Apparentemente, ciò che state per leggere può sembrare una “violazione” della mia promessa. Solo apparentemente, però. Perché non sto per parlarvi della situazione italiana. Sto per parlarvi delle mie radici. Di gente che conosco bene, fin troppo bene per tante estati passate nel corso della mia infanzia e adolescenza con nonna, zii e cugini in Val Camonica, terra di origine dei miei genitori. La conosco a tal punto che quasi non c’è bisogno che debba parlare per capirla, quella gente. Per i bresciani, parlano gli occhi e i silenzi. Terribili a volte, sia gli uni che gli altri. Più i secondi, in realtà. Perché spesso e volentieri forieri di tempesta.



Vi chiederete il perché, al netto del mio occuparmi di economia e finanza. È presto detto: la visita a sorpresa del Presidente Sergio Mattarella al cimitero di Castegnato non è stata soltanto un omaggio simbolico a tutti i morti di Covid di quella terra, strappati ai loro cari umana e istituzionale, né un balsamo umano e istituzionale sulla ferita dell’infame furto della croce a essi dedicata. È stata altro. È stato un gesto politico nel senso più alto del termine. Di una potenza e di una drammaticità senza pari. A fronte di una classe politica a tratti addirittura indegna e impegnata da settimane in uno scaricabarile continuo, il Presidente ha sentito l’urgenza e il bisogno di dare una simbolica carezza, una pacca sulla spalla, una stretta di mano a un territorio che le cronache primaverili non raccontarono come martire del virus. La gente moriva come mosche, in silenzio. Ma nessuno, fino a ieri, conosceva Castegnato. Conosceva i focolai di Nembro e Alzano nella Bergamasca, conosceva la bassa lodigiana del paziente 1, ma non quell’angolo di operosa provincia lombarda.



Anzi, no. Castegnato lo conoscono in tanti. Tantissimi, fidatevi. Ma non per i morti di Covid o per l’oltraggio alla loro stele, bensì perché in quel paese ha sede la Ghial, gigante a livello europeo della lavorazione dei metalli. In principal modo, leader assoluto nell’alluminio. Pressofusione, per l’esattezza. Vi invito, per capire cosa sia la Ghial, soltanto a guardare l’elenco dei clienti che si avvalgono del suo lavoro. Un gigante, appunto. Una delle componenti del sistema Italia che nel corso dell’ultimo trimestre ha garantito all’economia del Paese un rimbalzo del Pil superiore alle attese, +16,1% contro il 13% stimato dal Governo. Un grande risultato, innegabile. Di fatto, la conferma di un sistema nervoso produttivo ancora forte e che reagisce agli stimoli, se messo in condizione di operare. Anche e – forse, soprattutto – sotto stress, quando entrano in campo valori che vanno oltre la produttività e l’efficienza e sconfinano nell’orgoglio e nella capacità di stringere i denti, costi quel che costi.



Il problema, è duplice. In primis, il Paese è sempre più spaccato. Silenziosamente, quasi in lotta al suo interno fra chi di un altro lockdown si farà beffe, perché comunque pagato per il suo smart working, e chi invece rischia di ripiombare nel limbo dell’azienda o dell’attività chiuse, del fatturato zero, della Cig che non arriva o arriva in ritardo, mentre tasse e balzelli recano puntualità svizzera. E il presidente Mattarella, a differenza dei partiti, il rischio che quella frattura divenga strutturalmente divaricante lo ha colto. Quasi sottopelle, prima che a livello di etichetta istituzionale. Secondo, la sempre crescente contrapposizione fra governi locali e potere centrale sta trascendendo il suo ruolo di complementarietà e sussidiarietà, in punta di Titolo V. Siamo ormai a un regime di ordine sparso, forse un po’ frutto di spinte autonomiste naturali e che per troppo tempo sono state sopite, forse per un gioco politico irresponsabile e pericoloso a livello nazionale che sta utilizzando le presunte bizze dei governatori e dei territori per mettere all’angolo un Giuseppe Conte che ormai non gode più della fiducia di nessuno.

Si vogliono creare le condizioni per l’arrivo del cavaliere bianco, quindi occorre isolare il Premier. Indebolirlo. Condurlo verso la strada obbligata della presa d’atto di una sfiducia latente, di un’impotenza sopraggiunta. Irresponsabile, appunto. E anche questo, il Presidente lo ha colto. Non a caso, invitando all’unità e all’abbandono degli egoismi, parlava a suocera perché nuora intendesse. Non so quanti chilometri in linea d’aria dividano il cimitero di Castegnato dal quartier generale della Ghial, ma l’orizzonte fisico è poca cosa, quando si ha ben chiaro quale sia l’orizzonte ideale e di rischio cui occorre fare riferimento.

Ora, permettetemi di tornare nei miei panni. Guardate questo grafico contenuto nel report di Deutsche Bank pubblicato il giorno stesso della diffusione del dato sul Pil tedesco del terzo trimestre: anche in quel caso fu una sorpresa, un rotondo e inatteso +8,2% rispetto ai tre mesi precedenti. Ma ecco che la banca di riferimento del Paese, getta subito realistica acqua gelata sul fuoco: le stime del quarto trimestre sono state già riviste da un atteso +2,5% a -0,5% a causa del nuovo lockdown annunciato da Angela Merkel. Si torna in negativo, il rimbalzo vissuto è stato il classico dead cat bounce, il rimbalzo del gatto morto.

