Stavolta è andata male. Perché anni di falsa contrapposizione commerciale fra Cina e Usa, intervallati da ritorni a orologeria della minaccia dell’Isis e poi tramutatisi nella pandemia infinita e prêt-à-porter avevano convinto i padroni del vapore e i loro megafoni che ormai tutto potesse essere spacciato come realtà. Come tale percepito e quindi poi utilizzato a mo’ di tavolozza nuda e cruda, su cui dipingere le prospettive future a proprio piacimento. E interesse. E anche con l’operazione militare russa in Ucraina (per il poco che cercherò di parlarne, non la chiamerò mai guerra) ci avevano provato. E alla grande.



Per i primi quattro giorni, infatti, la narrativa era quella di un Vladimir Putin ormai totalmente vittima delle sue paranoie di accerchiamento e che aveva sbagliato ogni possibile mossa strategica sul terreno. Il tempo giocava contro Mosca, i generali e intelligence erano spiazzati dal loro essere stati esautorati de facto dal Cremlino e, soprattutto, la resistenza ucraina era degna dell’assedio di Stalingrado misto al blitz in armeria di Rambo. Balle. Ora fermate il film, riavvolgete il nastro e guardate fuori dalla finestra della realtà. Primo, la resistenza ucraina è stata tale per qualche giorno semplicemente perché il Cremlino ha deciso di evitare un attacco su larga scala e indiscriminato: avesse voluto e ritenuto accettabile – stante il clima di condanna mondiale – un computo di morti fuori controllo, Putin avrebbe già preso tutto il Paese. La Cecenia ribelle e islamista ridotta a un posacenere, resta un vivido precedente. E il Presidente Zelensky, probabilmente, starebbe viaggiando di Paese in Paese alla ricerca di asilo politico. O magari sarebbe in esilio dorato nella sua villa da 4 milioni di euro a Forte dei Marmi. Ironia della sorte, meta amatissima dagli oligarchi russi che le sanzioni da lui invocate stanno gettando nel panico. Basta vedere cosa stia accedendo da 48 ore a questa parte.



Certo, la favoletta romantica dei cartelli stradali invertiti per confondere i tank russi in ingresso nelle città assediate fa molto Netflix, ma è un’idiozia sesquipedale, degna di chi la pubblica: in un mondo con satelliti e droni che controllano in tempo reale anche il lancio di un mozzicone di sigaretta, pensate che l’Armata Rossa entri in una città da conquistare seguendo i cartelli stradali? O magari il navigatore dello smartphone? Certo, va benissimo per il TG1 O SkyTG24 una panzana simile, ma voi siete esseri senzienti. Vogliamo poi parlare delle decine di servizi dedicati alle eroiche donne che preparano molotov per strada? Ora, anche in questo caso l’immagine può apparire mediaticamente efficace, ma sapete cosa fanno quelle bottiglie incendiarie a un tank dell’esercito russo o, peggio, ai MIG che stanno bombardando da giorni? Non lo dico esplicitamente, perché probabilmente mi leggono anche delle signore. Per carità, come Paese noi siamo tendenzialmente proni a romanzare certe cose. Il mito dei partigiani gappisti e della resistenza in montagna è duro a morire. Ancorché non esista un solo storico serio che non ammetta – ovviamente, non pubblico, pena il confino professionale e umano – che senza bombardamenti a tappeto stile Cassino o Gorla, contemplanti un discreto numero di civili innocenti falciati (o erano tutti sporchi fascisti, come gli infoibati?), noi oggi parleremmo tedesco. Quantomeno, qui al Nord. Ma guai a dirlo. Però la realtà è brutta, cattiva e spietata. Come i russi. E, infatti, ci sta portando in dote un paio di sgradevoli prospettive. Inequivocabili. E ineluttabili.



Primo, il doppiogiochismo del Presidente Zelensky. Al limite dell’accettabile, poiché non puoi invocare mosse ufficiali della Nato che di fatto creerebbero i prodromi di uno scontro nucleare e venti minuti dopo sederti a trattare. Perché non sei alla pari della Russia, quantomeno militarmente. Secondo, la codardia della Nato. La quale, proclami e spedizioni di armi a parte, non ha mosso un dito. E, anzi, continua con i distinguo. Fornitura di armamenti, sì. Istituzione della no-fly zone, no. Anzi, il Pentagono ha aperto una linea diretta con Mosca per evitare incidenti. Ma come, Zio Sam che continua a dire che Vladimir Putin e la Russia pagheranno caro il loro aver sfidato la compattezza granitica dell’Alleanza, si premura di evitare che F-15 e MIG svolazzino troppo vicini? Temono una scena stile Top gun? Oltretutto dopo i sorvoli russi sopra la Svezia? Parliamoci chiaro: l’unica fattispecie che interessava all’Occidente era colpire Mosca per via economico-finanziaria. Per due motivi.

