Volete vedere l’immagine che cattura e sintetizza alla perfezione l’impotenza dolosa di un governo e, più in generale, di un sistema di fronte a problemi più grandi di sé ma che, paradossalmente. non solo ha contributo a creare ma ora sta aggravando mortalmente? Eccola: vi invito a stampare il file, ritagliare la fotografia al centro della pagina e riporla a futura memoria insieme alle ricevute di pagamento delle bollette.
E per favore, evitiamo di cadere nel baratro del ridicolo: il Governo ha tamponato la stangata semplicemente perché carico di soldi europei e perché già dorme poco sereno per le manifestazioni no-vax, immaginatevi cosa potrebbe accadere con un combinato di cittadini e imprenditori strangolati dal caro energia alla vigilia della stagione fredda.
Parliamoci chiaro: io non voglio che il ministro dell’Ambiente (perché questa è la definizione depurata da idiozie ideologiche che stanno però riempiendo le tasche a banche e assicurazioni con il business ESG), Roberto Cingolani, si metta a prendere lezioni da una 18enne svedese, le cui competenze sul clima sono sintetizzate alla perfezione nella raffica di slogan da terza elementare che ha ripetuto dal palco a Milano, mandato pressoché a reti unificate come il messaggio di fine anno dal Quirinale.
È normale, a quell’età quando ti addentri in questioni troppo complesse, ripeti a pappagallo. Al liceo, il sottoscritto durante i collettivi parlava come un comunicato delle Brigate Rosse. E non perché tu sia stupido, ma perché non hai ancora gli elementi qualificanti per discettare in punta di conoscenza reale di un tema come il cambiamento climatico, materia su cui gli stessi esperti continuano a contraddirsi. E per esperti, parlo di gente con laurea, master, pubblicazioni, una cattedra universitaria. Magari qualche riconoscimento internazionale. Quindi, ti affidi agli slogan e ai mantra, sfoggi totem e icone. Ma un ministro non si deve prestare a questa pantomima. Altrimenti, qualcosa non torna. In questo Paese, se vuoi parlare di vaccini devi avere – giustamente, da un certo punto di vista – una laurea in medicina e almeno tre master, persino per farlo al bar. Altrimenti, scatta automatica la definizione di no-vax. Dio non voglia, poi, che tu abbia una visione critica sul tema o, addirittura, l’ardire di proporre un confronto sull’utilità di cure alternative e complementari da affiancare, magari a livello domiciliare, per i pazienti meno gravi che non necessitano di ospedalizzazione. In tre secondi netti, sarai accusato di essere un apprendista stregone che vuole curare il Covid con il rosmarino. E bandito a reti unificate dal genere umano da Alessandro Cecchi Paone, il nuovo Torquemada della siringa. Se invece lasci il tuo ministero di competenza nel pieno della peggior crisi energetica dagli anni Settanta, ormai confermata come tale da tutti gli analisti e vai a Milano per inginocchiarti a sentire il verbo di un diciassettenne – a stento diplomata – che ripete all’infinito come la politica sappia solo rispondere con i bla bla bla e come noi indifferenti e insensibili le stiamo rubando il futuro, allora sei furbo. Furbissimo. Roba da Nobel. Anzi, degno del governo dei Migliori (Togliatti ne abbia pietà, dall’aldilà).
Capite da soli che siamo al ridicolo. Ma un ridicolo sempre più pericoloso. Primo, perché in nome di questa emergenza mediatizzata come nessun’altra, banche e assicurazioni stanno passando una mano di verde pallido – greenwashing, in gergo e quando nascono gli eufemismi, c’è puzza di guai – su prodotti più o meno strutturati che, a loro volta, stanno gonfiando già oggi una bolla nella bolla. Di più, addirittura l’Europa basa la parte fondamentale delle sue emissioni record di proto-eurobond per il finanziamento del Next Generation Eu sulla panzana dell’ESG, smontata non da me ma dal Financial Times non più tardi di un mese fa con un’inchiesta sui rating allegri da mani nei capelli. Insomma, serviva una scusa per fare debito e impacchettare immondizia: i pinguini accaldati sono perfetti. E già questo è grave. Ma quest’altro è gravissimo. E serissimo.