Ma la Germania non ha vissuto giorni e giorni di dibattito, infinite riunioni notturne, ridicole contrapposizioni tra partiti di maggioranza e opposizione, Dpcm a raffica a cadenzare il fine settimana come la Messa o il campionato di calcio: quando i dati hanno parlato chiaro, la Cancelliera è andata in tv e ha parlato. Due volte in un mese e mezzo. La prima volta per dire di limitare le uscite e stare attenti, la seconda per girare la vite prima che fosse tardi. Proteste in piazza? Scene di guerriglie? Assurde accuse o minacce da parte dell’opposizione, persino quella populista e sempre pronta all’alibi di Alternative fur Deutschland? Zero.

Certo, qui subentra il discrimine: in Germania i ristori sono arrivati e arrivano per le attività che devono giocoforza fermarsi per il lockdown, quindi i cittadini/contribuenti non protestano. E vi siete chiesti perché questo lassù accade e qui no? Solo colpa di Tridico? Solo colpa del pressappochismo? O, forse, la colpa sta nel vero, enorme punto di divaricazione, nella leva che rischia di ribaltare il sistema e per controbilanciare la quale il Presidente ha deciso di andare a blandire quel Nord produttivo che si credeva fuori dal tunnel e ora rischia di ripiombarci?

Esiste uno spread ben peggiore e preoccupante di quello fra Btp e Bund. È lo spread fra realismo e propaganda. Il realismo di un potere che non promette ciò che non può mantenere e che, quindi, gode di una credibilità tale da permettergli di annunciare un nuovo lockdown, senza che orde di casseurs improvvisati piombi nella strade in nome dei lavoratori senza speranza, senza tra l’altro che il 90% dei partecipanti a quei cortei abbia mai lavorato un’ora in vita sua. È lo spread, sostanziale, di uno Stato con i conti in ordine contro un altro con un debito insostenibile di partenza e che pare destinato ad andare letteralmente in orbita, da qui alla prossima primavera. La Germania può pagare i ristori pronta cassa per il semplice fatto che in cassa i soldi ci sono: qui, signori miei, si è dovuto chiedere in ginocchio a Ursula von der Leyen di accelerare al massimo l’anticipo di 10 miliardi dei fondi Sure, altrimenti si sarebbe probabilmente dovuto evitare anche il minimo sindacale di restrizioni in atto, sperando che il virus non facesse una strage.

Guardiamo in faccia la realtà, per favore. Come ha fatto il Presidente della Repubblica in quel cimitero. Guardate questo altro grafico, perché ci mostra lo spread più grande: quello fra chi si è permesso fino a ieri di farsi governare da forze che mettevano addirittura in discussione la permanenza nell’euro e nell’Ue e chi invece di quell’Unione è al timone, con oneri e onori ma con ruolo riconosciuto da tutti. Ci mostra la crescita esponenziale dell’operatività dei programmi espansivi della Bce, culminata quest’anno con il picco legato al Pepp: record storico assoluto, mai giunti a un tale livello di intervento dal 2012 in poi.

Crisi dopo crisi, siamo arrivati al culmine. E, vulgata vuole, a dicembre si salirà ancora: probabilmente saranno messi in campo altri 500 miliardi di ammontare e altri sei mesi di durata, si amplierà la platea del collaterale accettato ai cosiddetti fallen angels, si opererà ulteriormente sul criterio binario dei tiering per evitare danni ulteriori alla profittabilità bancaria dai tassi negativi e si darà vita a nuova aste Tltro con condizioni ulteriormente favorevoli per le banche. Insomma, si raschierà il fondo della mitologica “cassetta degli attrezzi”, lasciando come extrema ratio solo l’opzione nucleare della discesa in negativo del tasso di riferimento per il costo del denaro.

E poi? Poi si potrà solo scalare. E non perché la Bundesbank sia ossessionata dall’inflazione per la memoria di Weimar o perché il Bundestag odi l’Italia e anzi voglia colonizzarla: perché, semplicemente, un regime come quello in atto da aprile è, deve e può essere soltanto emergenziale. Perché nella vita reale i soldi non crescono sull’albero dell’MMT e non cadono dagli elicotteri. Ma, soprattutto, perché i debiti contratti vanno onorati e non monetizzati o tramutati in finanziamento del deficit strutturale attraverso acquisti della Banca centrale in modalità porcellino dei risparmi comuni da rompere alla bisogna.

Tutto qui, il mondo reale è diverso da quello prospettato da chi pensa che scostamenti di bilancio ed emissioni di massa siano la risposta a tutti i nostri problemi, stratificatisi negli anni e ora fatti emergere di colpo come immondizia sotto il tappeto dalla pandemia. Per una ragione semplicissima: senza Bce, addio emissioni allegre del Tesoro e costi di servizio del debito gestibili. La strada diventa quella greca. O argentina, a scelta. Alla Ghial lo sanno questo, come lo sanno i cittadini di Castegnato, dal parroco all’ultima casalinga. Perché sono stati cresciuti così, quelle sono le regole.

Il Presidente Mattarella lo sa, è perfettamente conscio del crinale su cui si sta muovendo il Paese. Sa che la lastra di ghiaccio su cui qualcuno addirittura azzarda passi di danza è tremendamente fragile e sottile e può rompersi da un momento all’altro. E quella lastra si chiama unità, la stessa che il Presidente ha richiamato con forza e massimo del simbolismo possibile domenica scorsa. Fidatevi di un bresciano, per quanto nato e cresciuto a Milano: se non si interviene su quello spread reale con risposte serie e dolorose, la via d’uscita potenziale dal Covid per l’Italia potrebbe rivelarsi un trauma. Ben più serio e sistemico di quattro molotov e tre vetrine infrante. Non si commetta l’errore di tradurre il silenzioso e composto dolore di Castegnato, il suo senso del dovere e del rispetto, in rassegnazione o sottomissione al destino.