Negli ultimi giorni lo spread tra titoli di stato italiani e tedeschi è salito ai massimi del 2021 e il rendimento del decennale italiano è tornato in linea con i massimi di luglio 2020. Il rialzo delle ultime settimane riflette in buona parte la bassa liquidità sul mercato e una presenza meno attiva della Banca centrale europea; è una circostanza “normale” in una fase di mercato condizionata sia dalle festività che dalla riluttanza degli investitori a muovere i portafogli. È del tutto possibile che il fenomeno rientri appena i mercati torneranno alla “normalità”; se questo scenario si avverasse rimarrebbero comunque due dati da incorporare.



Il primo è che la data del 31 dicembre, quando le banche e le società finanziarie chiudono l’anno contabile e fiscale, riveste un significato particolare perché “ferma” le valutazioni dei portafogli nei bilanci. Lo scivolone delle ultime settimane, in altre parole, fa danni anche se venisse completamente recuperato nei primi giorni del 2022. Sarebbe un’ulteriore conferma che l’area euro è un’unione monetaria anomala in cui è possibile lucrare su squilibri di mercato che sarebbero impossibili in altre aree. Nella mente degli investitori si consolida, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che sui mercati europei del debito si può lavorare di fantasia ed esplorare scenari che sarebbero inimmaginabili in qualsiasi altra parte del globo.



Il secondo dato è che i problemi sui debiti sovrani europei sono stati solo momentaneamente coperti dalla pandemia e dall’intervento della Banca centrale europea che ha coperto le emissioni di debiti dei Paesi membri, e in particolare quelle dell’Italia, con solerzia e senza discutere deficit che in altri fasi avrebbero provocato fasi di volatilità finanziaria e politica. Il debito pubblico italiano è, ovviamente e in buona compagnia, molto più alto di quello di febbraio 2020. La crescita dell’economia italiana, è il segreto di pulcinella, è avvenuta anche grazie a bonus a pioggia, ristori, aumenti di stipendio dei dipendenti pubblici mentre interi settori industriali e privati chiudono o per le restrizioni che impediscono di lavorare o, è il caso delle ultime settimane, per i costi insostenibili della bolletta energetica. Il sistema economico-finanziario italiano è molto più fragile sia perché il debito è alto, sia perché il settore privato che lo sostiene si è molto indebolito. 



La riforma delle regole fiscali dell’Unione europea, anche nella migliore delle ipotesi, difficilmente potrà permettere la prosecuzione all’infinito dell’attuale trend delle finanze pubbliche italiane. Prima o poi il sistema chiederà un rientro in cui i Paesi politicamente più forti imporranno condizioni ai Paesi politicamente e finanziariamente più deboli. Il protagonismo della Bce sul mercato del debito italiano, complice la pandemia, non è una garanzia di oblio, ma anzi rafforza il potere negoziale delle istituzioni sovranazionali nel senso che abbiamo imparato a conoscere dalla crisi dei debiti sovrani europei del 2011/2012: è una crisi arrivata dopo l’esplosione dei debiti in seguito a un’altra crisi economica e più precisamente a quella iniziata con il fallimento di Lehman Brothers a settembre del 2008. 

In un mondo normale, in un’unione politica e fiscale “perfetta”, quello che abbiamo visto nelle ultime settimane sullo spread sarebbe impossibile. Questo è un campanello di allarme che rompe la magia di una narrazione che continua dalla fine della primavera del 2020 e cioè che i deficit a due cifre non sono un problema perché la Bce copre e che le istituzioni europee si sono trasformate in qualcosa di diverso e più “buono”. Più la pandemia si normalizza, si istituzionalizza il sistema dei “pass”, più si avvicina la fine dello stato di eccezione finanziaria e si scoprirà cosa è veramente cambiato “in Europa”. 

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