Stan Druckenmiller, già principale gestore dei fondi di Soros a fine anni ’90 e investitore di lunghissimo corso, ieri spiegava che “anche una scimmia può fare soldi in questi mercati”, attribuendo la colpa di quello che accade alla Federal Reserve che “mantiene misure emergenziali” anche dopo la fine della pandemia. Per il finanziere la Fed starebbe persino mettendo a rischio lo stato di valuta di riserva del dollaro. Commenti di questo tipo, soprattutto in questi termini, raramente arrivano in prima pagina, ma sono pane quotidiano tra molti “esperti del settore” che citano quale esempio massimo dell’esuberanza irrazionale dei mercati il successo delle ultime versioni di bitcoin e valute digitali che in pochi giorni mettono a segno performance stellari con soddisfazione di schiere di “piccoli investitori”.
Le politiche delle banche centrali hanno aumentato l’appetito per il rischio e settori che da mesi soffrono le conseguenze della pandemia sono già rimbalzati nonostante i segnali di ripresa siano timidissimi; in questo contesto monetario fare queste scommesse “costa poco”. Ci sarebbe quindi una divisione tra investitori professionali e razionali che investono in azioni e obbligazioni, magari a rendimento negativo, e un esercito di trogloditi che gioca al casinò dei bitcoin. Per una volta, invece, si può tentare una difesa di questi supposti indifendibili.
Non si tratta di difendere la bontà “borsistica” dei bitcoin, tanto più visto se da mesi suonano avvertimenti sinistri; l’avvio delle valute digitali ufficiali, emesse dalle banche centrali, difficilmente può coesistere con i bitcoin “storici”, soprattutto se mai si dovesse presentare la necessità di politiche monetarie particolarmente creative con i tassi negativi. In questo caso la sopravvivenza dei bitcoin che abbiamo conosciuto metterebbe a rischio l’efficacia delle possibili nuove politiche e verrebbero di conseguenza fortemente osteggiati. Chiunque ignora questi avvertimenti lo fa a suo rischio e pericolo e su questo non c’è spazio per alcun romanticismo su una guerra tra Davide e Golia.
Occorre però riconoscere che la malattia dei bitcoin o delle più improbabili valute digitali nasconde una profonda sfiducia nel sistema che magari non è “conscia” e “razionale”, ma che fa il paio con quella di moltissimi “esperti” che evidenziano i rischi di una politica economica che oggi produce esuberanza sui mercati, inflazione e negli Stati Uniti milioni di persone che scelgono di rimanere fuori dal mercato del lavoro a causa di sussidi troppo elevati.
Chi compra un Bund a rendimento negativo in una fase di inflazione in crescita da un certo punto di vista fa una scelta irrazionale come quella di chi investe in “dogecoin”. Il comune denominatore è una scelta di sfiducia sul sistema attuale. I mercati “esuberanti” producono bolle sui prezzi delle materie prime, sui prezzi delle case, sul prezzo del legname, sulle obbligazioni e le scelte di politica economica, inclusi gli investimenti green, non fanno altro che “peggiorare” il quadro.
Il dato vero di cui parlare è l’uomo della strada che ha deciso di scommettere sull’insuccesso delle politiche monetarie o industriali, dopo la delusione post-Lehman, cavalcandone il fallimento sotto forma di politiche monetarie ancora più benevole. La scommessa è che per tirarsi fuori alla fine si dovranno perpetuare le misure emergenziali di queste settimane portandole alle conseguenze estreme. Questo scollamento è il capitolo finanziario di quello elettorale che si è visto, per esempio, con l’elezione di Trump nel 2016 e in una certa misura anche con i rischi corsi nel 2020. Una delle possibili “cure” sono le valute digitali. Più “democratiche” nel senso che si dà oggi alla parola.
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