L’ambasciata russa a Londra, forte del disastro Brexit su prezzi dell’energia e fornitura di merci, ha pubblicato questo tweet, un vero e proprio confettino da mandare di traverso a Boris Johnson: volete risolvere la crisi del gas in Europa? Basta darsi una mossa con la certificazioni di Nord Stream 2. Voi certificate, noi apriamo i rubinetti. Come da accordi. Crisi risolta prima che nell’aria si sparga il profumo di caldarroste. Perché signori, questi altri due grafici parlano chiaro: fra lunedì e martedì il prezzo del gas naturale per Ue e Gran Bretagna ha toccato il record assoluto, segnando in entrambi i casi aumenti a doppia cifra. Intraday. Praticamente, insostenibile. Quantomeno, se ancora si vaneggia di un Pil di stampo cinese per il 2021.
Il perché lo spiega la seconda immagine: nel medesimo arco temporale, Gazprom ha tagliato – overnight – del 57% le forniture di gas verso l’hub europeo di Mallnow, in Germania. Di fatto, il secondo confetto. Anzi, la ragione stessa di quel tweet beffardo dell’ambasciata russa a Londra. Signori non si può tenere il piede in due scarpe: se abbiamo fatto un accordo con i russi, se Nord Stream 2 è stato completato con fatica degna delle Piramidi, è normale che ora Mosca voglia delle garanzie. E delle certificazioni ufficiali. Altrimenti, state certi che di cali dei flussi sulla pipeline Yamal-Europe che attraversa Bielorussia e Polonia per arrivare in Germania, ce ne saranno altri. E magari più drastici. E magari in un periodo in cui non si circola ancora in maglietta e si dorme ancora con il copriletto leggero e le finestre solo socchiuse.
Signori, occorre che l’Europa e il nostro Governo parlino con Putin e non con Greta. Altrimenti, a Natale ci faremo caldo bruciando le immaginette votive di Andrei Navalny. Cinico? Sì. Meglio che ipocrita. La realtà non accetta deroghe, né scappatoie. Le tollera, per un po’. Dopodiché, come un cameriere dai modi bruschi, arriva e presenta il conto. Guardate quest’ultimo grafico: mentre il ministro Cingolani, uno che passa dal nucleare a Greta con la stessa facilità con cui io cambio i boxer, perde tempo a Milano, il consumo di carbone in Cina è tornato a livelli pre-ESG e pre-Accordo di Parigi, proprio a causa del caro energia che sta mettendo a dura prova tutte le economie del mondo. E questa corsa ad accaparrarsi il combustibile fossile a qualsiasi prezzo da parte di Pechino ha già spinto le valutazioni alle stelle ovunque: quelle europee ai massimi da 13 anni, mentre l’Australian Newcastle ha registrato un +250% solo da settembre a oggi e si avvicina al record assoluto del 2008.
Le industrie globali le pagano queste dinamiche, sono costi vivi che incidono sui margini e che portano con sé l’effetto collaterale di ricarico sulla filiera: tradotto, inflazione auto-alimentante da scarsità di offerta. Non serve un Nobel. E, soprattutto, non serve una diciassettenne svedese che sta facendo la fortuna di banche, fondi d’investimenti e assicurazioni con le sue parole d’ordine a mitraglietta. Oltre a garantire il Recovery Fund, ovviamente. O forse è questo il vero problema ma anche la vera, pericolosa finalità nascosta? In quel caso, giocare a fare la guerra con Mosca appare quantomeno suicida. Il problema è il debito, signori. Si torna sempre lì. Se non ti ammazza in un modo, ti ferisce mortalmente in un altro. Magari con il prezzo del gas che supera quello del plutonio, lo capiremo.
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