Primo, il warfare finanziario evita perdite e bare imbandierate da riportare in patria. In compenso, garantisce stanziamenti e sforamenti di budget benedetti in questo momento di rallentamento globale. E, nel caso degli Usa, oltretutto, ha un impatto diretto sull’economia abbastanza limitato. Diverso per gli autolesionisti europei. Ma occorre sempre ricordare come a Bruxelles ci sia chi gioca per la squadra avversaria, indossando magliette double-face. Secondo, generare uno shock ribassista sul mercato totalmente imputabile ai russi brutti e cattivi, in modo tale da permettere alle Banche centrali – i cui board sono attesi in riunione nelle prossime due settimane – di archiviare drastici interventi sui tassi di interesse prima ancora di averli messi concretamente sul tavolo. E signori, dopo le cavalcate equity garantite dal Covid, un po’ di purga fa solo bene a indici totalmente basati su leverage e multipli e con sottostanti macro ridicoli.

Ovviamente, la vulgata è quella di infliggere il maggior danno possibile al sistema di potere di Vladimir Putin e dei suoi amici oligarchi, i vicini di casa di Zelensky al Forte. Balle. Guardate questo grafico, il quale ci mostra plasticamente come il 95% degli investimenti dei russi sia basato su portfolios stracolmi di titoli azionari domestici.

Tradotto, la Borsa di Mosca chiusa da lunedì e le valutazioni implicite dei titoli garantite da due proxies come l’ETF Van Eck e il GDR Index del Dow Jones, praticamente a zero e con cali attorno al 97% come mostrano i grafici, ci dicono una cosa sola: le menti sopraffine di Washington e Bruxelles con le loro scelte sanzionatorie mirate e draconiane per ora stanno polverizzando unicamente i risparmi di milioni di Igor e Irina, normalissimi cittadini russi – magari nemmeno troppo entusiasti di Vladimir Putin – la cui unica colpa è proprio quella di avere quella cittadinanza.

Insomma, si punta sul solito playbook della destabilizzazione interna ed eterodiretta, sperando che il malcontento per risparmi bruciati e rublo in modalità carta da parati scateni la rivolta popolare contro il Cremlino. E tolga le castagne dal fuoco a una Nato che, con il passare dei giorni, mostra sempre più plasticamente il suo essere tutta chiacchiere e distintivo. Certo, il petrolio russo è fuori mercato ormai. L’Urals trattato l’altro giorno dalla svizzera Trafigura non ha trovato un singolo compratore, nemmeno arrivando a uno sconto di 22,7 dollari al barile sul Brent. Certo, c’è timore. Perché fino a quando il regime sanzionatorio rimane nell’iperuranio del divenire, nessuno si azzarda a comprare un bene che rischia di non potere essere pagato a causa dell’estromissione di soggetti finanziari da SWIFT. Ma per quanto l’Occidente potrà permettersi valutazioni che esplodono al rialzo, stante un’inflazione già ai massimi da quaranta anni, sia in Europa che negli Usa e Banche centrali che si inventano qualsiasi emergenza pur di non sfiorare i tassi, quasi Recep Erdogan avesse fatto scuola a livello mondiale?

Vogliamo l’inflazione al 54% come in Turchia, solo per tentare di scalzare Vladimir Putin dal Cremlino? Allora siamo sulla strada giusta. Ma signori, la realtà è ben diversa da quella eroico-resistenziale dei tg e dei talk-show. E quando la crisi in ebollizione esploderà tout court, temo che tutta questa solidarietà – anche a livello di fondi dal budget Ue – verso l’Ucraina, svanirà come l’ultima neve al sole di primavera. E non manca molto. Se poi volete autoconvincervi che Putin stia perdendo su tutta la linea e la Nato trionfando, fate pure. Ricordatevi di spegnere la Playstation, però, quando avete finito.

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