazi. Se la Fed, apparentemente, non aiuta nello scontro con la Cina, all’America rimane solo una cosa da fare. Il rischio è che dalla decisione di ieri di cui oggi “godiamo” con l’euro basso si passi a una nuova fase delle trattative molto meno conciliante, molto più brutale e potenzialmente efficace. È inutile illudersi che la potenziale distruzione della supply chain americana possa frenare gli Stati Uniti; vi pare che i produttori cinesi o europei che esportano per decine di miliardi di dollari negli Stati Uniti decidano di scomparire? Oppure accettino di assorbire i dazi e comincino a investire, in parte negli Usa? Se il mercato per le prossime settimane o mesi scende comunque qual è l’incentivo a non affrontare alla radice lo squilibrio commerciale americano?
È a quel punto che la Fed seguirà il suo Presidente con una politica monetaria più espansiva nei numeri e nell’apparenza. Ed è a quel punto che anche la Bce, diciamo dalla riunione di metà settembre per poi completare il tutto a dicembre, farà il suo Qe. L’America non è morta o, quanto meno, non è affatto più morta degli altri. Questa non fa parte della narrazione attuale e può essere l’elemento con cui nessuno aveva fatto i conti.