Davvero pensate che la questione più preoccupante che riguarda gli Stati Uniti sia la performance da Colorado Cafè di Joe Biden al vertice Nato?
Ripensateci. Perché in pressoché perfetta contemporanea con l’impietosa dimostrazione di impotenza di un Presidente fragile (e non da oggi), gli Usa mostravano al mondo un tallone d’Achille molto peggiore di un inquilino della Casa Bianca in piena confusione cognitiva. Mostravano questo.
Già, perché il Treasury Monthly Statement pubblicato proprio mentre Joe Biden presentava Volodymir Zelensky come il Presidente dell’Ucraina, Vladimir Putin, ci dice che nel mese di giugno le sole spese per interessi sul debito pubblico statunitense sono state pari a 140 miliardi di dollari. In un solo mese. Significa il 30% di tutte le entrate fiscali bruciate solo in interessi sul debito. Se una dinamica simile fosse stata ufficialmente condivisa con il pubblico dal Tesoro cinese, più di un analista avrebbe sentenziato l’arrivo del mitico Minsky Moment. Ovvero, l’incapacità di onorare e sostenere lo stock debitorio. L’anticamera del default, volendo parlare in maniera molto povera. Trattandosi degli Usa, ovviamente nessuno si azzarda. Perché sicuramente si troverà una soluzione.
E vi pare un caso che, poche ore prima, il dato CPI sull’inflazione avesse segnato un netto calo e una dinamica finalmente negativa su base mensile, tanto che oggi i futures prezzano un 93% di possibilità di 25 punti base di taglio nel Fomc di settembre? Certo, tutto può essere. Ma sapete che io alle coincidenze non credo. Proprio per nulla.
E infatti, questo secondo grafico ci mostra come, stranamente, questa ventata di ottimismo macro, destinata a garantire sulla carta uno tsunami di tagli dei tassi nel corso del 2025, sia arrivata mentre Oaktree (proprio la proprietaria dell’Inter) ammetta candidamente come il peggio a livello di default sui bond del real estate commerciale debba ancora arrivare.
Casualmente, il dato CPI offre luce verde a una Fed in modalità colomba e in grado di garantire ossigeno pronto uso a quelle banche regionali stracariche e ultra-esposte ai nuovi subprime. Strano che tutto avvenga nel giorno in cui l’unica notizia che monopolizza l’attenzione globale siano le gaffe a ripetizione di Joe Biden. Vuoi dire che qualcuno ci ha messo del suo nel generare un palcoscenico perfetto per concentrare tutta l’attenzione e distoglierla dalle cose che contano? Perché basta un discorso su carta scritto male o con dei lapsus volutamente inseriti per mandare in confusione totale chi già di suo combatte contro disturbi cognitivi seri.
E signori, quanto emerso sui mercati dopo il dato CPI non è affatto cosa da poco. Anzi. E paradossalmente, a confermarlo ci pensa l’altro canarino nella miniera della tenuta di mercato. Questo è l’andamento del cambio dollaro/yen dalle 3 del pomeriggio di giovedì alle 7 del mattino di ieri.
Che dite, tutto normale? Affatto. Perché non è un caso che la Bank of Japan abbia atteso la pubblicazione del dato CPI (di cui, a quanto pare e con ogni evidenza, era stata informata con debito anticipo) per tornare a intervenire sul mercato forex e tentare ancora una volta di bloccare l’ennesimo trend di tracollo della valuta nipponica. E in effetti, passare da 161 a 157 in un minuto equivale a un flash crash. Qualcosa che solo la mano forte di una Banca centrale può generare. Peccato che, come potete vedere, l’effetto placebo si sia rivelato tale per l’ennesima volta. E nonostante un secondo, pressoché certo intervento. Lo yen debole fa bene al Nikkei, lo sanno tutti. Ma, soprattutto, uno yen che si rafforzi in quel modo e, magari, apra a uno scenario verso 150 come target, avrebbe letteralmente fatto esplodere qualche trilione di dollari di controvalore in carry trades. Margin calls come se piovesse. Non a caso, come ci mostra questo ultimo grafico, a oggi la posizione short contro lo yen generata dalle scommesse ribassiste degli asset manager è la più grande mai registrata dalle serie storiche. Tradotto, se lo yen si apprezza come avvenuto dopo l’intervento post-CPI e consolida quel trend, sono davvero in troppi a farsi male. Ma davvero tanto male.
Signori, tutto questo è accaduto nel breve arco temporale fra le 15:00 del pomeriggio di giovedì e la 09:00 di ieri mattina. Nessuno lo sa. Nessuno ne ha parlato. Soltanto Biden che scambia Zelensky per Putin e la Harris per Trump hanno monopolizzato l’attenzione. Per carità, a qualcun può far sorridere. I meme già impazzano sulla Rete. Ma siete davvero certi che sia quello, il problema? O una Fed che nella riunione del 30-31 luglio si troverà comunque a maneggiare un panetto di esplosivo al plastico, fingendo in favore di telecamera che si tratti di un innocuo gavettone estivo per festeggiare la fine della scuola e l’arrivo delle vacanze?
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