Qualcosa è cambiato. E questa volta, davvero. Ma non nei corsi azionari, i quali manipolati erano e manipolati restano. Qualcosa è cambiato nella capacità della narrativa di nascondere ciò che realmente muove gli equilibri del Sistema. Qualcosa è cambiato perché l’interconnessione fra destabilizzazione geopolitica e speculazione finanziaria è venuta di colpo a galla. Come un barile di petrolio. Vuoto.
E ora, la domanda è di quelle che nessuno vorrebbe doversi mai porre: come reagirà il pubblico a un eventuale cortocircuito? Il bambino si metterà a gridare che il Re è nudo, la lettera scarlatta sarà tale e non più occultabile, lo stigma di impresentabilità faustiana di un decennio abbondante di bugie monetariste comincerà addirittura a sanguinare?
Date un’occhiata a questi due grafici: ci mostrano l’andamento intraday di Nasdaq e Standard&Poor’s 500 comparati a quello del prezzo del petrolio nella giornata di giovedì 4 aprile.
Due sono stati gli eventi catalizzanti. Primo, Israele ha messo in stato di massima allerta tutte le sue sedi diplomatiche nel mondo, attendendosi una risposta in grande stile dell’Iran al blitz in Siria costato la vita a un alto dirigente dei Pasdaran. Secondo, il numero uno della Fed di Minneapolis, Neel Kashkari, ha detto chiaramente che – pur attendendosi due tagli dei tassi nel 2023 -, se l’inflazione continuasse nel suo stallo sui livelli attuali, è possibile che la Banca centrale resti ferma fino al 2025.
Come notate dal grafico relativo al Nasdaq, le parole del banchiere hanno operato da detonatore finale. Ma la dinamica di decouple era già in atto. Esattamente dal momento in cui Israele stroncava ogni possibile accordo con Hamas e bollava come inaccettabile la mediazione di Stati come Qatar ed Emirati Arabi Uniti, bollati nuovamente come sponsor globali del terrorismo. Da qui, la messa in stato di allerta di popolazione in patria e ambasciate nel mondo.
La geopolitica ha battuto gli algoritmi. Ma non solo. Quest’altro grafico ci dice di più. E di più importante. I futures hanno di fatto ignorato le parole di Neel Kashkari e dopo l’aumento fino a 90 dollari del prezzo del petrolio conseguente all’offensiva diplomatica israeliana, hanno ritrovato la piena prezzatura per 3 tagli nel 2024.
Di fatto, Israele inteso come proxy della geopolitica globale è pesato molto di più della stessa Banca centrale che quei tagli deve compiere. E anche delle parole volutamente da falco, in modalità stress test, di un suo esponente locale notoriamente ciarliero con la stampa e storicamente abbastanza annoverabile fra le colombe. Ecco cosa’è cambiato, cari lettori. Tutto. Perché capite da soli che l’Occidente finora aveva trattato questa dinamica sottotraccia, questi fili da puparo, come il suo best kept secret più inviolabile. In realtà, un segreto di Pulcinella. Ma talmente in grado di cambiare i paradigmi dell’intero Sistema da essere preservato da tutti con tacita e sacrale osservanza. E non è un caso che questo sia accaduto nel giorno del grande strappo: Joe Biden, rompendo qualche decennio di totale e acritico sostegno statunitense alle politiche di Tel Aviv, ha detto chiaramente che il supporto Usa verso Israele da ora in poi sarà dipendente dal rispetto dei diritti umani e dei civili nel corso delle operazioni militari a Gaza. La morte dei volontari americani nel raid dell’aviazione con la Stella di David è stato un brutto colpo elettorale. Davvero brutto.
Ed ecco che Israele pare aver reagito alzando la posta. Perché sbattere la porta in faccia alla mediazione del Golfo e riprendere i toni millenaristici contro i finanziatori del terrore, nonostante fino a due ore prima venissero accreditati come mediatori affidabili, fa capire come Tel Aviv volesse mostrare a Washington la realtà, nuda e cruda: in palio c’è qualcosa di ben più grande e sistemico della guerra contro Hamas. Esattamente come Cina e Russia stanno facendo con materie prime e microchip. Sullo sfondo, poi, l’oro. Nuovo record storico, massimo intraday di 2.305,64 all’oncia. E che qualcosa rischi davvero di far saltare strutturalmente il banco lo dimostra il fatto che ieri mattina il rendimento del titolo giapponese a due anni sia salito fino allo 0,21%. Ovvero, il massimo dall’aprile del 2011. E non serve che io debba spiegarvi un’altra volta come questo sia determinante all’interno degli equilibri del casinò globale, vista la quantità di articoli che ho dedicato nelle ultime settimane alla Bank of Japan.
Signori, giovedì 4 aprile qualcosa è davvero cambiato. Magari tutto rientrerà. Ma una volta che il vaso di Pandora è stato scoperchiato, si può solo tamponare la situazione. Meglio chiudere qui per oggi, inutile mettere troppe cifre al fuoco della riflessione. Direi che per un fine settimana che doveva essere il primo di bel tempo e clima finalmente primaverile, questo è già abbondantemente percorso da preoccupanti nuvoloni neri.
Un’ultima considerazione: l’Italia delle riforme costituzionali come priorità, a vostro modo di vedere, ha capito cosa le sta accadendo attorno e cosa, inevitabilmente, le arriverà addosso da qui a poche settimane?
P.S.: Vi ricordate quando scrivevo come il Pnrr fosse non solo una farsa, bensì una trappola a medio termine per il nostro Paese? Ovviamente, tutti a criticare. Chi con sarcasmo, chi con indignazione. Molto accademica. Bene, oggi scopriamo che otto inchieste su dieci all’attenzione dell’EPPO (European Public Prosecutor’s Office) per presunti abusi e malversazioni di fondi riguardano – guarda caso – proprio l’Italia. Unite a queste potenziali ragioni di congelamento dei futuri (e già incorporati nei conti pubblici) finanziamenti, i disastri del Superbonus. E buon autunno.
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